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Mauro Carboni: la Sanità esige una contrattazione separata e vi spiego il perché

di Redazione

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Gentile Direttore,

in qualità di rappresentante di un’associazione professionale infermieristica sento il dovere di commentare la decisione del Governo di proseguire nel blocco degli stipendi  dei dipendenti pubblici. Siamo tutti consapevoli che il rinnovo dei contratti del pubblico impiego non è l’unico problema del nostro Paese e sicuramente non è facile stabilire, oggi, il suo livello di priorità. Ciononostante alcune considerazioni debbono essere fatte.

Innanzitutto ritengo debba essere rigettata in senso assoluto la trasversale filosofia brunettiana che vede nel pubblico dipendente un fannullone, un privilegiato, ecc., non meritevole di incrementi stipendiali. A differenza del privato, dove va per la maggiore la “referenza”, chi lavora per la Pubblica Amministrazione, oltre a possedere determinati requisiti imprescindibili, ha sostenuto un concorso per titoli ed esami.

 

I dipendenti della Pubblica Amministrazione che sommariamente possono essere suddivisi in dirigenti ed impigati, in realtà afferiscono a quattro comparti diversi. Tra questi, quello dalla Sanità, accorpato dalla riforma Brunetta a quello delle Regioni, include anche dei professionisti.

 

La Sanità, pur facendo parte del Pubblico Impiego, possiede peculiarità tali (dalla composizione, formazione e funzioni del personale alla sua organizzazione, dalla complessità del servizio erogato alle responsabilità professionali, dai meccanismi di controllo dei bilanci delle aziende sanitarie pubbliche alle difficoltà di valutazione degli interventi sanitari, ecc.) da esigere una contrattazione dedicata, separata dagli altri ambiti del Pubblico Impiego.                                                                                                                                                                                          

Lo stato di salute della popolazione italiana nel 2011, misurato con indicatori universalmente riconosciuti (speranza di vita e mortalità infantile), è migliore rispetto alla media Ocse e questo nonostante  l’iniqua distribuzione della ricchezza esistente nel nostro Paese. Pochi sanno che uno tra i più importanti fattori  che influisce sullo stato di salute di una popolazione è la distribuzione dei redditi. Quindi, considerato che il 50% della ricchezza, in Italia, è in mano al 10% della popolazione, il nostro Servizio Sanitario Pubblico fa miracoli!  

 

Un aspetto della nostra sanità che, a mio avviso, va evidenziato, è il numero dei Dirigenti (il più alto di tutti i comparti) che ammonta globalmente a 136.289. Tra questi 859 sono i Direttori Generali, 20.017 Dirigenti non medici e 115.413 Dirigenti medici (Elaborazione Corte dei Conti, Sezioni riunite in sede di controllo, delibera n.9 del 24 giugno 2013 – dati riferiti all’anno 2011).                  

 

Per contenere la spesa pubblica forse sarebbe auspicabile che il Governo iniziasse ad intervenire su questi aspetti oltre che a verificare la necessità che tutti, dico tutti, i medici del pubblico impiego debbano rivestire una qualifica dirigenziale, anche se di fatto non sono incaricati di dirigere alcuna struttura. Il fatto di possedere una laurea non dà per scontato l’accesso alla dirigenza, altrimenti anche tutti gli altri professionisti sanitari in possesso di laurea, quindi inclusi gli infermieri, dovrebbero essere dirigenti.           

 

Evitando di commentare l’impegno economico che lo Stato deve sostenere per gli stipendi d’oro dei direttori generali, peraltro molto spesso inversamente proporzionale alla loro capacità e moralità, vorrei porre l’attenzione sulla questione relativa al personale infermieristico.                                                                              

 

Secondo l’Ocse, nel 2011 l’Italia aveva 6,3 infermieri per 1.000 abitanti a differenza della media Ocse pari a 8,7 infermieri per 1.000 abitanti. (Rapporto Oecd Health Data 2013 recentemente pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).

 

Sempre l’Ocse sostiene che in Italia, attualmente, mancano 68 mila infermieri.                                                                                                                               Dei quasi 400.000 infermieri italiani, circa 260.000 lavorano come dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale (esiguo numero rispetto ai 3,3 milioni del totale dei dipendenti pubblici).                                                   

 

Solo tra il 1998 ed il 2004 il turn over infermieristico ha prodotto un saldo negativo di circa 15.000 unità e si prevede un decremento annuale degli organici, tra pensioni ed altro, di circa 18.000 unità, non compensato da altrettante assunzioni.

 

Appare evidente che il contributo economico che gli infermieri del Servizio Sanitario Pubblico stanno pagando allo Stato ormai da anni, non è dato solo dal mancato incremento stipendiale (fermo al contratto 2006-2009, ma in realtà risalente al rinnovo del primo biennio 2006-2007),  ma dal fatto che esercitano costantemente sotto organico, con mansioni improprie, sobbarcandosi di una mole di lavoro e di responsabilità al di sopra di ogni regola di sicurezza.

 

Evito di dilungarmi, per questa occasione, sulla rivendicazione di una collocazione contrattuale adeguata alle responsabilità e al livello formativo e professionale degli infermieri, ma comunque la mancanza di risposte istituzionali adeguate su questo fronte esige di essere messa in conto sul piano del contributo economico (ma non solo) che gli infermieri pubblici danno ormai da molti anni. Concludendo aggiungo che gli infermieri pubblici, come gli altri professionisti sanitari, non sfuggono, come qualche politico pseudo- giuslavorista sostiene, alla valutazione della loro performance.

 

Gli utenti dei servizi sanitari sono i loro valutatori e quando qualcosa non va come dovrebbe non esitano a segnalarlo e  ricorrere nei casi più gravi, anche a denunce e richieste di risarcimento. Se proprio si vuole punire qualche pubblico dipendente che si parta dai parlamentari che, oltre a non brillare per onestà e moralità, giudicando dai risultati che hanno raggiunto andrebbero licenziati tutti.

 

Dott. Mauro Carboni

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