Nurse24.it

dalla redazione

Chi fuma è scemo

di Redazione

chifumascemo

Ma anche chi non si mette il casco! La campagna di sembilizzazione del ministero della Salute

ROMA. Nino Frassica testimonial della Campagna contro il fumo 2015 del Ministero della Salute "Ma che sei scemo? Il fumo fammale!" (tutto attaccato). Primo spot dedicato ai giovani.

Il fumo di tabacco provoca più decessi di alcol, aids, droghe, incidenti stradali, omicidi e suicidi messi insieme e si stima che l’epidemia del tabacco sia una delle più grandi sfide di sanità pubblica della storia.

 

Nel mondo


I fumatori nel mondo sono circa 650 milioni. Secondo l’Oms, il fumo è “la prima causa di morte facilmente evitabile”, responsabile ogni anno della morte di 5 milioni di persone in tutto il mondo per cancro, malattie cardiovascolari e respiratorie. Un numero peraltro destinato ad arrivare a 10 milioni entro il 2030, se non saranno adottate misure efficaci.
Nell’Unione europea si stima che fumino 4,5 milioni di persone e che ogni anno siano 650 mila i decessi correlati al fumo.

Lo scenario italiano


Numerosi studi epidemiologici e statistici, realizzati negli ultimi anni, consentono di delineare la dimensione del consumo di tabacco in Italia, fornendo un profilo dei fumatori e delle loro abitudini. In particolare, l’Osservatorio fumo alcol e droghe dell’Istituto superiore di sanità (Oss-fad), ha pubblicato il rapporto nazionale sul fumo in Italia 2005. Anche la Doxa ha effettuato l’indagine sul fumo 2004, della quale è disponibile anche una sintesi, per conto dell’Iss in collaborazione con l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e la Lega italiana per la lotta contro i tumori (Lilt).

Sulla base dei dati Istat relativi al 2000, nel nostro Paese i decessi attribuibili al fumo sono 81.855 (65.613 maschi e 16.242 femmine). I risultati dell’indagine Istat “Condizioni di salute, fattori di rischio e ricorso ai servizi sanitari”, riferita al periodo dicembre 2004-marzo 2005, indica che nel nostro Paese i fumatori sono 10 milioni e 925 mila, pari al 21,7% della popolazione di 14 anni e più (contro il 23,9% della precedente indagine multiscopo del 2003).

Il 27,5% dei fumatori sono maschi, il 16,3% delle femmine. La percentuale più alta di fumatori è nell’Italia centrale (23,5%), la più bassa al Sud (20,5%). Riguardo alle classi d’età, per gli uomini la quota più elevata di fumatori è tra i 25 e i 34 anni (35,4%), mentre per le donne è tra i 45 e i 54 anni (24,5%). I fumatori abituali, che fumano cioè tutti i giorni, sono il 19,7% della popolazione e consumano mediamente 14,8 sigarette al giorno. Dei fumatori abituali, il 37,1% sono forti fumatori, con almeno 20 sigarette al giorno.
Se nel tempo i fumatori stanno diminuendo (erano il 34,9% della popolazione dai 14 anni in su nel 1980 e il 23,9% nel 2003), aumentano le disuguaglianze sociali nel consumo di tabacco ma con andamenti differenziati nei due sessi e nelle diverse fasce di età. Tra gli uomini, la quota dei fumatori aumenta al decrescere del titolo di studio conseguito: trai laureati è il 21,9% mentre è il 31,7% tra coloro che hanno conseguito la licenza media. Fra le donne più anziane sono invece le più istruite a far registrate la maggiore percentuale di fumatrici: il 14,9% contro il 4,3% delle donne con il basso titolo di studio.

Per quanto riguarda adolescenti e giovani, iniziano a fumare più precocemente di cinque anni fa: il 7,8% dei giovani di 14-24 anni, infatti, ha iniziato a fumare prima dei 14 anni. Rispetto al 1999-2000, la quota di quanti iniziano a fumare prima dei 14 anni aumenta solo per i maschi (+60%). Per entrambi i sessi, sale invece la quota di giovani di 18-24 anni che riferisce di avere iniziato a fumare tra i 14 e i 17 anni, passando dal 57,8% nel 1999-2000 al 65,6% del 2005, con un incremento del 13,5%.

In Italia, il 21,6% delle persone dai 14 anni in su dichiara di essere ex fumatore (il 29,2% degli uomini e il 14,5% delle donne). Il 93,8% degli ex-fumatori riferisce di avere smesso da solo. Oltre il 50% degli ex fumatori ha smesso di fumare da oltre 10 anni e il 18,8% da 2-5 anni. Si smette intorno ai 40 anni e la decisione matura mediamente dopo 22 anni di abitudine. In calo inoltre la quota di donne che fuma in gravidanza: dal 9,2% al 6,5%.

I dati relativi all’esposizione a fumo passivo nei bambini sono stati messi a disposizione dallo studio Icona 2003, realizzato da Profea. Icona è principalmente dedicato a valutare la copertura e i servizi vaccinali nelle regioni italiane, ma ha preso in considerazione anche altri indicatori importanti per la salute e il benessere del bambino. L’indagine, realizzata mediante interviste a oltre 4600 famiglie in tutta Italia, ha messo in luce che il 52% dei bambini al secondo anno di vita sono esposti a fumo passivo.

I costi del fumo in Italia


I drammatici effetti del fumo sulla salute sono ormai ampiamente dimostrati scientificamente da almeno quattro decenni. Data la varietà di condizioni patologiche conseguenti non è però semplice stimare l’impatto economico che l’abitudine di fumare comporta sia sui sistemi sanitari nazionali per l’assistenza ospedaliera necessaria che sulla produttività lavorativa per i giorni di lavoro perso. Di questo si occupano diversi studi, come ad esempio l’indagine Fumo e salute: impatto sociale e costi sanitari (pdf 345 kb), curata da Rosaria Russo e Emanuele Scafato, dell’Iss, che analizza diversi tipi di costi economici e finanziari.

L’Analisi dell’impatto economico e sociale delle patologie fumo-correlate in Italia è stata pubblicata nell’ottobre 2001 dal centro ricerche oncologiche Giovanni XXIII dell’Università Cattolica di Roma, ed è disponibile sul sito dell’Osservatorio sul tabacco dell’Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori di Milano. Lo studio quantifica i costi a carico del Ssn per il trattamento delle patologie riconducibili, secondo una estesa analisi della letteratura scientifica che è inclusa nella pubblicazione, all’uso di tabacco, in base alle Sdo disponibili fino all’anno 1997.

Sui costi sanitari associati all’esposizione a fumo passivo, invece, si concentra la Valutazione quantitativa dell’impatto sanitario dell’esposizione a fumo passivo in Italia, curata da Francesco Forastiere e colleghi, pubblicata nel maggio 2001.

Le strategie vincenti e i benefici


Identificare le strategie più corrette per promuovere la riduzione e la cessazione dell’uso di tabacco è un compito non semplice. Esistono quindi diversi studi e revisioni al riguardo. In attesa di vedere quali saranno le decisioni prese in Italia per attuare il divieto previsto dalla legge 3/2003, proponiamo due contributi pubblicati su riviste internazionali che dimostrano l’efficacia di alcuni strumenti.
Il British Medical Journal ha dedicato al tema una serie di articoli nei primi mesi del 2004, ABC of smoking cessation (EpiCentro ha tradotto in italiano gli abstract di questi articoli e mette a disposizione la versione integrale in inglese). Gli articoli analizzano le motivazioni che inducono le persone a fumare e, successivamente, le strategie messe in campo per ridurre la dipendenza da tabacco e per aiutare la popolazione a smettere di fumare, valutandone l’efficacia e confrontandone l’attuazione in diversi casi. Negli Stati Uniti, un’equipe dell’Università del Missouri-Columbia ha monitorato per tre anni gli effetti dell’introduzione del divieto di fumo sul posto di lavoro. Lo studio è stato pubblicato, ed è consultabile a pagamento, sulla rivista Tobacco control nel 2001 (Vol. 10, p. 267-272) con il titolo “A prospective investigation of the impact of smoking bans on tobacco cessation and relapse”. I risultati dell’indagine dimostrano che più lavoratori smettono di fumare se il divieto è introdotto. Lo studio, però, ha anche rilevato che la percentuale di persone che riprendono a fumare è la stessa indipendentemente dalla presenza o meno del divieto.


Fonte: http://www.epicentro.iss.it/default.asp

Commento (0)