Nell'audizione Ipasvi sui nuovi Lea in Commissione Igiene e Sanità al Senato, la presidente della Federazione Barbara Mangiacavalli, ha analizzato il provvedimento sottolineando i possibili ulteriori sviluppi per la professione infermieristica.
Intervento in Senato di Barbara Mangiacavalli
Nell’audizione Mangiacavalli è entrata a fondo nel merito del provvedimento, illustrando nel dettaglio tutte le “occasioni perdute” per inserire maggiormente la presenza degli infermieri, spiegando anche il tipo di operatività che questi avrebbero all’interno del sistema nei singoli casi.
I Lea sono una realtà importante per il Servizio sanitario nazionale e dopo la loro approvazione la parte più complessa è essere certi che siano davvero garantiti a tutti e ovunque. Un impegno importante per il ministero della Salute, il Governo, il Parlamento e le stesse Regioni che li devono applicare.
Ma i Lea rappresentano anche una speranza per quel personale, quei professionisti che ogni giorno hanno fatto di tutto per farli rispettare, nonostante le difficoltà di un servizio sanitario concentrato a quanto pare finora più sulla spesa che non sui risultati della sua mission. Quei professionisti che credono ora nelle promesse del ministro Lorenzin che ha annunciato a breve l’operatività dei nuovi.
Ha esordito così, nell’audizione Ipasvi sui nuovi livelli essenziali di assistenza svolta oggi in Commissione Igiene e Sanità al Senato, la presidente della Federazione degli infermieri, Barbara Mangiacavalli, che ha analizzato il provvedimento sottolineando i possibili ulteriori sviluppi per la professione infermieristica.
Nei nuovi Lea gli infermieri ci sono. In modo nuovo rispetto al passato, gettando le premesse per un ulteriore riconoscimento della professione e della professionalità non in modo subalterno, ma assolutamente paritario con altre professioni sanitarie.
Mangiacavalli ha ricordato che c’è infatti il welfare socio-sanitario con livelli progressivi di intensità di cure per l’assistenza prevista. Per l’Adi ai malati cronici non autosufficienti, si passa dal livello base all’alta intensità che corrisponde all’ospedalizzazione domiciliare. Si tratta di prestazioni professionali prevalentemente di tipo medico-infermieristico-assistenziale ovvero prevalentemente di tipo riabilitativo-assistenziale.
E il Dpcm prevede per l’integrazione sociosanitaria, che le cure domiciliari siano integrate da prestazioni infermieristiche e di assistenza professionale alla persona. Queste, erogate secondo i modelli assistenziali disciplinati dalle Regioni, sono interamente a carico del Servizio sanitario nazionale per i primi trenta giorni dopo la dimissione ospedaliera protetta e per una quota pari al 50 per cento negli altri casi.
C’è molto e ci sono molte novità, soprattutto sul territorio. Ma in alcuni passaggi – ha detto la presidente Ipasvi - ancora sembra esserci un ‘distacco’ anche rispetto ad altri provvedimenti già approvati e in molti punti nevralgici del nuovo panorama dell’assistenza che i Lea disegnano la figura dell’infermiere, che sarebbe propria del singolo intervento, sembra essere dimenticata
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