L’introduzione del green pass si è rivelata più funzionale dell’obbligo vaccinale

Una operatrice sociosanitaria di 64 anni è morta a causa del Covid-19. Era stata sospesa dal servizio presso il reparto ospedaliero di Alessandria dove lavorava, perché non era vaccinata. È una brutta notizia che provoca dolore per la collega, per la persona e per i suoi cari. Il resto, le posizioni anti-vax che l’operatrice esprimeva, sono quelle di sempre e meritano di essere considerate sotto una luce diversa, fuori da facili prese di posizione colpevolizzanti, all’interno di un quadro generale di riferimento, che ha visto, nei giorni scorsi, salire la polemica sulla scelta, di alcuni conduttori televisivi di dare spazio alle posizioni no-vax e no-green pass, unicamente per fare audience.

Un lunga e dura vertenza, e nel paese si sciopera

Negli ultimi mesi il contagio fra operatori sanitari, ed in particolare fra infermieri, ha subito un incremento di rilievo negli ultimi periodi: 936 (14 agosto – 14 settembre), 2.396 (14 settembre – 14 ottobre), 2.736 (14 ottobre – 14 novembre). Numeri che fanno riflettere e rendono più evidente, mentre sale l’ondata dei contagi, la scelta dell’obbligo vaccinale per alcune categorie lavoratrici. La questione di fondo, quella del rifiuto vaccinale, resta irrisolta, con il rischio di mantenere alta una gazzarra inutile a detrimento di una maggiore e migliore gestione della pandemia.

Un esempio arriva dal documento diffuso da un gruppo di infermieri dell’Ospedale Carlo Urbani di Jesi (AN). Il testo esprime tutta la contrarietà alle scelte governative del D.L. 172/21 che introduce l’obbligo, sottolinea la cattiva gestione della pandemia, appiattita unicamente sullo strumento dei vaccini, rivendica una liberalizzazione dei brevetti, in particolare per i paesi più poveri e ricorda infine la fragilità del sistema sanitario nella sua cronica carenza di personale. In quest’ultimo passaggio c’è una contraddizione di fondo: si rivendica la liberalizzazione (giustissima) del brevetto di un vaccino di cui però se ne rifiuta l’uso. Oltre questo rilievo necessario, non è il caso di addentrarsi nelle ragioni dei pro e dei contro, quello che va sottolineato è l’organizzazione in maniera autonoma della protesta di questi infermieri e la loro richiesta, nei fatti, di solidarietà da parte di altri lavoratori e della città stessa; ed anche da parte dei pro-vax.

Un quadro che non può non essere preso in considerazione, per il grido che si solleva, seppur differente nei contenuti, e si unisce a molti altri che nelle ultime settimane, ha percorso il paese. Come la protesta dei medici e degli infermieri della Simeu, dell’area dell’emergenza, che ha sottolineato la grave carenza di personale – almeno 4.000 – a carico di una situazione non più sostenibile. Sei giorni fa una delegazione del Nursing Up, durante le trattative con l’Aran per i rinnovi contrattuali, si è imbavagliata per sottolineare l’attuale drammatica situazione vissuta dai professionisti. A Spezia e a Modena ulteriori contestazioni per la carenza di personale e per condizioni di lavoro non più tollerabili. Ed oggi è il giorno di uno sciopero generale per ricordare che nell’affrontare la pandemia il paese ha dato il meglio di sé stesso. I lavoratori e le lavoratrici si sono impegnati al massimo, ed è ora di valutare un futuro che non sia peggiore del peggiore passato già vissuto.

Ed in questo si ritorna alle contestazioni in terra marchigiana. All’Istituto Santo Stefano di Porto Potenza (MC), il personale sanitario ha restituito i panettoni omaggio dell’azienda, in segno di protesta nei confronti di una dirigenza sorda alle loro richieste che, con questo dono, definito “non autentico”, sembra voglia lavarsi la coscienza. Altro che vaccini e panettoni, è ora di parlare di salari, garanzie sindacali, personale, turnistica, etc! Gli infermieri di Jesi che hanno manifestato il loro malcontento “anti-vaccinale” hanno la possibilità di uscire da una situazione di dispersione delle forze e agire per avere solidarietà a partire dal farsi, essi stessi, portatori attivi della solidarietà fra lavoratori. E l’esempio viene dalla loro stessa città dove, pochi giorni fa, altri lavoratori, quelli della Caterpillar (quasi 300 famiglie), vedono minacciato il loro posto di lavoro, il loro reddito, ma non per una sospensione di sei mesi: per sempre. Operai che chiedono solidarietà alla città, e testimoniano che non si deve restare da soli, agire divisi, subire le ritorsioni antisindacali e antisociali.

Gli operai della Caterpillar oggi chiedono la stessa solidarietà chiesta da quelli della Whirlpool, della GKN, dell’Elica, e di molti altri poli industriali a rischio di dismissione o delocalizzazione. Solidarietà, futuro, reddito e lavoro, degni di questo nome. Le stesse cose che chiedono infermieri e medici da settimane in ogni parte. Ecco, il nostro è un paese in cui è sempre più necessario riuscire a vedere l’altro, per non rimanere da soli, di fronte ad una globalizzazione che tritura vivi i più deboli, a causa delle vigliacche delocalizzazioni delle multinazionali o di una pandemia che guarda bene in faccia alle sue vittime, scegliendole con più facilità fra i poveri, i malati, gli anziani, e … chi rimane intrappolato dalle proprie convinzioni.

Personalmente non condivido le scelte delle colleghe contro l’obbligo vaccinale, ma considero che debbono trovare ascolto, e non tanto in termini strumentali ed elettoralistici. Dal canto loro, forse sarebbe il caso di cercare di combattere questo brutto mondo, non solo rifiutando il vaccino (scelta discutibile), ma anche sostenendo la lotta, nella loro stessa città, di un tessuto lavorativo industriale che è storia e memoria, società e rete sociale. Al Santo Stefano hanno fatto sentire la loro protesta, che probabilmente continuerà. Alla Caterpillar si inizia una lunga e dura vertenza, e nel paese si sciopera. Nulla è scontato, ma insieme si potrà avere una società migliore, più solidale e più forte di fronte a qualsiasi presente e futura pandemia, biologica o … economica.