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elezioni Ipasvi

Quorum mancati e poltronismo, ma gli infermieri sono altro

di Fabio Albano

Quanto successo in alcuni Collegi Ipasvi, nel periodo elettorale per il rinnovo dei Consigli Direttivi, ha scatenato reazioni e sentimenti disparati in tutti noi. Ho avuto il piacere alcune volte - e il dispiacere altre - di leggere articoli ospitanti opinioni contrastanti circa quanto accaduto. Sinceramente nulla di quanto letto mi ha coinvolto in toto, in tutti gli scritti ho trovato, sempre, una parcellizzazione del problema, che mi appare molto più ampio di un mero risultato di “numeri” o di lotte fratricide.

Collegi Ipasvi, risorsa o incognita per la nostra categoria?

La prima domanda che ci dobbiamo porre è la seguente: Per quale motivo diventa così importante essere, perennemente, rieletti? È solo una questione di “prosecutio” di un percorso in itinere che si ritiene opportuno non interrompere, per non incidere negativamente su alcuni processi favorenti le nostre condizioni professionali?

O è per una mera questione di visibilità, che giustamente esiste se ricopri il ruolo di Presidente o comunque fai parte di un direttivo? Oppure esiste dell’altro ancora che a noi non è dato neppure pensare? Come diceva Andreotti: “Il potere logora chi non lo ha”.

Chissà, forse un po’ l’uno e forse, in altre situazioni, un po’ l’altro.

Ma quanto sta emergendo in queste convulse, per la nostra professione, giornate deve obbligarci a una riflessione più ampia su dove stiamo andando professionalmente, s’intende.

Con ordine.

È quanto meno dubbio il significato assunto in questi anni dai vari Collegi, naturalmente non si può generalizzare, ma la tendenza, salvo alcune eccezioni, pare porli tutti sul medesimo piano. Il percepito da parte di noi infermieri è di un ribaltamento del senso, del motivo dell’esistenza dell’Istituzione stessa.

Da organismo dedicato agli infermieri, quindi al “servizio” della professione infermieristica, a istituzione che ha bisogno del servizio degli infermieri per darsi un senso, una ragione di vita. Una condizione di autoreferenzialità.

Attenzione, però, il discrimine sottile sta nel fatto che il Collegio riesce a sopravvivere a sé stesso: l’iscrizione è obbligatoria, ma sono i Direttivi che per sopravvivere necessitano di un minimo di voti, il quorum al 20%.

Il vero problema sta nel fatto che sono troppo pochi coloro che si pongono la domanda: come mai questa scarsa partecipazione a un evento che ci dovrebbe vedere, invece, molto interessati?

Solitamente si da la colpa allo scarso senso di appartenenza che da sempre ci contraddistingue. Cosa per altro, ma solo in parte, vera. L’altra faccia della medaglia è quella che alcuni non vogliono vedere, non vogliono scoprire.

La composizione dei Direttivi non rispecchia, se non in minima parte, i bisogni e o i desiderata della categoria. Capita nell’organigramma dei Direttivi, purtroppo, di leggere sempre i medesimi nomi, spesso di colleghi che hanno smesso di fare gli infermieri a 30 anni. Persone che non hanno alcun appeal verso la categoria.

Altra considerazione da porre in essere è quella relativa alla condizione anagrafica. Il mondo per proseguire il proprio percorso abbisogna della partecipazione dei giovani. Anche i nostri Collegi abbisognano di colleghi giovani, perché a scapito di una scarsa conoscenza circa alcune dinamiche lavorative, possono porre sul piatto della bilancia una visione entusiastica della vita che a una certa età non è più data.

Inoltre hanno pure una visione maggiormente rivolta al futuro rispetto a chi futuro professionale ne ha molto meno.

L’ultimo rilievo che desidero porre in evidenza è quello relativo all’eccessiva politicizzazione del nostro Istituto e di chi lo guida. Il Collegio non è un organismo sindacale, ma neppure un partito politico.

Troppo consueta appare la comunanza tra i “nostri” e i rappresentanti la parte politica.

Noi vogliamo essere oltre, neanche “super partes”; noi desideriamo che la nostra categoria trovi degna rappresentanza attraverso istanze e dinamiche che ci pongano in una condizione di pensiero critico e indipendenza intellettuale

Provocatoriamente, se dovessi lanciare uno slogan, mi verrebbe da dire: il Collegio agli Infermieri!

Sì, perché la questione delle questioni, che prima o poi qualcuno dovrà prendere in considerazione, è questa: chi è oggi veramente l’infermiere? Siamo tutti infermieri, anche coloro che da anni, meritatamente, ricoprono incarichi professionali che li posizionano dietro una scrivania? A pensare anziché fare. O coloro che, per vari motivi, a volte anche di salute - ma non sempre - si sono trincerati in qualche ufficio a fare fotocopie? E poi si possono considerare infermieri, allo stesso modo, coloro che hanno conseguito tanti anni fa un semplice titolo professionale quanto quelli che hanno conseguito un titolo di Laurea e, magari, vi hanno aggiunto due o tre Master, o una Laurea Magistrale?

Queste sono le domande che il popolo infermieristico ha posto in questi anni e a cui nessuno ha saputo o voluto rispondere.

Ma non solo.

Cari Colleghi, non risulta più sufficiente “vantarsi” dell’abolizione del mansionario, la legge 42 del 1999; siamo così certi che tale abrogazione abbia trovato applicazione in ogni ambito professionale?

Il cambiamento - sono passati quasi 20 anni - è avvenuto veramente e trova riscontro nel nostro agire quotidiano, oppure è rimasto solo sulla carta? Siamo certi che l’attuale formazione universitaria, di base, risulti propedeutica allo sviluppo di Infermieri pronti all’immersione in una “professione intellettuale”?

Quindi una professione “intellettuale” può essere una professione aperta, cioè destinata a circa mezzo milione di persone? E che dire delle super specializzazioni di cui tanto si parla? Può essere questa la soluzione ai nostri problemi, o rischia di diventare l’ennesimo vulnus professionale, dove la frammentazione del sapere depaupererà la nostra conoscenza?

Qual è il nostro territorio? Il Paziente? O che altro ancora?

Signori che tanto vi siete “impegnati” in questa fase elettorale, provate a concepire lo sforzo di comprendere quelle che sono le vere necessità della categoria professionale verso cui avete preso un impegno etico

Non concentrate tutto il vostro sapere circa il cambiamento da Collegio a Ordine Professionale; certamente tale cambiamento gioverà, in futuro, alla nostra categoria, ma ad oggi ben altri sono i problemi che ci attanagliano sempre più. A noi, in questa fase, serve solo concretezza.

Da voi, soprattutto da voi, che ci si aspetta quell’impegno propedeutico al reale cambiamento della nostra professione, tanto atteso da tutti noi. Cioè da coloro che hanno scelto di restare in frontiera.

Concludo questo mio riflettere sulla condizione della nostra professione, ma soprattutto su chi ha deciso di rappresentarci, che più che raffigurare i nostri bisogni, i nostri desideri, paiono replicare ciò che i nostri politicanti ci stanno dimostrando e che noi da sempre detestiamo e contestiamo: l’essere malati di “poltronismo”.

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