La perfezione di una organizzazione sanitaria non la si evince dalle enunciazioni astratte dei soliti burocrati, ma da ciò che realmente accade nei reparti. Il punto di vista di una studentessa infermiera.
GENOVA. Nel nostro corso di laurea abbiamo numerosi blocchi da superare; vi sono esami che comprendono al loro interno numerose materie e questo ci permette di confrontarci anche con diversi insegnanti. Abbiamo tra i vari professori infermieri, coordinatori, medici e psicologi e ognuno porta con se la propria conoscenza.
Proprio questo ci permette di riflettere e pensare a come una professione e la propria posizione possa farti avere una visione differente del medesimo concetto.
Ognuno porta le proprie esperienze per farci apprendere al meglio il concetto. Alcuni, puntano a farci crescere professionalmente mentre altri ci permettono un'apertura a 360 verso la persona e di quello che ruota intorno ad essa. Caratterizza queste due impostazioni la frase "non è di mia competenza".
L'insegnamento che parte dal primo anno è il concetto professionalità. Ci insegnano a rispettare i ruoli per non andare incontro ad uno scambio di professioni. Ogni figura sanitaria all'interno della struttura ha un compito.
Ma se il sistema ha dei deficit chi ci rimette?
A chi compete il paziente in appoggio da un altro reparto? Chi se ne può occupare realmente senza lasciare che egli si senta fuori luogo e a volte un peso?
Questi sono i ragionamenti che fuoriescono da altre lezioni.
Il problema che sopraggiunge quindi è sempre il gap tra pratica e teoria.
Crediamo, dopo gli anni di studio di arrivare in un luogo dove ognuno ha il proprio ruolo e tutto funziona in modo tale da avere come protagonista il paziente.
Purtroppo però, questa organizzazione non sempre funziona. Il personale, arrivato nella nuova azienda, si ritrova spaesato, incapace di far funzionare le cose nel migliore dei modi e quindi si ritrova demotivato. Non riesce più a comprendere tutte le esigenze del degente poiché si ritrova a dover combattere contro un sistema non del tutto organizzato. Allora trova il modo di difendersi e pensa che continuare a fare solo la sua parte, solo quello che gli compete, sia la scelta oottimale.
Questo meccanismo di difesa colpisce tutta l'équipe e comporta sempre uno scarico di problemi che, difficilmente, verrà risolto da qualcuno.
A mio avviso, mantenere la propria professionalità, significa anche riuscire a comprendere i buchi del sistema ed agire.
Essere professionisti significa non nascondersi dietro ad un'organizzazione non sempre perfetta.
Dobbiamo essere noi a cambiare il sistema, non dobbiamo fare in modo che esso cambi noi.
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