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Malattie croniche, quel racconto che porta alla cura

di Redazione

Storie di vita in salute e in malattia: il dualismo che caratterizza il vissuto dei pazienti con malattie croniche.

Malattie croniche, lasciare che il paziente si racconti

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Nel caso di malattie croniche, il raccontarsi gioca un ruolo fondamentale

Queste patologie sono invalidanti e causa di morte per 40 milioni di persone ogni anno (circa il 70% di tutti i decessi a livello globale), secondo quanto riportato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel rapporto 2017.

Il passaggio da una vita in salute, nel senso olistico del termine, a una in malattia porta con sé tanti interrogativi e ripercussioni sia a livello psico-fisico che relazionale. Lo stigma sociale può divenire un fantasma da combattere e rischia di condurre il soggetto verso l’isolamento.

Il ruolo dell’infermiere nelle malattie croniche

L’intervento infermieristico è una sorta di pillola che induce un effetto placebo, non certo equivalente al nulla, ma all’atto del curare che cura. Come evidenziato in diversi studi clinici, infatti, l’effetto placebo può essere più forte di quello farmacologico: l’atto di affidarsi è il motore del rilascio nel proprio organismo delle endorfine, gli ormoni proteici del benessere.

Accogliere l’unicità della storia della persona assistita lasciando che si racconti significa creare la fiducia

Prendere in carico un cliente, come afferma C. Rogers (1902-1987), noto psicologo statunitense, vuol dire lasciare che egli sia il protagonista del suo stesso processo di cura, riconoscere i bisogni reali inerenti anche la sfera psichica.

Prima stavo bene, non riesco ad accettarlo è una frase spesso usata dai pazienti durante un’intervista o un colloquio. È l’espressione del malessere e del bisogno di essere ascoltato. Ogni paziente ha una storia unica che non può essere identificata a quella di altre del gruppo con la stessa patologia. “La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura. Il fine è la costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato, la storia di cura” afferma l’Istituto Superiore di Sanità.

Tradurre il racconto in bisogni assistenziali vuol dire:

  • rafforzare il rapporto di fiducia tra l’infermiere e il paziente;
  • orientare il cliente verso comportamenti sani e il raggiungimento di un’adeguata aderenza terapeutica;
  • rafforzare il self-empowerment;
  • sviluppare le capacità residue.

Questa tecnica clinico-assistenziale di ascolto attivo rivolto al paziente e a tutti gli attori del processo di cura, prende il nome di medicina narrativa: termine preso in prestito dall’inglese Narrative Medicine – conosciuto con l’acronimo Nbm – e diffuso negli anni Novanta grazie a Rachel Naomi Remen e Rita Charon, e si pone come obiettivo quello di comprendere e integrare tutte le narrazioni, per questo è necessario acquisire competenze comunicative specifiche.

Differenza tra medicina narrativa e storytelling

Avete mai sentito parlare di storytelling, letteralmente l’atto del narrare?

Questa scienza della narrazione viene applicata in vari ambiti: da quello politico, al marketing, alla medicina. Narrare storie di vita tocca le corde dell’empatia e instaura relazioni profonde tra il racconta storie e il fruitore del messaggio.

È facile confondere la medicina narrativa con lo storytelling applicato alla salute, il confine tra le due discipline infatti è molto sottile. Facciamo un po' di chiarezza:

  • nella medicina narrativa i professionisti sanitari raccolgono le storie dei pazienti traendone riflessioni personali con l’obiettivo di creare un piano di cura personalizzato;
  • nello storytelling, le storie sono scritte da un solo narratore che fa leva maggiormente sull’aspetto emozionale del racconto e sono indirizzate al grande pubblico con l’obiettivo di educare, promuovere stili di vita sani e sensibilizzare al percorso di cura.

L’una esclude l’altra? Aprire il proprio scrigno di emozioni e preoccupazioni non è immediato e molti pazienti lo sanno bene, riporre fiducia richiede tempo e pazienza. Come intervenire?

Parlare di esperienze vissute da altre persone con lo stesso disagio, tramite la tecnica dello storytelling e nel rispetto della privacy, talvolta risulta un intervento efficace nel modulare la percezione della malattia stessa nel paziente, ma anche nel coinvolgerlo alla narrazione di sé: un racconto che genera racconto è anche un atto di cura che cura.

Diventare il narratore di storie di corsia, può alimentare il coinvolgimento dei pazienti e familiari nel processo di cura, facilitare l’inclusione sociale, abbattere lo stigma sociale che si nasconde silenzioso dietro alcune malattie croniche.

Alessandra Sidoti, infermiera

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