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Malattia mentale: relazionarsi tra stereotipi e pregiudizi

di Maria Cristina Piegari

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Nella letteratura la cosiddetta ''follia'' e la malattia mentale hanno ispirato pagine bellissime e spesso drammatiche. Credo che in tal senso, sia molto interessante ed emblematico il caso della poetessa Alda Merini, che sperimentò gli orrori del manicomio.

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Alda Marini, sperimentò la "follia" del manicomio

BATTIPAGLIA. Impotenza. Vergogna. Terrore. Instabilità. Solitudine. Queste sono le sensazioni che provano i parenti di persone con patologie psichiatriche al momento della diagnosi del medico. E proprio qui inizia la difficoltà del confronto con qualcosa di difficile da capire con i pareri più diversi.

I parenti hanno paura... sì, paura nei confronti di un pericolo vago , questo perché il nostro modello culturale chiede che si occulti tutto ciò che allontana dalle convenzioni sociali; anormalità, devianza, follia sono "macchie" che continuano a turbare e incutere inquietudine. La paura è un istinto primordiale, "come voce di Dio cui tutti gli animali ubbidiscono" (Kant, Muthasslicher anfang der menschengeschichete, 1786).

È un meccanismo di difesa che stimola il nostro organismo a tirar fuori ciò che di meglio possiamo dare sia sul piano fisico che psicologico. Dal lato fisiologico produce adrenalina e mobilita le energie per evitare una situazione di pericolo imminente.

È opinione diffusa che nel campo della salute mentale esista ancora una certa misconoscenza del problema.

Le distorte raffigurazioni psichiatriche nei set del cinema o nell'arte letteraria, difficilmente delineano il ''folle'' nel suo reale disagio, quasi ogni volta si scivola nel ridicolo e nella follia in tutta la sua veste caricaturale.

Sulla vera follia c'è una disinformazione diffusa che ci ridà la maschera del ''folle'' o come minus o come un individuo pericoloso, violento, geneticamente tarato (matri-patri-infanticida, giovane killer che uccide senza causa, neo Jack squartatore, una-bomber, etc.).

Non viene rappresentato un individuo che, pur vivendo un profondo disagio, ha in sé risorse per vivere, amare, capacità di scelta, ed è comunque soggetto di diritto.

Non c'è da meravigliarsi, in fondo ritroviamo esempi anche nella mitologia greca ; ricordiamo il dio Pan provvisto di corna e zampe da caprone.

Sua madre, ninfa Driope (o Penelope) subito dopo averlo messo al mondo, lo abbandonò tanto era rimasta inorridita dalla sua bruttezza. Era infatti Pan, più simile a un animale che a un uomo, in quanto il corpo era coperto da ispido pelo; ma Ermes prese suo figlio, lo avvolse in una pelle di lepre e decise di portarlo nell'Olimpo al cospetto degli altri dei, dove, nonostante il suo aspetto, fu accolto con benevolenza.

Gli antichi egiziani invece, sostenevano che la persona con disturbo mentale era posseduta da spiriti maligni. Il paziente psichiatrico è debole, usa l’ambiente esterno come un teatro in cui egli "rappresenta" il proprio mondo interno, riproducendo personali tipi di relazioni patologici o distorti con inevitabile coinvolgimento degli operatori, i quali diventano "attori" a loro volta. Conoscere il "copione" offre ai parenti, conoscenti, amici, la possibilità di sottrarsi a un ruolo imposto, contrastando da un lato la patologica modalità d’azione del paziente (e favorire perciò il processo di maturazione del paziente medesimo) e dall’altro riducendo le reazioni emotive negative al comportamento del paziente o per lo meno tollerandole maggiormente.

Durante il decorso non sono poco frequenti l'insorgenza di periodi di crisi, accompagnate anche a gesti violenti. È opportuno non entrare mai in competizione e non adottare misure punitive .

Bisogna sapere, cari lettori , che l'obiettivo di chi aggredisce è quello di spaventare, persuadere e sottomettere l'altro alla propria volontà, quindi, da parte dell'operatore (amico, parente, badante) riconoscere la paura e palesarla abbassando la guardia e perfino dicendo: ''Mi fai paura'' può centrare l'obiettivo e affievolire di colpo l'ira.

I pazienti psichiatrici ritornano ad avere istinti primordiali; per questo motivo è necessario usare un tono di voce basso, rivolgersi direttamente all'utente senza guardarlo fisso negli occhi (sfida).

Consigli utili soprattutto per chi si approccia per la prima volta a un paziente psichiatrico agitato è :

1) usare un linguaggio semplice e facilmente comprensibile con frasi brevi;

2) presentarsi con il proprio nome e cognome;

3) posizionarsi a fianco del paziente con un asse di circa 30 gradi: la superficie esposta a colpi è minore; inoltre si comunica più disponibilità al dialogo.

4) avvicinarsi al paziente con atteggiamento rilassato e tranquillo, le mani aperte e ben visibili, evitando di incrociare le braccia e le gambe;

5) non toccare direttamente il paziente prima di aver spiegato cosa si sta per fare e non invadere il suo spazio.

 

Molto importante è per il paziente avere un caregiver ovvero un familiare che si prende in carico l'ammalato e che ad orari stabiliti si assicuri che il paziente assumi la terapia .

Consiglio utile ai familiari è quello di avere una particolare attenzione all'ambiente in cui vive il paziente .

Non a caso anche Florence Nightingale, fondatrice dell'assistenza infermieristica moderna, pose al centro della sua teoria l’ambiente, il quale era in grado di prevenire, curare, eliminare o contribuire allo sviluppo della malattia fino alla morte.

I pazienti psichiatrici, soprattutto se agitati, necessitano di un locale sufficientemente illuminato con luce soffusa , ampio, accogliente, non affollato; assenza di rumori molesti, interferenze acustiche o verbali dall'esterno; temperatura mite, assenza di arredi o suppellettili che possano essere facilmente utilizzati come armi improprie (oggetti pesanti, vetro, vasi, posacenere); infatti non devono essere a portata di mano del paziente agitato strumenti potenzialmente lesivi (forbici, siringhe, lacci) e vi deve essere la possibilità di mantenersi sempre in contatto con l'esterno della stanza (telefono, allarme sonoro).

Il mito di Zeus ricorda l'autorità di cui può disporre il terapeuta nel cambiare lo stile e la qualità di vita dei pazienti.

La riabilitazione necessita di un approccio terapeutico di tipo integrato, gestito da una équipe multidisciplinare, con erogazione di interventi di tipo farmacoterapico, psicoterapico e psicosociale.

Purtroppo oggi il sentimento della paura, spesso insito nello stigma verso la malattia mentale, fa pensare più a un'angoscia esistenziale che induce la maggior parte degli individui alla ''difesa'' dal paziente psichiatrico, viceversa bisogna sostenerlo , aiutarlo, supportarlo ,comprenderlo.

Nella letteratura la cosiddetta ''follia'' e la malattia mentale hanno ispirato pagine bellissime e spesso drammatiche. Credo che in tal senso, sia molto interessante ed emblematico il caso della poetessa Alda Merini, che sperimentò gli orrori del manicomio.

Soffrì tantissimo sulla sua pelle, tanto da avere il bisogno di trasmettere con una semplice penna , unica arma a sua disposizione dei versi profondi e di far vibrare le corde della nostra anima attraverso un grido d'aiuto:

 

'' Io come voi sono stata sorpresa
mentre rubavo la vita,
buttata fuori dal mio desiderio d’amore.
Io come voi non sono stata ascoltata
e ho visto le sbarre del silenzio
crescermi intorno e strapparmi i capelli....

…io come voi mi sono sentita togliere
i vestiti di dosso
e quando mi hanno dato in mano
la mia vergogna

ho mangiato vergogna ogni giorno...''

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