Sono Sara N., classe 1971, laureata nel 2018 a 47 anni compiuti. Durante i tre anni di Università i miei docenti mi hanno preparata a svolgere una professione meravigliosa di cura e aiuto. Una scelta “matura” quella di studiare Infermieristica della quale non mi sono mai pentita. Ma sono delusa: nell’Azienda (del nord Italia) che mi ha assunta non ho trovato niente di quanto mi era stato insegnato. E così oggi sono dimissionaria dal posto pubblico a tempo indeterminato .
Sono infermiera e fuggo da un ospedale sordo e cieco verso la categoria
Non siamo medici, ma il nostro lavoro è dignitoso quanto il loro perché ascoltiamo il nostro paziente e i suoi familiari.
Turni pesanti con un solo riposo dopo due notti, demansionamento per carenza di personale, scarsa organizzazione, mancanza cronica di presidi, farmaci, biancheria e divise pulite. Collaborazione con lo staff medico e dirigenziale a senso unico… il loro.
Questa è una realtà comune a molti colleghi, purtroppo. Ma io sono testarda e ho studiato per essere di aiuto, non per spostare letti e carreggiare provette alle 4 del mattino. Ho deciso di dimettermi, nonostante più di qualcuno mi abbia detto: Non si lascia il posto fisso .
Siamo professionisti, non parte di una catena di montaggio governata da altri
E ora cosa farò? Prima di tutto, sono decisa ad innamorarmi di nuovo della mia professione .
E così leggo, studio, cerco, faccio colloqui e rifletto. Riprendo in mano i pensieri dei miei tutor dell’Università e dell’Ospedale dove ho fatto tirocinio… e mi riapproprio di quell’entusiasmo e quella voglia di fare che mi avevano insegnato.
Rileggo il libro “La pratica del Primary Nursing ” di Marie Mantey e trovo grande ispirazione. Studio testi sul Lean Thinking, Kaizen, meritocrazia e motivazione personale. Ho la fortuna di potermi permettere un paio di mesi dedicati alla ricostruzione personale della mia identità professionale.
Vorrei solo trovare un canale per comunicare ai miei colleghi infermieri che non dobbiamo mollare, ma dobbiamo combattere per la nostra professione.
Non siamo medici, ma il nostro lavoro è dignitoso quanto il loro perché ascoltiamo il nostro paziente e i suoi familiari. Il loro dolore è il nostro dolore.
Non arrendiamoci mai . Mi auguro che le figure ai posti di comando di certe Asl comprendano il potenziale degli infermieri, anziché sfruttarli fino allo sfinimento.
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