Mangiacavalli: “Il Piano cronicità inviato alla Stato-Regioni dalla Salute è un cambio di rotta nel modello di assistenza, sempre più orientato ai bisogni di salute. L’infermiere ha un ruolo chiave con il medico di medicina generale (Mmg). È il momento di pensare a uno sviluppo maggiore del territorio”
In ospedale e sul territorio a vegliare sui malati cronici ci sono due figure prioritarie: il medico e l’infermiere. Il primo come tutor nella diagnosi e nella scelta della terapia, il secondo 24 ore su 24 seguirà, in un team di cui è anche care manager, il paziente in tutto il percorso necessario alla sua assistenza. Conferma piena per i contenuti che riguardano la professione infermieristica, nel Piano nazionale Cronicità inviato nei giorni scorsi dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin alla Conferenza Stato-Regioni per formalizzare il relativo accordo, rispetto all’ultima bozza di maggio.
In sostanza il piano definisce ambiti e competenze per la tutela dei malati cronici in ospedale e sul territorio e descrive le strutture e i modelli di assistenza più appropriati per garantire loro un intervento efficace.
Così in ospedale l’assistenza avverrà in base a diversi livelli di complessità assistenziale ed intensità delle cure: un livello di intensità alta che comprende le degenze intensive e sub-intensive; un livello di intensità media che comprende le degenze per aree funzionali (area medica, chirurgica, materno infantile) e un livello di intensità bassa dedicata a pazienti post acuti. Il medico, a cui è affidata la responsabilità clinica del paziente, concorre alla cura secondo le proprie competenze e l’infermiere, a cui è affidata la gestione assistenziale per tutto il tempo del ricovero, valorizza appieno la propria capacità professionale. Le figure chiave che la erogheranno saranno quella del tutor medico e del team infermieristico dedicato.
Sul territorio dei pazienti si occuperà un team multiprofessionale, adeguatamente formato e che utilizzerà i sistemi di comunicazione interpersonale, compresi gli strumenti della comunicazione a distanza (ICT), di cui dovrà essere dotato. Nel team, almeno uno degli infermieri svolge la funzione di “care management”, organizza il richiamo periodico dei pazienti, mantiene il collegamento diretto con il “tutor” ospedaliero, organizza la partecipazione a programmi educativi di gruppo.
Gli obiettivi del territorio sono chiari: ridurre i ricoveri impropri e anche quelli che, seppure appropriati, originano da un carente modello erogativo di continuità di assistenza e dall’insorgenza di complicanze croniche; prevenire le complicanze che necessitano di ricovero e, in ogni caso, mettere in atto tutte le misure di riconoscimento precoce delle complicanze.
Tra le strutture che si occuperanno delle cronicità, accanto all’ospedale di comunità che consente l'assistenza alla persona e l'esecuzione di procedure clinico-assistenziali a media/bassa intensità e breve durata e all’ambulatorio a gestione infermieristica che consente di accogliere pazienti affetti da patologie croniche in fase di stabilizzazione e favorisce le dimissioni protette, è definito il ruolo chiave degli infermieri nell’assistenza domiciliare integrata, in quella presso le strutture residenziali e i centri diurni dove sia i trattamenti intensivi, di cura e mantenimento funzionale, sia quelli estensivi di cura e recupero funzionale a persone non autosufficienti con patologie che richiedono elevata tutela sanitaria con continuità assistenziale, richiedono la presenza infermieristica sulle 24 ore.
“Il Piano nazionale cronicità è un tassello importante sia per l’applicazione del Patto per la salute, sia, soprattutto, per il cambio di rotta nel modello di assistenza del Servizio sanitario nazionale, che deve essere sempre più orientato necessariamente ai mutamenti epidemiologici e dei bisogni di salute, tra i quali non autosufficienza e cronicità rappresentano gli aspetti principali. Il Piano consente finalmente non solo di curare, ma anche di prendersi cura delle persone con patologie croniche, perché siano assistite in modo complessivo, e non solo per quanto riguarda i sintomi specifici”, commenta Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi.
“Il Piano – aggiunge – è un’ottima piattaforma di lancio, soprattutto per assistere al meglio i malati cronici sul territorio, dove finora molta parte dell’assistenza era lasciata al ‘fai-da-te’ di famiglie e pazienti. Ora, grazie al Piano, è anche possibile ‘tuffarsi’ nel futuro da questo trampolino e ci sono passi in più, per rendere il modello ancora più efficace ed efficiente e aderente alle indicazioni internazionali”.
In questo senso e per quanto riguarda le nuove, ulteriori possibilità per la professione infermieristica, Mangiacavalli mette ai primi posti la previsione di un approccio sistemico ed "evidence-based" alle patologie croniche che coinvolge tutti i produttori di assistenza e contenuto nel Chronic Care Model (C.C.M.) descritto dall’Oms.
“Secondo tale modello – spiega – le variabili fondamentali per affrontare con efficacia la cura della cronicità sono: l'impegno di tutto il sistema sanitario e sociale e della comunità; le cure primarie, come componenti fondamentali per le cure territoriali e segmento del Ssn più vicino al paziente.
A esse è affidata la continuità delle cure tra i diversi livelli e i diversi setting di assistenza; strumenti di traduzione organizzativa e operativa della cura della cronicità sono i percorsi assistenziali e la gestione integrata della persona con malattia cronica.
In questo ambito è essenziale l'approccio ‘patient oriented’ utilizzato dai sistemi erogativi di cura e assistenza, per identificare precocemente (disease finding) e prendere in carico (disease, care e case management) tutte le persone portatrici di malattia/condizione di cronicità insieme alle loro famiglie/care giver; soggetti più a rischio di complicanze /aggravamento delle condizioni di base e/o di perdita delle funzioni fisico-cognitive residue, per i quali siano riconosciuti efficaci programmi di cura e assistenza della cronicità. In questo ambito e nel contesto del lavoro multi professionale e multidisciplinare – prosegue - la funzione infermieristica contribuisce a orientare l'assistenza erogata ai malati cronici basandosi su approcci di assistenza proattivi, richiamati anche nel modello dalla medicina di iniziativa. Questo modello sposta il focus dalla cura della cronicità, dalla gestione delle complicanze della malattia di base alle capacità ancora attivabili (empowerment) e/o residue sia della persona che dei suoi care giver. Obiettivo è mantenere sotto controllo la malattia cronica di base (modello del caro management) e rendere la persona assistita capace di autogestione della propria condizione di salute e di malattia”
Secondo la presidente Ipasvi, poi, sarebbero possibili tra le altre, ulteriori possibili innovazioni, come la presa in carico infermieristica anticipata e finalizzata all’inserimento della persona assistita in programmi di disease e care management e l’individuazione di ulteriori indicatori di efficacia e appropriatezza, validi anche rispetto alla qualità di vita e di assistenza della persona. Per la parte assistenziale, ad esempio, secondo Mangiacavalli, tali indicatori potrebbero riguardare le dimensioni (esiti) sensibili alla cura infermieristica e all'azione generativa del nursing.
“Alle cure domiciliari potrà anche essere utile aggiungere – prosegue – una maggiore considerazione dei setting del domicilio come setting più ampio. II cambiamento delle condizioni di vita della popolazione anziana e/o con disabilita o fragilità funzionale e/o sociale sta cambiando: il domicilio tradizionalmente inteso (o qualunque luogo in cui la persona fragile si trova a vivere) è il luogo nel quale la persona trascorre la prevalenza del proprio tempo di vita e la sua funzione è quella di ridare significato al vivere quotidiano nella condizione di cronicità. Di conseguenza gli operatori (infermieri) che svolgono il proprio ruolo professionale vicino alla persona in ogni contesto nel quale questa vive, sia in salute che in malattia, devono ripensare anche alla dimensione ambientale: le cure extra ospedaliere, diventando sempre più sistemi in cui si sviluppa la long-term care, non potranno essere previste solo come cure domiciliari ma anche come cure ‘multi ambientali’ ovvero multi-setting”.
“Sul territorio – aggiunge ancora Mangiacavalli - l'infermiere assicura la continuità della presenza e della presa in carico dei problemi (acuti/cronici) di salute e benessere per le persone fragili e per le loro famiglie/care giver. Le competenze infermieristiche in questi ambiti non solo favoriscono la personalizzazione degli impegni assunti dalla persona verso la propria salute in fase prospettica, riducendo il rischio di istituzionalizzazione/ospedalizzazione, ma creando con il medico di medicina generale (Mmg) un’ alleanza che fa da tramite tra le esigenze della persona assistita e il medico di fiducia; favorisce condizioni e relazioni per raggiungere gli obiettivi di salute e mantenimento della persona assistita, coerentemente con gli obiettivi terapeutici previsti. Questo tipo di strategia consente al Mmg di focalizzarsi sui problemi di salute più complessi dal punto di vista clinico-terapeutico, potendo affidare i casi più emblematici dal punto di vista della cronicità (stabilità clinica e aderenza terapeutica, comportamenti e stili di vita) all'infermiere sul territorio, nell’ottica della cooperazione professionale e condivisione della pianificazione delle cure alla persona. In questo, anche ii ruolo dell'infermiere può essere valorizzato in quanto rappresenta, per la persona e la sua famiglia, la figura di riferimento tra un episodio acuto e il successivo”.
Infine, un riferimento ai “bisogni non clinici”, spesso correlati all'evoluzione verso la cronicità della malattia di base che li ha determinati: “L'infermiere – conclude Mangiacavalli - è il professionista che più di altri può affiancare la persona dentro ii sistema dei servizi per la continuità delle cure. Accompagna la persona malata o in remissione di malattia in ogni setting di percorso e quindi assume la responsabilità (non clinica) del caso tra un setting e l'altro e tra un professionista e l'altro, personalizzando gli interventi programmati e coordinandone il giusto percorso nel rispetto dei singoli percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA)”.
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