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Storia del monitoraggio cardiotocografico

di Sara Visconti

Il monitoraggio cardiotocografico è un esame non invasivo che serve a controllare il benessere fetale e la valutazione dell'attività contrattile della futura mamma. La storia dell’implementazione clinica di questa metodica inizialmente si era correlata ad una diminuzione delle morti fetali durante il travaglio di parto e questo ha generato aspettative elevate e alimentato la speranza di poter dimezzare in poco tempo la mortalità e morbilità perinetale, tanto che fu proposto l’utilizzo della cardiotocografia per identificare tempestivamente i feti a rischio neurologico e ridurre, quindi, del 50% i casi di ritardo mentale severo, erroneamente ritenuti per metà parto-correlati.

Monitoraggio cardiotocografico, storia valutazione benessere fetale

Esecuzione di monitoraggio cardiotocografico

Uno dei parametri che da sempre gli ostetrici hanno cercato di utilizzare per valutare il benessere fetale è il battito cardiaco fetale.

Fino alla seconda metà del XX° secolo la valutazione delle condizioni fetali si basava su mezzi molto limitati: la crescita dell’utero e del suo contenuto, i movimenti fetali percepiti dalla madre e l’auscultazione dei battiti cardiaci fetali tramite stetoscopio.

Quest’ultimo fu inventato in Francia dal dottor Laennec nel 1816 e fu poi messo a punto e applicato in ostetricia dal dottor Pinard, prendendone il nome.

Lo stetoscopio di Pinard è uno strumento semplice: la parte interna cava dello strumento permette, una volta che la sua base piatta sia appoggiata sull’addome della gestante, la trasmissione dei suoni prodotti dal cuore fetale, che possono essere ascoltati apponendo sull’altra estremità un orecchio.

I suoni cardiaci vengono uditi più come una vibrazione all’orecchio piuttosto che come suoni distinti. Bisogna aspettare il 1917 perché David Hills inventi uno stetoscopio modificato, simile a quello di Pinard che usiamo noi a tutt’oggi, capace di amplificare al massimo il suono e di rendere quindi più semplice l’auscultazione periodica del battito cardiaco fetale durante il travaglio.

L’evoluzione di questa metodica per valutare le condizioni fetali risale alla metà degli anni ’50 del 1900 quando fu inventata un’apparecchiatura in grado di registrare in continuum sia la frequenza cardiaca fetale che le contrazioni uterine.

Tale tecnica, inizialmente complessa e invasiva, fu poi semplificata da Edward Henry Hon mediante l’utilizzo di un elettrodo sullo scalpo fetale e di un toco trasduttore esterno e un microfono posto sull’addome materno, per rilevare il segnale fonocardiografico fetale: a questo punto il metodo è ancora sperimentale, ma completamente non invasivo.

Successivamente si rese disponibile la possibilità di sfruttare l’effetto doppler per la registrazione della frequenza cardiaca fetale: date le caratteristiche di notevole costanza nella ricezione del segnale ultrasonico anche in condizioni non ideali (pazienti agitate o frequenti movimenti fetali) e la maneggevolezza e semplicità nell’applicazione dei trasduttori anche per personale non particolarmente esperto, la tecnica ultrasonica è divenuta rapidamente l’unica tecnica di utilizzo nella pratica routinaria.

Dagli inizi degli anni ’70 il cardiotocografo per il monitoraggio elettronico del feto invade velocemente le sale parto di tutto il mondo occidentale, sostituendosi alla metodica classica dell’auscultazione intermittente con lo stetoscopio di Pinard.

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