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editoriale

Tu al paziente? Forse dovremmo riscoprire il noi

di Giordano Cotichelli

Ho avuto modo di leggere la lettera di Gianluca due volte: su Repubblica e su Nurse 24. E non posso che ringraziare Gianluca per gli apprezzamenti fatti e per i sentimenti espressi. Anche se non vorrei che, così come è stato veicolato, il messaggio mediatico possa non essere utile a rendere ragione della realtà sanitaria in Italia, prima ancora che della professione infermieristica.

Grazie a Gianluca e Concita, ma non solo

mani unite

Più che dare del tu al paziente, sarebbe il caso di riscoprire un noi

In primo luogo è bene sottolineare che, nella relazione assistenziale, non è solo il “tu” che crea prossimità verso chi soffre, ma tutto ciò che può risultare funzionale a costruire una relazione di fiducia. Può essere quindi anche il caso dell’informale “lei”, o del rispettoso, e forse superato “voi”. Si può chiamare l’utente per cognome, ma se serve anche per nome o per soprannome (maestro, nella cultura del lavoro, italiana è un epiteto che fa piacere ai vecchi artigiani o agli operai di un tempo). Qualsiasi sia la scelta comunicativa operata, l’importante è che l’appellativo usato sia utile a sottolineare l’unicità e a dare forza alla dignità della persona. Altrimenti rischia di essere come il “tu” con cui ci si rivolge, in una sorta di paternalismo semplicistico, verso lo straniero o verso il disabile o verso l’anziano, che poi qualcuno ama chiamare con il vezzeggiativo di “nonnino”. La complessità dell’essere professionista dell’assistenza mal si coniuga con la semplificazione molto spesso veicolata dai media.

Certo gli infermieri in Italia, e nel mondo, hanno un grande bisogno di essere apprezzati, ma non di diventare eroi, martiri o santi. Gli infermieri e gli oss, i fisioterapisti, i tecnici e le ostetriche, i medici e gli ausiliari e tanti altri professionisti della salute hanno tutti bisogno, in primo luogo, che non si abbia più un sistema sanitario esclusivamente operatore-dipendente, dove se le cose vanno bene o male dipende dalla buona o cattiva professionalità del singolo. C’è poco da chiedersi come chiamare un paziente quando la sala d’attesa di un Pronto soccorso è stracolma. Quando l’ennesima legge di bilancio ha tagliato letti e unità operative.

Mal si declina l’umanità del singolo professionista in un paese che ha uno dei peggiori out of pocket di Europa, sarebbe a dire che, causa le lunghe liste di attesa per una prestazione garantita dal servizio pubblico, si ricorre sempre più a ciò che offre il mercato. E non tutti possono farlo. La letteratura scientifica è piena di riferimenti ai determinanti della salute e della malattia, dove la fragilità sociale e occupazionale, di reddito e di istruzione, diventano fattori causali che creano disparità di trattamento e disuguaglianze nella salute e dove sempre meno professionisti e utenti riescono ad essere soggetti attivi contro un sistema sanitario ingiusto prima ancora che iniquo.

Da infermiere e da cittadino che lavora per una sanità equa e universalista credo che un grande quotidiano nazionale dovrebbe offrire molto più spazio ai problemi della salute e dei suoi professionisti, che non quello in oggetto utilizzato in maniera encomiastica e basta. Gli infermieri italiani sono fra i più apprezzati in Europa, ma hanno sempre meno spazio decisionale, o semplicemente occupazionale, in patria. I cittadini italiani sono fra coloro che hanno fra le migliori alimentazioni e abitazioni al mondo, ma si ammalano sempre di più, si curano peggio e vivono male una senescenza fatta di sofferenza. C’è qualcosa che non va, e forse più che il “tu” sarebbe necessario riscoprire un “noi” sentito e partecipato, fra utenti e operatori, per dire all’unisono che, sul piano relazionale ed umano non c’è da preoccuparsi, ma su quello delle risorse e dell’economia, la scelta è solo politica e di sistema: o si investe nella salute, oppure no!

Alla fine non mi resta che tornare a ringraziare Gianluca per averci fatto partecipi della sua esperienza di vita. E ringrazio anche tutti quei cittadini che invece non sono stati trattati bene da noi operatori e che però hanno alzato le spalle, perché hanno investito le loro poche risorse per tirare avanti comunque. E ringrazio anche tutti coloro che da operatori e da utenti, negli ospedali e sul territorio, si adoperano per fare in modo che… la tua salute, sia un nostro problema.

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