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Pillole di appropriatezza: clinica o organizzativa?

di Tania Buttiron Webber

Appropriatezza

In termini più specifici, una cura può considerarsi appropriata quando sia associata ad un beneficio netto o, più precisamente, quando è in grado di massimizzare il beneficio e minimizzare il rischio al quale un paziente va incontro quando accede a determinate prestazioni o servizi.

GENOVA. Il buon funzionamento dei sistemi sanitari tradotto in termini di efficacia, efficienza e equità, sempre più spesso, si rapporta alla capacità di determinare e identificare le cure necessarie, minimizzando fenomeni di inappropriatezza.

In termini più specifici, una cura può considerarsi appropriata quando sia associata ad un beneficio netto o, più precisamente, quando è in grado di massimizzare il beneficio e minimizzare il rischio al quale un paziente va incontro quando accede a determinate prestazioni o servizi.

 

L’appropriatezza comporta implicazioni dirette e indirette riguardanti la procedura corretta sul paziente giusto al momento opportuno e nel setting più adatto.

 

La definizione proposta dalla RAND è ad oggi la più ampiamente usata a livello internazionale:

Una procedura è appropriata se il beneficio atteso (ad es. un aumento della aspettativa di vita, il sollievo dal dolore, la riduzione dell’ansia, il miglioramento della capacità funzionale) supera le eventuali conseguenze negative (ad es. mortalità, morbosità, ansia, dolore, tempo lavorativo perso) con un margine sufficientemente ampio, tale da ritenere che valga la pena effettuarla.


 

Questa definizione, proposta tra gli anni ‘80 e gli anni ‘90, non tiene in considerazione il problema dei costi; e, con il passare del tempo, la necessità di contenere il peso crescente dei costi in sanità, ha indotto a considerare la variabile “costi” parte integrante del concetto di appropriatezza.

 

Per quanto riguarda il nostro Paese, il termine “appropriatezza” ha acquistato una rilevanza normativa con il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000, divenendo uno dei criteri per la definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza (D.Lgs 229/99).

 

L’appropriatezza definisce un intervento sanitario (preventivo, diagnostico, terapeutico,riabilitativo) correlato al bisogno del paziente (o della collettività), fornito nei modi e nei tempi adeguati, sulla base di standard riconosciuti, con un bilancio positivo tra benefici, rischi e costi 

 

Due sono i concetti inerenti l’appropriatezza:

- Appropriatezza clinica;

Appropriatezza organizzativa.


 

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Appropriatezza organizzativa: solo così si fa centro!

L’appropriatezza clinica identifica il livello di efficacia di una prestazione o procedura per un particolare paziente ed è determinata sulla base sia delle informazioni cliniche relative alle manifestazioni patologiche del paziente sia dalle conclusioni diagnostiche che orientano verso quel preciso intervento sanitario, dal quale ci si attende un beneficio per il paziente.

 

L’appropriatezza organizzativa identifica la situazione in cui l’intervento viene erogato in condizioni tali (ambito assistenziale, professionisti coinvolti) da “consumare” un’appropriata quantità di risorse (efficienza operativa), e prende in considerazione la relazione costi-efficacia. Viene presa in considerazione quando si intende valutare “se il tipo di assistenza teoricamente richiesta dalle caratteristiche cliniche del paziente corrisponda al tipo di assistenza concretamente offerta”.

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