Condannata all’ergastolo in primo grado per il reato di omicidio plurimo volontario e assolta in secondo, l’infermiera 61enne di Piombino rimane sospesa dal lavoro. L’Asl Toscana nord ovest, infatti, rimane in attesa dell’esito del terzo grado di giudizio per decidere come procedere nei confronti della dipendente che lavorava nell’ospedale Villamarina. Di fatto, la vicenda giudiziaria non è conclusa: la Procura generale di Firenze ha depositato in Cassazione il ricorso contro l’assoluzione della professionista sanitaria, ritenendo la motivazione della Corte d’appello carente, manifestamente illogica e contraddittoria
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Piombino, resta sospesa dal lavoro l'infermiera Fausta Bonino
Rimane sospesa dal lavoro Fausta Bonino, l’infermiera 61enne di Piombino (Livorno) condannata all’ergastolo in primo grado per il reato di omicidio plurimo volontario e assolta in secondo dalla Corte di Appello di Firenze – lo scorso gennaio – per non aver commesso il fatto
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Adesso, con la Procura generale del capoluogo toscano che ha depositato in Cassazione il ricorso contro l’assoluzione (di cui sono state rese note le motivazioni), l’Asl Toscana Nord Ovest aspetta l’esito del terzo grado di giudizio per decidere in che modo procedere nei confronti della professionista sanitaria che lavorava nell’ospedale di Piombino.
Anche quando il Tribunale del Riesame scarcerò Bonino – nell’aprile 2016 – l’Asl confermò la sospensione dell’infermiera in osservanza delle norme del contratto di lavoro che regolano i rapporti tra procedimento penale e disciplinare, con particolare riferimento al passaggio in cui è previsto che l’azienda o ente, cessato lo stato di restrizione della libertà personale, può prolungare il periodo di sospensione del dipendente fino alla sentenza definitiva
a specifiche condizioni tra cui rientra il protrarsi di fatti tali da comportare, se accertati, l’applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento
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A seguito della sua scarcerazione, Bonino – che si è sempre proclamata innocente – scrisse una lettera al datore di lavoro offrendo la propria disponibilità a riprendere servizio. Ma la richiesta venne respinta dall’azienda, considerato che la dipendente in quel frangente – così spiegò in una missiva – era l’unica indagata per presunti comportamenti dolosi all’atto della somministrazione di farmaci che avrebbero provocato i decessi anomali di dieci pazienti, tra il 2014 e il 2015, presso l’ospedale Villamarina. Va da sé che negli anni l’Asl ha proseguito a monitorare la vicenda giudiziaria. E adesso che l’infermiera è stata assolta in secondo grado, subentra la scelta di aspettare prima per valutare le motivazioni della sentenza d’Appello e poi in attesa dell’esito della Cassazione.
Già perché, come anticipato, l’intera vicenda non si è ancora conclusa. Secondo il procuratore generale Fabio Origlio che ha fatto ricorso alla Suprema Corte, la motivazione della Corte d’appello è carente e manifestamente illogica e contraddittoria perché da un lato afferma che al di là di ogni ragionevole dubbio i decessi sono stati causati o concausati da indebite somministrazioni di eparina in dosi massicce, ma trascurano il significativo dato della presenza costante di Bonino nei range orari delle iniezione dell’anticoagulante insieme al fatto che tutti gli altri sanitari figurano assenti in diversi episodi
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E mentre il giudice d’appello ritiene che più persone avrebbero potuto accedere al reparto per commettere gli omicidi
, il procuratore generale – che nel secondo grado aveva chiesto la condanna per nove dei dieci casi di pazienti deceduti su cui ci furono indagini del Nas dei carabinieri coordinate dalla Procura di Livorno – puntualizza altresì su questo aspetto: Avrebbe dovuto spiegare per quali ragioni l’ipotesi dell’autore unico non era fondata: sul punto la motivazione è assente. Nessuna tra le persone informate sui fatti ascoltate nel corso delle indagini ha mai accennato al verificarsi o al sospetto di intrusioni di estranei
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E ancora, la Procura generale ritiene: La premessa logica e indefettibile che sembra accettata e non esplicitamente confutata dalla Corte di assise di appello è che l’autore dei delitti sia stato unico: un serial killer solitario costretto dalle circostanze di tempo e di luogo ad agire con la massima rapidità nell'ambito di un unico e generico piano criminoso, approfittando di brevi finestre temporali che gli permettevano di agire senza essere visto per almeno 14 volte in 18 mesi, sempre in momenti in cui la presenza dell’imputata è compatibile
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