Mani pulite non hanno bisogno di guanti per coprirsi. Penso, con il flacone di gel disinfettante galenico tra le mani. L’igiene delle mani è garantita dall’acqua e sapone oppure da un prodotto a base alcolica. Mani pulite sono mani più sicure. La farmacia del mio nosocomio sta producendo la soluzione antisettica ogni giorno per sopperire alla carenza nei magazzini. E l’amuchina è tornata anche negli scaffali dei negozi dopo che la gente ne aveva fatto scorta nelle prime settimane. Ora la comprano molto meno, tanto ci sono i guanti, pensano.
Mi chiedo preoccupata perché la gente porti in questo modo i guanti
La regola aurea per combattere le infezioni ospedaliere ed extraospedaliere, da sempre considerate una grande sfida per i sistemi sanitari, è semplicemente lavarsi le mani. Un semplice gesto ripetuto che ciascuno dovrebbe ricordare di fare sempre, soprattutto in questi tempi pandemici.
Lo dicono le linee guida internazionali e le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Lo ha capito secoli fa un medico che assisteva le partorienti che morivano dopo aver dato alla luce la vita. L’ho studiato alla facoltà di Medicina e Chirurgia. Lo faccio da anni in corsia e a casa mia. È prassi, consuetudine, abitudine. Enormi cartelli appesi alle pareti del mio ospedale, lungo i corridoi di maggior afflusso dell’utenza, riportano il decalogo con le buone norme da rispettare per combattere il Coronavirus. Non si legge la parola Guanti.
I guanti non sostituiscono la necessità di effettuare l’igiene delle mani con un prodotto a base alcolica o con acqua e sapone (raccomandazione categoria IB, fortemente raccomandata per l’implementazione e supportata da studi sperimentali ed epidemiologici, clinici e da un forte razionale teorico).
Per migliorare la pratica è essenziale modificare i comportamenti. Ed è necessario educare e motivare le persone per favorire un cambiamento consapevole e responsabile. Mi chiedo preoccupata perché la gente porti in questo modo i guanti, non lasciano scoperto nemmeno un centimetro di pelle, il polso è ben coperto sotto le camicie e le giacche.
Se è solo per una disposizione di legge, allora la stanno pericolosamente rispettando con troppo insensato rigore senza porsi alcun interrogativo sulla sua ragionevolezza. Forte di questo sapere condiviso dalla comunità scientifica, invito gentilmente i pazienti a togliersi i guanti di nitrile e vinile, con i quali arrivano direttamente da casa e si mettono alla guida, quando entrano nell’ambulatorio di Pronto soccorso e si accomodano sulla poltrona dell’otorinolaringoiatra per la visita urgente o prioritaria, uniche prestazioni concesse con il Coronavirus in giro per far fronte all’emergenza sanitaria con efficienza ed efficacia.
Anche se sono valutate codici bianchi in Pronto soccorso generale. Anche se non tutte le impegnative dei medici di medicina generale sono reali urgenze. Indosso doppia mascherina, una chirurgica per proteggere il paziente da me e una facciale filtrante FP2 per proteggere anche me dal paziente. Siamo tutti potenzialmente infetti.
Rispetto le disposizioni aziendali. Ho caldo, si fatica a respirare. Ho occhiali protettivi sopra i miei da vista oppure indosso un caschetto con ampia visiera che mi protegge un volto di cui si vedono solo gli occhi. Penso ai miei colleghi nei reparti Covid, con tutto il resto dei dispositivi di protezione individuali addosso. E il caldo mi passa.
I pazienti sono perplessi e titubanti a togliere i guanti così come ad abbassarsi la mascherina per la visita. Questi accessori sembrano diventati già parte del loro corpo. Si tolgono i guanti senza rovesciarli, poi li appallottolano e fanno il gesto furtivo di metterseli in tasca, per calzarli dritti dopo.
Evita di riutilizzare i guanti (raccomandazione IB)
Li invito a gettarli nel sacchetto dei rifiuti patologici, dove devono stare che siano indossati il tempo di una prestazione assistenziale o per ore dopo essere andati in giro ovunque. E spiego, mentre gliene verso un po’ sul palmo sudato, che basta il lavaggio sociale delle mani, con il gel o con il sapone.
Sembrano capire, annuiscono, si fidano, chiedono scusa, talvolta imbarazzati o mortificati, qualcuno stizzito. Ma quando si alzano per uscire mi chiedono un altro paio di guanti. “Come faccio ora senza? Mi scusi infermiera me ne può dare un altro paio? E non potrebbe darmi anche una mascherina? Quella che ho è sporca e in farmacia costano o non se ne trovano come queste vostre chirurgiche”. Gliene consegno subito una bianca coi laccetti. “E i guanti non me li dà?”
Sulla porta giovani donne si fermano, la mano aperta sospesa sopra la maniglia in acciaio. “Non posso toccare! Come faccio infermiera, non ho più il guanto, può toccare lei?” Le guardo. Io sono a mani nude, disinfettate, a fine prestazione sulle loro laringi li ho gettati nel patologico.
Togli i guanti dopo aver prestato assistenza ad un paziente. Non usare lo stesso paio di guanti per più di un paziente (raccomandazione categoria IB).
Le invito gentilmente ad aprirla da sole rassicurandole con un sorriso e rafforzando con fermezza quanto ho spiegato poco prima. Molti altri entrano già con la paura addosso: “Non sarei mai venuto in ospedale, ho lasciato mia moglie in auto ad aspettarmi, le ho detto: vado da solo, rischio solo io”.
Siamo diventati un lazzaretto? Mi chiedo mentre faccio togliere i guanti neri anche a lui e gli spiego un concetto semplice. “Lei ha ragione, sono un poliziotto in pensione. Ma glielo dice lei a mia figlia che mi obbliga ad indossarli? Glielo dice lei a mio marito che non vuole essere multato? Glielo dice lei a mia moglie che risparmia e mi fa indossare gli stessi guanti per più giorni?”
E poi entra una graziosa bimbetta di quattro anni sul passeggino. Ha una maschera filtrante FP3, le cade sul naso, il suo viso scompare dentro, la madre continua a sistemargliela. Ed ha un paio di guanti di lana, quelli a manopola che si usano per giocare con la neve.
È una meravigliosa giornata di primavera, il vento gioca con i semi delle piante facendoli volare nell’aria calda che sembra d’estate. Signora, non serve basta che le lavi le mani o usi le salviette igienizzanti. “Sì, ha ragione infermiera ma io ho paura, è mia figlia”. Ed io così non aggiungo altro e le sorrido. Penso a mio figlio. E la lascio andare via coi guantini di lana che la bimba si rifiuta di indossare e piange infastidita. I guanti della madre sono sporchi e lacerati e toccano dappertutto.
Poi arriva una suora con il suo abito religioso di un candore immacolato. La chiamo in sala d’attesa, l’aspetto; è andata un attimo in bagno. Coi guanti bianchi. Ha fatto tutto coi guanti, si è pulita, ha tirato lo sciacquone. Lo sento dalla sala di attesa. Non si è lavata le mani.
Mi porge i documenti della consulenza del Pronto soccorso. Un altro codice bianco. Sporco. Lo prendo con le mani nude. Mi lavo le mani, indosso i guanti ed inizio la prestazione. Un tappo di cerume.
In tarda mattinata arriva un padre mascherato ed inguantato. La maschera con il massimo potere filtrante, una di quella da Covid, messa con molta fantasia; lo istruisco, gliela sistemo, gli spiego come toglierla. Gli ricordo che sarebbe monouso. Mi accorgo che i guanti color avorio sono lacerati sui polsi. O gli son stretti e li ha rotti calzandoli o li usa da un bel po’.
Porta suo figlio, un bambino di sei anni con i guanti nuovi taglia L sulle manine. Se le mani potessero inciampare come i fanno i piedi dentro calzini troppo grandi, inciamperebbero. Cadrebbero. E si farebbero male.
Mentre assisto il medico che gli ispeziona tonsille ed orecchie, ripenso ad un altro bambino che mi è stato raccontato da una collega mentre faceva la spesa al supermercato, dopo la fila in coda a distanza di due metri da un carrello all’altro e il distanziamento sociale lungo le corsie. Aveva le manine dentro sacchetti trasparenti tenuti fermi ai polsi da elastici. Vengo a sapere che su Amazon vendono stock di guanti e mascherine pediatrici. Vanno a ruba.
Mi accorgo che ho finito i guanti M per me e quelli L per il medico. Sull’armadio trovo appeso un avviso: i guanti sono contingentati, cominciano a scarseggiare. Si prega di usare preferibilmente quelli in vinile e di tenere quelli in nitrile quando servono davvero.
Cambia o togli i guanti spostandoti da un sito corporeo contaminato ad uno pulito sullo stesso paziente (raccomandazione categoria II, suggerita per l’implementazione e supportata da studi clinici o epidemiologici suggestivi o da un razionale teorico o dal consenso degli esperti).
Caspita, come il gel, le mascherine chirurgiche e filtranti? A fine turno scendo le scale e percorro corridoi e cortili per andare in spogliatoio e tornare rispettosa nell’isolamento di casa mia. Incrocio una sanitaria con una mascherina all’uncinetto verde sul viso, sta bene con la divisa verde. Il fai da te e il fashion mi inorridiscono. Perché significa che non si è capita la differenza tra un rettangolo di tessuto ricamato e un DPI.
E se non lo capisce un sanitario come posso pretendere lo faccia la gente semplice di strada? Mi imbatto in utenti e visitatori che hanno tutti i guanti su, probabilmente da ore visto il sudore che traspare tanto sono aderenti e bagnati. Penso a tutti i rossori, le irritazioni, le dermatiti che stanno sotto quei guanti. Vedo poche mani libere e nude, come sono belle! Come le mie.
Penso alla pelle che non respira. Penso che quei guanti che vanno a spasso ovunque hanno toccato di tutto. Oggetti e suppellettili. E si sono toccati. Capelli, nasi, indumenti. Quei guanti colorati fanno tutto quello che fanno generalmente le mani nude. Magari anche meglio, perché le persone si sentono protette con un bel paio di guanti. Con la differenza che i guanti non si lavano.
Si lavano bene le mani, ci hanno insegnato a strofinarcele con acqua e sapone sin da bambini. Chi si lava i guanti? Nessuno. Giro l’angolo e mi imbatto in un collega che si lava le mani inguantate d’azzurro con il gel del dispencer attaccato alla parete. Lo ha fatto anche il medico con cui ho lavorato oggi, sbadatamente forse, mentre mi dava ragione sulla assurdità di questo comportamento della gente.
Ho visto girare la coordinatrice della Centrale di sterilizzazione con i guanti sempre addosso, non portava cassette di ferri sporchi tra le mani. Camminava soltanto. Vado in mensa. Sul tavolo accanto un medico mangia con i guanti. Neri. A rispettosa distanza di sicurezza un operatore sociosanitario inforca la forchetta con il guanto, calzato sullo sulla mano destra. Che senso ha?
E allora capisco che se la paura del contagio fa dimenticare i principi base dell’igiene personale e pubblica, persino a chi ha fatto della salute un mestiere da professionisti, non stiamo andando da nessuna parte. Mi fa paura. Speravo fossero casi isolati.
È diventato un fenomeno sociale di massa
Passando accanto al parcheggio degli ospedalieri mi fermo per far passare le auto in uscita. Hanno le mascherine ancora sul viso, nella propria auto. Da soli. E i guanti stringono il volante. Lungo il marciapiede che mi porta a casa trovo mascherine e guanti azzurri gettati a terra. Mi sorpassa un medico in bicicletta. Con la maschera con filtro, il casco Covid e i guanti sul manubrio. In TV parlano di uscita di sicurezza nella fase due.
Mi ritrovo ad uscire per strada dopo il lavoro in ospedale e non vedo né uscita, né sicurezza, né fasi. Mi vedo dentro giorni di straordinaria follia di massa, dove si è perso per strada il buon senso oltre che la buona pratica
Ho bisogno di fermarmi in farmacia. Attendo in fila al mio posto distante dagli altri. Tiro fuori il gel e mi disinfetto le mani davanti al farmacista che ha doppi guanti, sotto uno schermo di plexiglass avvolto pure nel cellophane.
Ho bisogno di una cena, faccio un salto dal fruttivendolo sotto casa, tutto nei 200 metri. Evito gli affollamenti. Indosso i guanti trasparenti da ortofrutta che trovo all’ingresso, quelli in nitrile e in vinile in lattice li lascio agli infermieri. Me li metto quando sono una infermiera.
Come possono indossare un dispositivo di protezione individuale per prendere una patata e mettere nei carrelli ogni ben di Dio destinato a riempirsi la pancia e non a medicare e curare corpi?
I guanti proteggono il personale sanitario dal sangue e dai fluidi corporei, dalla cute non integra e dalle membrane mucose (raccomandazione categoria IC, richieste per l’implementazione da standard, regolamenti o leggi).
Le mani sono il mezzo con cui l’uomo entra in contatto con il proprio corpo, con quello degli altri e con il mondo che li circonda. Possono diventare fonte di infezione e sono ritenute il veicolo principale di trasmissione di agenti patogeni. Per questo il lavaggio delle mani è una delle più importanti misure di prevenzione.
I guanti proteggono nella misura estemporanea in cui capisco perché e come lo sto facendo. Quando invece diventano un’appendice, un alter ego della mano, fanno perdere la percezione del pericolo. Si pensa di proteggere le proprie mani e di proteggere gli altri. Si tocca e ci si tocca. Si lasciano parti di noi in giro, si porta in giro quel che abbiamo raccolto. Si pocia in giro, come dice la gente veneta. Come le mani nude non pulite i guanti non cambiati e indossati per ore diventano il principale vettore di contagio. Che sia un raffreddore, un battere. O il Coronavirus.
Le mascherine che non sono DPI non proteggono, ma servono tuttavia a ricordarci che in giro c’è qualcosa di pericoloso che si rischia di incontrare ogni volta che incrociamo qualcuno sulla nostra strada, che ci siede accanto sugli autobus, che lavora con noi troppo vicino.
Se le mascherine di qualsiasi stoffa e tessuto aumentano la percezione del rischio che si corre ogni volta che si esce di casa senza, i guanti indossati stupidamente così come si calzano le scarpe per camminare tolgono ogni percezione di pericolo oltre che il buon senso in circolazione. Non ci si può permettere questa leggerezza e questa ignoranza oggigiorno. Lo perdono solo alla gente per strada che non sa. E non mi stancherò di educarle. Per gli altri non ci sono giustificazioni, nemmeno per la paura.
rosslau
1 commenti
ben detto
#1
Mi rispecchio totalmente in ciò che hai scritto.
Continuo a praticare il lavaggio delle mani come operazione principale di igiene.
I guanti li uso solo per attività infermieristiche.