Quando l'animo dell'Altro diventa un torace da comprimere
Che devo fare? La morte mi incalza, la vita fugge. Insegnami come affrontare questa situazione
Dimmi, quando sto per andare a dormire: può darsi che tu non ti svegli più. Dimmi, quando mi sono svegliato: può darsi che tu non ti addormenti più. Dimmi, quando esco: potresti non tornare più. Dimmi, quando ritorno: potresti non uscire più .
Leggo più volte, lentamente, queste parole. Quasi a voler rintracciare negli spazi d'attesa tra un significato e l'altro una verità che nel profondo del mio animo umano mi chiama, sgomita per venire fuori, depredata della mia attenzione per troppo, relativo, tempo.
Sono parole che Lucio Anneo Seneca scrive nelle "Lettere morali a Lucilio", ma potrebbero essere quelle di due amanti, di un genitore e un figlio o di due amici che si ricordano l'un altro di donare significato agli istanti di vita rimanenti, ignari di quando e come l'attimo finale li coglierà. Potrebbero essere le nostre, le mie parole. Potrebbero.
Fin troppo spesso, però, ognuno di noi per l'intero arco della sua finita vita si dimentica di queste parole, che vibranti, lapidarie e indomite rimangono dove sono, messaggere, anche se decidiamo di non poggiare lo sguardo su di loro. E noi, insipidi, passiamo.
Viviamo la nostra quotidianità come fossimo destinati all'eternità , scialacquando il nostro misero tempo a disposizione. Ci ripetiamo, come un mantra, che più avanti ci sarà l'occasione di occuparci delle nostre virtù.
Ci raccontiamo, rincuorandoci, che ci sarà sempre tempo per dimostrare il nostro amore alle persone che amiamo, per dire le cose che sentiamo di dover dire, per fare le cose che sentiamo di voler fare, per decidere di agire da giusti, per prendersi cura di sé e dell'altro. Ma prima o poi questo tempo finisce, lasciando la vita afasica. Un libro pieno di introduzioni, nessuno svolgimento e la fine. Chiuso per sempre.
La morte mi precede e mi segue lungo il cammino : tutto ciò che ho vissuto risiede nella mia mente sotto forma inconscia, onirica o di ricordo, ma di vivo questi frammenti non hanno più nulla, se non io che li esperisco e li modello, di volta in volta, nel mio animo. Il mio passato è già disteso nella tomba e ad esso, attimo dopo attimo, giorno dopo giorno, si ricongiungerà il mio presente e il mio futuro. Tutto, fino all'ultimo granello di tempo che mi è concesso di vivere.
Che devo fare? La morte mi incalza, la vita fugge. Insegnami come affrontare questa situazione; fa' che io non fugga la morte, che la vita non fugga me. Incoraggiami contro le difficoltà, contro i mali inevitabili; prolunga il poco tempo che ho. Insegnami che il valore della vita non consiste nella sua durata, ma nell'uso che se ne fa; che può accadere, anzi accade spessissimo, che chi è vissuto a lungo è vissuto poco . Questo scrive Lucio Anneo Seneca.
In queste righe risiede l'angoscia dell'Uomo d'innanzi al tempo che fugge, divorandoci le membra, fagocitando nell'oblio i nostri affetti più cari, rendendo rudere le nostre opere. Un Uomo, come me e te, che chiede Che devo fare? di fronte alla sua natura più cruda e veritiera.
Un Uomo, come me e te, che chiede parole d'amico di fronte alle difficoltà, contro i mali inevitabili che la vita gli pone di fronte. Un Uomo, come me e te, che cerca di ricordarsi che il valore della vita risiede più nella sua qualità, che nella sua quantità .
E tu, Uomo, che devi fare? Cosa devi fare di fronte alla tua propria morte? Cosa devi fare di fronte alla morte dell'Altro? Emmanuel Lévinas in "Etica come Filosofia prima" scrive così:
La morte dell'altro Uomo mi chiama in causa e mi mette in questione, come se io diventassi, per la mia eventuale indifferenza, il complice di questa morte, invisibile all'altro che vi si espone; è come se, ancora prima di esserle io destinato, avessi da rispondere di questa morte dell'altro: come se non dovessi lasciarlo solo nella sua solitudine mortale .
Persona incosciente . Assenza di segni di vita. Chiama dentro e fatti inviare l'ALS . Inizio il massaggio. 1, 2, 3, 4...25, 26, 27, 28, 29, 30.
Insuffla. Insuffla. RCP. 1, 2, 3... Allontanarsi dal paziente. Analisi in corso. Ritmo non defibrillabile. Ricominciare RCP.
In momenti come questi vorresti massaggiare e al tempo stesso abbracciare i pianti che arrivano dalla stanza accanto. Il tempo, dentro e fuori di me, pare non esistere più. Solo un ticchettio che scandisce i 100bpm mi ricorda di lui. Rimane unicamente quel filo di vita sospeso sull'abisso, inerme.
Mani abbandonate su un parquet freddo di una cucina allestita Ikea. Mani che si muovono ritmiche, recitando la parte di un cuore mutacico. Mani che asciugano lacrime di cose lasciate in sospeso. Mani coraggiose che tentano di sedurre i pochi barlumi di vita rimasta, con movimenti rapidi e tecnici.
Non c'è tempo per dare spazio alle emozioni più recondite in quei minuti: esistono solo delle vie aeree e un torace. Per mantenere i nervi saldi il viso dell'Altro diventa inguardabile, gli occhi privi di scintilla un abisso indesiderabile, insondabile.
L'animo dell'Altro diventa un torace da comprimere . Il soffio vitale una insufflazione efficace. Nient'altro, fino all'arrivo dell'automedica .
Gli anni, le ore, ti cercheranno e non ti troveranno. Passeranno dentro i raggi del sole, ruoteranno intorno al collo di altre persone e si chiederanno dove sei , scrive Caramagna.
Dove sei? Non sei più sotto i miei palmi. Non sei più in quegli occhi scuri. Non sei più in quel corpo, sotto il telo portaferiti, che alzo in sacro silenzio. Sembra che tu non sia più. O forse, davvero, non sei più. Ma quel pianto nella stanza accanto, ora diventato silenzio, ti cercherà negli anni, nelle ore trascorse insieme e lì ti troverà ancora intento a cercare di diventare ciò che sei. Nonostante la malattia, tu. Frammento vivo nella mente di chi ti ha amato.
Qui prendono significato quelle parole scritte nella Bibbia, nel Cantico dei Cantici: Mettimi come sigillo sul tuo cuore, perché forte come la morte è l'amore .
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