Il Covid è associato a deficit cognitivi oggettivamente misurabili a lungo termine che possono persistere per un anno e più dopo la fine dell'infezione. Seppure tale associazione si sia attenuata con il progredire della pandemia, è stato dimostrato che il virus Sars-CoV-2 è in grado di ridurre il quoziente intellettivo, l'indicatore del livello di intelligenza di un individuo.
Studio Imperial College rileva che il virus può “bruciare” fino a 9 punti QI
I primi periodi della pandemia, la durata più lunga della malattia e il ricovero ospedaliero rendono più forte tale associazione. Le implicazioni della persistenza a lungo termine di tali deficit nonché la loro rilevanza clinica rimangono tuttavia poco chiare ed incerte, pertanto giustificano una sorveglianza continua.
È quanto emerge dallo studio osservazionale “Cognizione e memoria dopo il Covid-19 in un ampio campione comunitario”, condotto dall'Imperial College di Londra su un campionamento casuale - che ha coinvolto 112.964 partecipanti - e finanziato dal National Institute for Health and Care Research.
Secondo i significativi risultati della ricerca, pubblicata sul New England Journal lo scorso 29 febbraio, il quoziente intellettivo perderebbe da 3 ai 9 punti nella scala standardizzata che permette di misurare il QI. Hampshire, Azor et al. hanno dimostrato che tali deficit cognitivi risultano tuttavia minori tra coloro che sono stati infettati durante gli ultimi periodi di variante rispetto a quelli che sono stati colpiti dal virus originale o dalla sua prima variante alfa.
Partendo dal presupposto che i sintomi cognitivi dopo la malattia causata dalla sindrome respiratoria acuta grave da coronavirus 2 sono ben riconosciuti ma che non era ancora chiaro se esistessero deficit cognitivi oggettivi e misurabili e per quanto tempo potessero persistere, i ricercatori hanno sottoposto i partecipanti ad una valutazione on line sulla propria funzione cognitiva, stimando un punteggio cognitivo globale in otto attività specifiche.
Si aspettavano di riscontrare disturbi del funzionamento esecutivo e della memoria soprattutto in coloro che riferivano sintomi persistenti (della durata superiore alle 12 settimane) e specialmente in quelli che lamentavano scarsa memoria o difficoltà a pensare o a concentrarsi, condizione descritta come “nebbia cerebrale”.
I ricercatori hanno eseguito analisi stratificate in base al periodo della variante su un campione che ha incluso, nella casualità del reclutamento, casi più asintomatici e più lievi rispetto a quelli che si sarebbero acquisiti negli studi clinici o ospedalieri.
È emerso inoltre che le persone con sintomi risolti presentavano deficit minimi simili al gruppo no Covid.
I deficit cognitivi interessano compiti di memoria, ragionamento e pianificazione
Si è scoperto che le prestazioni in questi compiti differivano a seconda della durata della malattia e del ricovero in ospedale. I punteggi assegnati erano correlati, seppur debolmente, con una riferita recente scarsa memoria o confusione mentale sia tra i partecipanti con sintomi risolti e quelli con sintomi irrisolti, evidenziando così che, sebbene tali sintomi siano imprecisi, possono riflettere deficit comunque oggettivamente misurabili.
Si è osservato che la memoria scarsa è caratterizzata da una ridotta accuratezza nel riconoscimento immediato e ritardato piuttosto che dall'oblio accelerato e che tale condizione è fisiopatologicamente riconducibile ad una infiammazione del lobo temporale medio del cervello e dell'ippocampo.
Associando gradualmente il deficit cognitivo globale alla durata della malattia, è stato evidenziato che il punteggio medio era inferiore tra i partecipanti con sintomi persistenti irrisolti in tutti i periodi di variante (virus originale, variante alfa, variante delta, variante omicron). Tra i partecipanti con sintomi risolti di breve durata, inferiori alle 4 settimane, tale punteggio è risultato inferiore soltanto nel primo periodo della pandemia, quando circolava il virus originale e la variante alfa, ma non nei periodi successivi con la variante delta e la omicron.
Tenendo in considerazione alcune caratteristiche demografiche, il numero di condizioni preesistenti e il periodo di variante, si è inoltre osservato che il deficit cognitivo risultava maggiore nel gruppo delle persone non vaccinate. Coloro che avevano ricevuto due o più dosi di vaccino presentavano un piccolo vantaggio cognitivo oltre ad un effetto minimo di episodi ripetuti di Covid.
Pur sottolineando che la probabilità dei ricoveri per Covid è progressivamente diminuito nel tempo, il ricovero in terapia intensiva è stato associato a differenze cognitive maggiori rispetto a coloro che non hanno mai contratto il Covid, anche se questo risultato è in linea con dati precedenti di deficit cognitivi su scala medio-ampia nei pazienti ricoverati in una unità di terapia intensiva che presentano generalmente conseguenze cognitive associate alle cure critiche.
Secondo i risultati dello studio, i partecipanti con sintomi persistenti risolti dopo Covid-19 avevano pertanto misurato oggettivamente una funzione cognitiva simile a quella dei partecipanti con sintomi di breve durata, sebbene il Covid-19 di breve durata fosse ancora associato a piccoli deficit cognitivi dopo il recupero.
Tuttavia, la scoperta che i partecipanti con sintomi persistenti risolti avevano deficit cognitivi globali simili a quelli con sintomi di breve durata suggerisce che le persone con sintomi persistenti irrisolti possano avere qualche miglioramento cognitivo una volta che i sintomi si risolvono.
I ricercatori ritengono che nell'analisi si debba tener conto, comunque, che i deficit cognitivi osservati in coloro che erano stati infettati durante la prima ondata della pandemia con il virus originale coincidono con il maggior picco di tensione sui servizi sanitari e con la mancanza di trattamenti di comprovata efficacia in quel periodo.
Lo studio ha confermato infine l'associazione tra deficit cognitivi e una notevole varietà di sintomi, tra cui gli sbalzi di umore e l'affaticamento. Concludono pertanto che altri fattori sottostanti, eterogenei e molteplici, possano contribuire ai deficit cognitivi dopo Covid-19.
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