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salute mentale

La sindrome di Stendhal

di Francesca Gianfrancesco

La sindrome di Stendhal è un disturbo psico-somatico che si manifesta con una sensazione di malessere diffuso associato ad una sintomatologia psichica e fisica, di fronte ad opere d’arte o architettoniche di notevole bellezza, specialmente se si trovano in spazi limitati. Nota anche come “Sindrome di Firenze”, poiché è nella città toscana che si è registrato il maggior numero di casi, colpisce persone esperte ma anche non esperte di arte che si ritrovano a vivere una situazione emotiva molto coinvolgente. Il soggetto colpito resta in una sorta di estasi contemplativa al cospetto di opere d’arte e capolavori di enorme bellezza.

Cos’è la sindrome di Stendhal e come si manifesta

La sindrome di Stendhal rientra nei disturbi psicosomatici transitori

Le manifestazioni della sindrome di Stendhal variano da persona a persona e comprendono diversi sintomi che possono essere più o meno gravi così come può essere differente l’opera d’arte che fa scaturire il disturbo.

Si presenta in maniera improvvisa e inaspettata. Le persone che ne sono affette sono principalmente di sesso maschile, sensibili all’arte, con un'età compresa tra i 24 e i 40 anni, viaggiatori, per lo più soli, con un buon grado di istruzione scolastica.

La sindrome di Stendhal non può essere propriamente definita una malattia, poiché non inclusa nei manuali di psicologia, ma rientra nei disturbi psicosomatici transitori caratterizzati da attacchi di panico, dispercezione del mondo esterno, depersonalizzazione e derealizzazione. Il soggetto colpito resta in una sorta di estasi contemplativa al cospetto di opere d’arte e capolavori di enorme bellezza.

Generalmente gli effetti sono lievi e transitori, ma l’individuo non sapendo cosa stia succedendo potrebbe chiedere aiuto o in caso di effetti e manifestazioni più severe potrebbe essere necessario l’intervento di personale sanitario.

Le persone che manifestano la sindrome di Stendhal riferiscono di essere state sopraffatti dalla bellezza delle opere d’arte che osservavano e alcuni raccontano di non essersi più sentiti nel proprio corpo.

Malessere generalizzato, tachicardia, vertigini, svenimento, confusione mentale, allucinazioni, attacchi di panico, difficoltà respiratoria, incontrollabile euforia o depressione sono solo alcuni dei sintomi più comuni che caratterizzano la sindrome di Stendhal.

Dal punto di vista clinico queste manifestazioni vengono raccolte in tre gruppi:

  • Quadro clinico meno grave: la persona avverte palpitazioni, senso di oppressione toracica, difficoltà respiratoria, vertigini, svenimento. È in atto un vero e proprio attacco di panico e ansia somatizzata. I soggetti sviluppano un vago senso di irrealtà (derealizzazione) e depersonalizzazione (“uscire dal proprio corpo”). È spesso riportato un bisogno immane di tornare nella propria casa e di parlare la propria lingua
  • Il secondo quadro clinico è caratterizzato da crisi di pianto, stati depressivi, sensi di colpa immotivati, angoscia profonda o, all’opposto, stato di euforia, eccitazione ed esaltazione di sé non controllabili. Questa fase calca i disturbi dell’affettività
  • La terza forma si manifesta con più frequenza in soggetti che già in passato hanno mostrato segni di scompenso psicologico. È caratterizzata da allucinazioni visive ed uditive, con alterazione delle percezioni, dei suoni, delle forme, dei colori. Il soggetto percepisce l’ambiente circostante come persecutorio

Generalmente i disturbi sono transitori e scompaiono allontanandosi dall’opera d’arte che li ha scatenati. Sono presenti però episodi prolungati di ore o addirittura di qualche giorno.

Perché si chiama sindrome di Stendhal

La prima testimonianza di manifestazioni di malessere di fronte ad un'opera d’arte ci viene riportata dallo scrittore francese Marie-Henri Beyle, in arte Stendhal, che nel 1817 lo raccontò nel suo libro “Roma, Napoli e Firenze”.

Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere.

Durante la sua visita nella Basilica di Santa Croce a Firenze lo scrittore avvertì un disagio e un malessere tali da spingerlo a descrivere gli effetti sperimentati in prima persona. Solo molti anni dopo il disturbo venne analizzato e classificato per la prima volta dalla psichiatra Graziella Magherini.

Siamo nel 1977 quando la dottoressa studiò un campione di 106 turisti stranieri in visita a Firenze, tutti colpiti da malessere e disagio psichico improvviso e di breve durata. La maggioranza di sesso maschile, con un'età compresa tra i 25 e 40 anni. Con un buon livello di istruzione, provenienti dall’Europa Occidentale o dal Nord America, prediligevano le mete artistiche. Il disagio si era presentato poco dopo l’arrivo a Firenze e in corrispondenza delle visite in musei o ad opere d’arte.

Distinguere e classificare tutti i sintomi non fu certo facile, soprattutto a causa delle sfumature e dell’intensità con cui i sintomi stessi si erano manifestati: alcuni di loro presentavano disturbi del contenuto e della forma del pensiero con dispercezioni, allucinazioni e stati deliranti; altri presentavano disturbi collegati all’affettività; altri ancora avevano i classici sintomi riferibili agli attuali criteri diagnostici degli attacchi di panico con crisi di ansia.

Rapporto tra opera d’arte e beneficiario

La dottoressa Magherini ha elaborato anche una formula contenente varie teorie psicoanalitiche, che permette di spiegare il rapporto tra opera d’arte e “beneficiario”. Secondo la psichiatra, infatti, l’impatto emotivo che si sviluppa nei confronti di un'opera d’arte è determinato da diversi fattori, intrinseci ed estrinseci.

Quelli estrinseci sono di tipo culturale, intellettuale, imputabili alla nostra formazione e alle nostre ideologie. I fattori intrinseci invece sono quelli che riguardano il nostro vissuto, legati alle nostre emozioni e ai sentimenti soprattutto primordiali, cioè derivanti dal rapporto madre-figlio.

Fruizione artistica = Esperienza estetica primaria madre-bambino + Perturbante + Fatto scelto

Per “esperienza estetica primaria madre-bambino” si intende il primo contatto con la bellezza, rappresentata dal viso, dai seni, dalla voce della mamma. Il “perturbante” è invece un concetto freudiano che racchiude in sé un’esperienza conflittuale passata, molto intensa e significativa dal punto di vista emotivo, ma che è stata rimossa.

La visione dell'opera d’arte, o meglio, di un preciso particolare (“il fatto scelto”) cattura l’attenzione del fruitore richiamando alla mente vissuti personali ed emozioni così intense da far accendere la sintomatologia psicofisica.

Anche lo stesso Freud si era interessato all’interpretazione delle opere d’arte affermando che tramite le loro opere gli artisti manifestano i loro conflitti profondi legati all’infanzia e le fantasie edipiche represse, comunicando sotto forma di espressione artistica.

La sindrome di Stendhal, tuttavia, non è mai stata approfondita da un punto di vista scientifico, ma pone comunque l’attenzione su alcuni concetti psicoanalitici come empatia, proiezione, internalizzazione ecc. che in passato sono stati abbandonati, poiché la loro origine neurale era sconosciuta.

La sindrome di Stendhal dal punto di vista della neurobiologia

Dal punto di vista della neurobiologia il dottor Semir Zeki ha provato ad elaborare una teoria sulle reazioni cerebrali e neuronali che si innescano alla visione di un'opera d’arte e che portano alla sindrome di Stendhal. Il neurologo spiega come ognuno di noi ha un “cervello artistico”, che elabora le immagini quando ci troviamo di fronte ad un'opera d’arte.

I soggetti affetti dalla sindrome di Stendhal recepiscono le immagini che vanno a stimolare in modo vigoroso in particolare due aree cerebrali:

  • Le regioni cerebrali deputate al meccanismo della memoria emotiva, della sfera affettiva, della regolazione dell’umore e neuroendocrina, ma anche della pianificazione e dell'esecuzione dei movimenti (ipotalamo, gangli della base, amigdala, lo striato ventrale e la corteccia orbito frontale)
  • I neuroni a specchio: varie ricerche neurofisiologiche hanno dimostrato come i neuroni a specchio ricoprano un ruolo importante nella percezione e nella capacità di condividere emotività e sensazioni. La sindrome di Stendhal sembra essere scatenata da una reazione esagerata di questo circuito neuronale “a specchio”. Al cospetto di un’opera d’arte, attraverso il senso della vista, i neuroni ricevono innumerevoli input che, tramite un meccanismo definito “simulazione incarnata”, potrebbe generare nell'osservatore - in modo del tutto inconsapevole - gli stati d’animo che l’autore ha voluto esprimere (in modo conscio o inconscio) tramite l’opera stessa. Stati d’animo così intensi da scatenare, in soggetti predisposti, la sindrome di Stendhal

Come si tratta la sindrome di Stendhal

Nella maggior parte dei casi, in seguito alle manifestazioni della sindrome di Stendhal, non è necessario intervenire poiché la reazione, transitoria, si risolve allontanandosi dall’opera che l’ha scatenata. Altri sintomi tendono a ridursi in breve tempo.

Quando invece i sintomi tendono a persistere nel tempo e nell’intensità è necessario l’intervento di un medico. L’eventuale terapia deve essere somministrata solo dopo attenta valutazione e si tratta per lo più di tranquillanti.

Nel caso in cui la sindrome di Stendhal sia associata ad altri tipi di disturbi i trattamenti sono essenzialmente divisi in psicoterapeutici e farmacologici. I primi comprendono psicoterapia cognitivo-comportamentale, psicoterapia familiare o di gruppo, psicoterapia psicodinamica.

Il trattamento farmacologico comprende ansiolitici, stabilizzatori dell’umore, antidepressivi o neurolettici.

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