L’Istituto Superiore di Sanità, riprendendo i dati del Ecdc, European Center for Disease prevention and Control, ha dichiarato che l’Italia è fra i paesi europei con la presenza di una più alta resistenza agli antibiotici. Nella maggior parte dei casi viene puntato il dito contro un cattivo uso dell’antibioticoterapia. Più fattori entrano in gioco. In questo il ruolo infermieristico risulta non di secondaria importanza, sia sul piano della sorveglianza, sia su quello di vero e proprio strumento educativo nei confronti di un approccio preparato e funzionale al trattamento terapeutico delle malattie trasmissibili. Una chiave di lettura può derivare da una conoscenza aggiornata dell’antibiogramma come strumento di definizione delle strategie terapeutiche d’attacco.
Antibiogramma, capacità di valutazione infermieristica
L’antibiogramma, Abg, è un esame che permette in vitro di verificare il grado di sensibilità di un batterio verso un antibiotico, a diverse concentrazioni, e viene eseguito su materiale biologico (sangue, urine, saliva, ecc…) messo in coltura. Le linee guida in materia seguono gli standard stabiliti dall’Eucast (European Comitee on Antimicrobial Susceptibility Testing), l’autorità scientifica internazionale riconosciuta in materia. Il prelevamento del materiale è il primo passo importante per la riuscita dell’esame, al fine di evitare contaminazioni esterne del materiale in oggetto e raccogliere la quantità di materiale organico necessario all’esame.
Le metodiche maggiormente diffuse sono quella manuale di Kirky-Bauer e la microdiluizione in brodo. Quest’ultima in particolare consente per i vari farmaci testati di stabilire una minima concentrazione inibente, Mic, nei confronti della crescita del microorganismo esaminato, lungo due diversi valori di attenzione (breakpoint, fissati secondo parametri microbiologici, farmacologici e clinici) che definiscono tre diverse categorie valutative: sensibile (S), intermedio (I) e resistente (R).
La Mic evidenzia la capacità inibente del farmaco nei confronti del microorganismo in esame e non necessariamente corrisponde al suo potere battericida. In questo caso verrà calcolata, con altre procedure, la quantità di farmaco in grado di uccidere il 99,9% degli organismi testati, e questo corrisponderà alla Mbc (minima concentrazione battericida). La Mbc può corrispondere o essere superiore alla Mic. Quanto affermato va preso in considerazione sempre con le condizioni cliniche dell’individuo esaminato (es. immunodepressi, anziani con polipatologie ecc…).
I valori che in un referto di laboratorio verranno indicati accanto alle varie molecole esaminate sono preceduti dalla lettera indicante la relativa Mic (S, R, o I) e da segni di uguale, maggiore o inferiore seguiti da un numero. Più basso è il valore numerico espresso maggiore sarà la sensibilità evidenziata di quell’organismo nell’essere inibito alla crescita al farmaco testato A tutto ciò si unisce, come detto, la valutazione clinica che terrà in considerazione anche della patogenicità del microorganismo esaminato, il grado e la sede dell’infezione, le caratteristiche del trattamento terapeutico da approntare (dose, tempi, controindicazioni, vie di somministrazione, etc.). Queste considerazioni diventano di rilievo nel ritornare la funzionalità di quanto detto in termini assistenziali. Il possibile gap interpretativo che si crea fra l’analisi laboratoristica e la valutazione clinica chiama in causa il ruolo infermieristico in termini di educazione sanitaria e di relazione assistenziale. Entrambe utili ad approcciarsi nei confronti del paziente, del suo caregiver o del nucleo familiare al fine di modulare l’interpretazione dei risultati in termini dinamici, legati sempre al ruolo centrale del professionista medico e fuori da immediate ed erronee valutazioni che la semplice lettura delle sigle di sensibile, resistente o intermedio possano indurre.
Nel rispetto delle differenze di ruolo e competenze a sua volta la capacità di valutazione da parte infermieristica dei risultati di un antibiogramma lo conduce a una migliore attenzione in primo luogo nelle fasi di prelevamento del campione biologico da esaminare, e successivamente gli permette, in una prospettiva multidisciplinare una migliore partecipazione alle decisioni cliniche adottate dai professionisti medici.
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