Esistono prove crescenti che il lavoro articolato su turni ha un impatto significativo sulla salute e sulle prestazioni del lavoratore a causa dell’alterazione dei processi naturali del sonno che possono compromettere la sicurezza sia dell’utenza che personale del lavoratore, aumentando il rischio di errori e incidenti sul lavoro. Il “disallineamento” del ciclo sonno-veglia dovuto ai ritmi esogeni imposti dagli impegni di vita si traduce in stanchezza, scarso rendimento lavorativo e disturbi del sonno, soprattutto difficoltà ad addormentarsi o a svegliarsi all'ora desiderata.
Impatto del lavoro da turnista sulla salute degli infermieri
L'International Classification of Sleep Disorders (American Academy of Sleep Medicine, 2005) stima che la sindrome nota come “disturbo da lavoro a turni” sia vissuta dal 20-30% dei turnisti e indipendentemente dal programma lavorativo, una complessa interazione tra fattori esterni (esogeni) ed interni (endogeni) influisce negativamente sul benessere individuale.
Esiste una sostanziale variabilità nella tolleranza e nell’adattamento al lavoro a turni, ma circa un lavoratore su cinque sviluppa la cosiddetta “sindrome del turnista” o SWSD (shift work sleep disorder). Questo disturbo del ritmo circadiano del sonno è associato a significative conseguenze negative per gli individui, i datori di lavoro e la società.
Infatti, oltre alle conseguenze negative per la salute e alla ridotta qualità della vita a livello individuale, il disturbo del lavoro a turni comporta costi significativi per i datori di lavoro a causa della diminuzione delle prestazioni sul posto di lavoro e dell'aumento degli incidenti e degli errori.
Il lavoro a turni comprende orari di lavoro che si estendono oltre la tipica giornata lavorativa "dalle nove alle cinque", comprendendo spesso l'inizio del lavoro anticipato, settimane di lavoro compresse con turni di 12 ore e lavoro notturno.
Sebbene non esista una definizione universale di “lavoro a turni” esso viene più volte definito come uno slittamento dell’attività lavorativa nelle ore che vanno dalle 19:00 alle 6:00 del mattino. Non sorprende che, a lungo andare, un'elevata percentuale di lavoratori sui turni sviluppi una SWD. La SWD è caratterizzata da eccessiva sonnolenza durante il periodo di veglia desiderato e/o insonnia quando il sonno è consentito.
I sintomi non devono essere attribuibili a un altro disturbo del sonno, altra condizione medica o effetto farmacologico. Questo disturbo è caratterizzato da eccessiva sonnolenza e/o interruzione del sonno per almeno un mese in relazione all'orario di lavoro atipico. La sonnolenza di solito si verifica durante i turni di notte ed è massima alla fine della notte.
Vigilanza e prestazioni compromesse si verificano nei periodi di maggiore sonnolenza e possono compromettere seriamente la salute e la sicurezza dei lavoratori. Infatti, i lavoratori che soffrono di un disturbo sonno-veglia del lavoro a turni possono addormentarsi involontariamente al lavoro o mentre tornano a casa dopo un turno di notte.
Fisiologia del sonno Vs lavoro a turni
Il lavoro a turni è fisiologicamente in conflitto con il normale ritmo sonno-veglia, poiché provoca un disallineamento dei due processi che regolano queste funzioni. Le teorie sul ritmo sonno-veglia ruotano attorno al modello dei “due processi”. Questo modello stabilisce che la tendenza al sonno è regolata da due processi, appunto: da una parte la “pressione omeostatica” per dormire, dall’altra un “segnale di allerta circadiano”, che permette di mantenere la veglia.
La pressione omeostatica per il sonno aumenta con ogni ora di veglia e si dissipa con il sonno. Quando la pressione omeostatica per il sonno aumenta durante il giorno, aumenta anche il segnale di allerta circadiano per facilitare la veglia. Dopo l'inizio del sonno, quando la pressione omeostatica del sonno diminuisce, anche il segnale di allerta circadiano si attenua. Il segnale di allerta circadiano conferisce una ritmicità circadiana di circa 24 ore non solo al sonno e alla veglia, ma anche a molte funzioni fisiologiche che variano nel corso della giornata, come la temperatura corporea, la pressione sanguigna e la secrezione di ormoni, inclusi cortisolo e melatonina.
I livelli di melatonina sono bassi durante il giorno, quindi aumentano la sera per sopprimere l'eccitazione del SNC e preparare il terreno per l'inizio del sonno. L'inizio della luce del giorno sopprime la secrezione di melatonina, segnalando così all'orologio interno che è giorno e ora di svegliarsi.
Nei turnisti questi processi si disallineano, cioè il “giorno esterno” non è più sincronizzato con un’elevata allerta e una bassa secrezione di melatonina (poiché dormono spesso durante il giorno) e il lavoro notturno avviene proprio in un momento in cui i segnali di allerta circadiani sono al minimo e la sonnolenza è al massimo. Di conseguenza, il sonno diurno è breve e frammentato, portando a un debito di sonno omeostatico e a un'eccitazione circadiana attenuata durante la notte.
I lavoratori a turni, dunque, subiscono le conseguenze di un'eccessiva sonnolenza sul lavoro, quando è richiesta la veglia. L'eccessiva sonnolenza durante il turno di notte è associata a livelli di vigilanza ridotti e, di conseguenza, i processi decisionali e attentivi subiscono un inevitabile deterioramento.
Perché alcuni lavoratori sono più tolleranti ai turni?
Gli effetti del sonno non sono universali, ma sono mediati da alcuni fattori che determinano la resilienza e la vulnerabilità. Diversi studi nel corso degli anni hanno dimostrato l’esistenza di caratteristiche interindividuali che permettono la maggiore o minore tolleranza al lavoro articolato su turni.
Sono state identificate differenze individuali nel grado di sonnolenza durante la notte, nella capacità di dormire durante il giorno e nel grado di compromissione delle prestazioni. I meccanismi di questa variazione nella capacità dei singoli lavoratori di mantenere la vigilanza durante il lavoro a turni e di ottenere un sonno adeguato durante gli orari non lavorativi sono complessi e non completamente compresi. In alcuni studi vengono riportati fattori “fissi” relativi a caratteristiche genetiche, demografiche e psicosociali stabili e fattori "variabili" relativi a condizioni dipendenti dallo stato.
Un possibile tratto genetico collegato alla tolleranza del lavoro su turni è il cosiddetto "mattina/sera". Questo tratto si riferisce a periodi durante il giorno in cui gli individui sono più svegli e attivi. Ci sono persone più predisposte geneticamente ad essere “allodole mattutine” e individui invece definiti “notturni”. La preferenza mattina Vs sera è almeno in parte legata al periodo dell'orologio circadiano e a un polimorfismo di lunghezza del gene "orologio" che regola il sonno e la veglia. Si è ipotizzato che questa preferenza o tendenza circadiana modifichi la tolleranza al lavoro a turni. I tipi mattinieri mostrano una tolleranza ridotta per il lavoro a turni.
Alcuni tratti della personalità sono associati a una migliore tolleranza al turno di notte, come l'elevata resistenza e il basso nevroticismo. Questi fattori possono indicare la capacità soggettiva di sopportare orari di lavoro al di fuori di un programma tipico.
I fattori a livello della persona che influenzano l'adattabilità al lavoro a turni includono la storia lavorativa a turni, disturbi del sonno concomitanti e/o condizioni mediche e psichiatriche, l'uso di farmaci e la quantità di tempo trascorso a letto nelle ultime settimane, nonché le responsabilità sociali e familiari. Anche le caratteristiche demografiche influiscono sui disturbi del sonno da lavoro a turni. Il più studiato di questi fattori è l'età. L'evidenza suggerisce che i turnisti più anziani accumulano più perdite di sonno rispetto ai turnisti più giovani, sono meno in grado di adattarsi ai requisiti circadiani alterati del lavoro a turni, segnalano livelli più elevati di eccessiva sonnolenza e sonno più disturbato e sono meno sensibili agli effetti di sfasamento della luce. D'altro canto, anni di esperienza nel lavoro notturno sembrano rappresentare un fattore protettivo, probabilmente grazie a strategie di coping migliorate nel tempo.
La ricerca sulla differenza di genere mostra che le lavoratrici turniste sono maggiormente colpite dagli effetti negativi del turno di notte segnalando relativamente più perdita di sonno, sonnolenza diurna e disagio psicologico. Tuttavia, non è chiaro se queste differenze siano dovute a differenze legate al sesso, all'assegnazione del lavoro, ai ruoli previsti al ritorno a casa (es. prendersi cura di bambini e/o anziani) o a qualche altro motivo.
Conseguenze negative del lavoro a turni per la salute
Le conseguenze negative più immediate del disturbo del sonno da lavoro a turni sono legate alla compromissione delle prestazioni neurocognitive e al conseguente aumento del rischio di incidenti ed errori. La perdita di sonno compromette drasticamente le prestazioni.
Con 24 ore di veglia prolungata il decremento delle prestazioni è pari a una concentrazione di alcol nel sangue di 0,10, che è oltre il limite legale nella maggior parte degli stati (oltreoceano è stato riscontrato che gli incidenti sul lavoro sono superiori del 60% tra i lavoratori a turni, con un costo totale compreso tra 71 e 93 miliardi di dollari all'anno).
Inoltre il “disallineamento circadiano” altera l'omeostasi naturale del sonno e la deprivazione cronica parziale del sonno rappresenta un importante fattore di rischio per lo sviluppo di varie malattie:
- La principale conseguenza del lavoro a turni è una maggiore frequenza dei disturbi del sonno nei turnisti, non solo perché non riescono a riposare durante la notte biologica, ma anche perché i turni che iniziano alle 6 del mattino impediscono il completamento dell'ultima fase del sonno
- I lavoratori a turni notturni che sono stati esposti per anni all'interruzione dei ritmi circadiani possono sperimentare un invecchiamento accelerato. Infatti, l'orologio biologico subisce una serie di cambiamenti che fino a poco tempo fa erano considerati parte del normale processo di invecchiamento, ma ad oggi vi sono prove crescenti che le disfunzioni del sistema circadiano possono accelerare l'invecchiamento
- La restrizione del sonno è associata all'aumento di peso, che può essere aggravato da uno stile di vita sedentario e da livelli ematici anormali di grelina e leptina, che possono favorire una maggiore assunzione di cibo e l’innalzamento della notturnina, favorisce lo sviluppo di obesità e disturbi metabolici
- Molti studi evidenziano come al disturbo del sonno da lavoro a turni siano fortemente legati disturbi gastrointestinali, cattiva salute sessuale (inclusa ridotta fertilità e problemi durante la gravidanza) e molteplici forme di cancro
- La desincronizzazione dei ritmi circadiani è stata implicata in malattie neoplastiche (ad es. cancro al seno): diverse indagini sperimentali hanno sottolineato che l'elevata produzione di melatonina durante la notte biologica è un potente stimolo antitumorale in grado di proteggere le cellule normali dalla malattia. La sua soppressione dovuta all'esposizione notturna alla luce artificiale ha il potenziale di favorire lo sviluppo del cancro al seno nelle lavoratrici notturne [Nel 2007, lo IARC ha definito il lavoro a turni che induce l'interruzione del ritmo circadiano come probabilmente cancerogeno per l'uomo. Nel 2016, il National Toxicology Program (NTP) ha convocato un gruppo di esperti in un seminario pubblico intitolato "Shift Work at Night, Artificial Light at Night, and Circadian Disruption" e ha condotto una valutazione dei rischi per la salute basata sulla letteratura. Il lavoro a turni di notte persistente che causa perturbazioni circadiane è ora elencato come "noto per essere cancerogeno per l'uomo" nella bozza del Rapporto sugli agenti cancerogeni]
- Negli ultimi anni, è stato suggerito che la sindrome metabolica (SM) (l'associazione di gradi anche moderati di obesità viscerale, dislipidemia, pressione sanguigna anormale e livelli sierici di glucosio nello stesso individuo) legata al disturbo del sonno da lavoro da turni può aumentare notevolmente il rischio di successivi eventi coronarici avversi; in particolare, aumenta di quasi il doppio il rischio di malattia coronarica, un rischio da due a tre volte maggiore di ictus ischemici e un rischio ancora maggiore di diabete
- A lungo termine, il lavoro a turni di notte può aumentare il rischio di disturbi mentali, in particolare disagio psicosociale, depressione, ansia, abuso di alcol, ricadute dello stress lavorativo, nonché una qualità della vita peggiore. Altri studi confermano minor rendimento sulle prestazioni comportamentali e cognitive soprattutto nei domini di attenzione e memoria
La dimostrazione di una relazione causa-effetto tra lavoro a turni e malattia cronica è ostacolata dalla definizione non univoca di lavoro a turni e lavoro notturno e dalla necessità di studi a lungo termine. Inoltre, una serie di variabili, come l'abitudine al fumo, un elevato indice di massa corporea, le abitudini alimentari e la durata del sonno, influenzano i risultati.
La sensazione di fame, provata durante i turni di notte, può indurre cambiamenti negli orari dei pasti che disturbano il ciclo fame-sazietà, con conseguente sovrappeso, obesità, diabete di tipo 2, dislipidemia e sindrome metabolica. La valutazione periodica di parametri quali peso, circonferenza addominale, indice di massa corporea (BMI), glicemia a digiuno, emoglobina glicosilata, trigliceridi e colesterolo totale, HDL e LDL consente una rapida correzione in caso di alterazioni patologiche.
Per quanto riguarda l'evidenza crescente di un'associazione tra lavoro a turni e lavoro notturno e cancro al seno, il medico del lavoro dovrebbe suggerire test di screening come la mammografia che anche se generalmente raccomandato dopo i 50 anni dovrebbe essere eseguito prima (tra i 40 e i 49 anni) nelle donne che lavorano su turni.
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