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Infermieri in fuga dalle Rsa, è allarme sociale

di Redazione

A Verona è allarme sociale sul fronte delle case di riposo, sia per i costi elevati delle rette e per la carenza di posti disponibili sia per la fuga degli operatori sanitari, la maggior parte dei quali lascia le Rsa e si riversa negli ospedali.

Denuncia Spi Cgil: carenza personale mette a rischio qualità assistenza

Le Rsa veronesi lamentano una forte carenza di personale infermieristico.

Per ogni anziano non autosufficiente che trova posto in una casa di riposo, tra le 75 strutture della provincia veronese, ce ne sono almeno quattro che vengono lasciati a casa, assistiti da familiari caregiver e assistenti familiari (badanti) e supportati dall'assistenza domiciliare integrata (Adi) e dal servizio di assistenza domiciliare (Sad).

I 5667 posti letto - messi a disposizione sia da strutture pubbliche (Ipab) sia da quelle private che sono gestite da enti del Terzo Settore, congregazioni religiose ed enti no profit – non bastano a soddisfare la crescente domanda.

Se nel 2022 erano soltanto 450 gli anziani che non erano riusciti ad entrare in una struttura in quanto tutti i posti risultavano già occupati, nel 2023 la situazione è esplosa. Le persone che, pur avendo diritto ad un posto in casa di riposo, sono in lista di attesa e nel frattempo sono rimasti in carico delle famiglie sono ben 1600, di cui 1147 sono già certificate in quanto in possesso di tutti i requisiti di accesso previsti, 300 sono in attesa di essere inserite in lista con una scheda di valutazione multidisciplinare Svama confermata e altre 250 hanno inoltrato la domanda e sono in attesa della presa in carico.

La denuncia arriva dal sindacato Spi Cgil di Verona, che illustrando una dettagliata fotografia della situazione, spiega che si tratta di 1600 persone malate, le quali attendono anche 7-8 mesi soltanto per entrare in lista di attesa, per poi pagare, se riescono finalmente ad ottenere il posto in una casa di riposo, rette mensili sempre più costose.

Secondo Uripa, l'unione delle 346 Rsa del Veneto, la situazione potrebbe ulteriormente peggiorare sul fronte rette che rischiano di aumentare, mediamente di 60-10 euro per famiglia, se nel 2024 la Regione non finanzierà con 100 milioni di euro il Fondo per la non autosufficienza.

Allargando l'indagine a tutto il Veneto, risulta che oltre l'80% degli enti che si occupano di anziani sono sotto i 120 posti letto. Si tratta pertanto di piccole strutture. Ciò significa che la vera spina dorsale di questo mondo sono gli enti legati al territorio, a matrice parrocchiale o comunale, spiega il sindacato.

Ricordando che l'andamento demografico con il progressivo invecchiamento della popolazione, come si evidenzia in numerosi rapporti internazionali, causerà tra un decennio una drammatica impennata del numero di anziani non autosufficienti, la Cgil presenta numeri preoccupanti.

Soltanto in Veneto, secondo le previsioni Istat, tra pochi anni ci saranno circa 800 mila persone di età compresa tra i 70 e gli 84 anni e il numero degli ultra 85enni aumenterà del 26%, saranno 233 mila, quasi 50 mila in più di oggi.

Si tratta pertanto di un milione di persone che, per la ridotta autosufficienza legata all'età anagrafica e alle malattie, avrà bisogno di un'adeguata assistenza, pur avendo una capacità di spesa molto bassa, da un sistema di servizi sanitari e sociali che non sarà purtroppo in grado di sostenere la situazione. Stiamo andando incontro infatti a due emergenze, economica ed assistenziale. Se da una parte gli anziani e i loro familiari non riusciranno a far fronte a rette costosissime, dall'altra non ci sarà un numero sufficiente di infermieri ed operatori sociosanitari per rispondere ad una domanda in così forte crescita.

La carenza di operatori è cronica e mette a rischio la qualità del servizio assistenziale. Nelle Rsa italiane manca il 21,7% degli infermieri, il 13% dei medici e il 10,8% degli Oss. I dati emergono dal 5° Rapporto dell'Osservatorio Long Term Care Cergas-SDA Bocconi Essity. Gli infermieri mancano nelle strutture residenziali assistenziali perché il 61,7% di loro le ha lasciate per aver ottenuto nuovi contratti di lavoro negli ospedali pubblici. Emerge inoltre che il 90% delle Rsa ha dovuto affrontare un significativo aumento dei costi del personale nonché un incremento dei casi di burnout tra i dipendenti. Risulta che, a causa della carenza numerica degli operatori sanitari, la qualità dei servizi è peggiorata in maniera importante.

Secondo Tomas Chiaramonte, segretario generale di Adoa, l'associazione diocesana opere assistenziali cui fanno parte una quarantina di enti e case di riposo nel veronese, i motivi della crisi del personale nelle Rsa sono molteplici e diversificati tra cui contratti collettivi con livelli retributivi meno desiderabili di altri comparti, una carente programmazione nell'accesso dei percorsi formativi delle professioni di cura, una scarsa valorizzazione sociale, pochi investimenti in termini di orientamento alle professioni di cura per i giovani.

Per invertire la rotta è fondamentale riconoscere e premiare il talento non solo di chi sa fare i numeri ma anche di chi sa nutrire le relazioni con il prossimo – spiega -. Ci si deve impegnare per costruire luoghi di lavoro di senso oltre che di risultato, ambienti di lavorativi capaci di creare relazioni con i colleghi e gli utenti ricche di significato.

Ritiene che, per valorizzare i lavoratori di cura, sia necessario realizzare piani di intervento sul welfare aziendale, applicando ad esempio il principio di incentivazione del personale anche se, laddove è stato adottato, provoca tuttavia un aggravio di spesa che va a ricadere necessariamente sulle rette. Secondo Chiaramonte, un altro forte segnale di miglioramento per trattenere il personale nelle Rsa potrebbe essere l'aumento medio di 156 euro per gli infermieri, atteso dalle prime stime di Aran nel corso delle trattative con il governo per il rinnovo del contratto del personale del comparto sanitario.

Viste le proiezioni nei prossimi dieci anni abbiamo bisogno di una riflessione importante al fine di creare un modello in grado di rispondere a 360 gradi a questa emergenza, ribadisce Maria Mastella, presidente di Oasi (Opere di assistenza e servizi integrati). Serve un modello che crei nuovi posti nelle Rsa, elimini liste d'attesa chilometriche, potenzi la domiciliarità nei confronti della quale la residenzialità deve essere un continuum – specifica -. Servono più risorse da parte dello Stato ma anche teste per creare una rete di salvataggio intorno a ciascun anziano del territorio evitando così che le famiglie si sentano abbandonate, conclude suggerendo altresì che per ridurre la fuga degli operatori occorre valorizzare e fidelizzare le risorse umane.

Denuncia come trovare sul mercato nuovi professionisti sia sempre più complesso poiché quei pochi che si iscrivono ai corsi di formazione organizzati periodicamente ed arrivano ad essere preparati, si spostano negli ospedali non appena viene pubblicato un bando di concorso pubblico. Così grazie a noi gli ospedali se li ritrovano già formati e competenti, sottolinea suggerendo il reclutamento del personale mancante iniziando a fare formazione all'estero, anche attraverso una corretta gestione dei flussi migratori.

Serve una completa riorganizzazione dell'assistenza sociosanitaria territoriale e delle governance, spesso troppo legate ai Comuni di afferenza, suggerisce la Cisl del Veneto secondo la quale un diverso riassetto creerebbe un circolo virtuoso tra risparmi di costi gestionali e ampliamento dei servizi con conseguente aumento delle entrate.

La sanità non è solo questione di ospedale. Un sistema virtuoso comincia dal domicilio e dal territorio per arrivare fino all'ospedale passando dalle indispensabili strutture intermedie territoriali. Serve un coordinato e puntuale investimento per integrare sanità e sociale al fine di garantire l'accesso alle cure in modo universale. È urgente, prima che sia troppo tardi, chiosa Chiaramonte.

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