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L'empatia stravolta, o meglio avvertita in due modi diversi

di Redazione

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Quando come infermiere lavori al domicilio del paziente "sei in macchina, da solo, non hai come in reparto un collega o un paziente che in quel momento ti sta parlando, non sei impegnato ad ascoltare e quindi inevitabilmente vieni trasportato dai ricordi."

FANO. In università ce ne insegnano tante e tra gli argomenti che mi era particolarmente piaciuto c'era l'empatia. Ma ho scoperto, o forse per meglio dire sperimentato, una differenza particolare, diversa, stravolta.

In reparto l'empatia ha l'obiettivo di far sentire l'utente in un clima di sicurezza, di fiducia, di stabilire quel rapporto per far si che gli obiettivi assistenziali vengano raggiunti. L'infermiere è a proprio agio perchè è "a casa sua" e l'utente invece è un ospite temporaneo che terminate le cure lascerà solo spazio a qualche altro ospite. Sicchè l'infermiere fa sempre il primo passo, lo accoglie, lo porta a conoscenza delle regole, gli fa delle domande, risponde anche ai quiesiti che sembrano più banali tipo l'orario delle visite, se può alimentarsi e con cosa. L'infermiere, trovandosi "a casa sua" non ha bisogno di chiedere se può entrare in camera o per esempio di usare il lavandino. Nella maggior parte dei casi l'infermiere verrà a conoscenza anche di tanti altri aspetti della sfera personale, la composizione del nucleo familiare, il tipo di lavoro, le varie abitudini di vita.

Un altro aspetto da non sottovalutare è che l'utente e al massimo il familiare si trovano sempre in inferiorità numerica rispetto ad infermieri, medici, oss.

A domicilio pensate, è tutto diverso. Non parlo dell'emergenza ma dell'assistenza domiciliare. Devi stabilire un contatto empatico perchè l'obiettivo è sempre lo stesso però questa volta non sei "a casa tua". Anzi sei proprio fisicamente nella casa di qualcun'altro, sei proprio tu l'ospite. Quindi arrivi e sei tu ad essere accolto ma non solo, sarai tu a dover chiedere di poter utilizzare il lavandino, di entrare in camera, sarai tu in inferiorità numerica e anche se inizialmente farai delle domande per raccogliere l'anamnesi, successivamente sarai tu a dover rispondere a tante domande. Un pò per curiosità, un pò perchè nei tempi morti, durante una medicazione, un prelievo si potrebbe creare un fastidioso silenzio che creerebbe distacco e quindi non puoi fare altro che rispondere.

Al di la della curiosità o del silenzio è come se l'utente però avesse proprio bisogno di sapere, di conoscere chi è la persona che fa entrare in casa, che gli mette le "mani addosso", che gli dà degli ordini (mi riferisco alle indicazioni terapeutiche) e tu proprio in virtù dell'approccio empatico rispondi serenamente, senza riserva per poi sentirti anche tu a tuo agio. Via via infatti sarà l'infermiere il punto di riferimento della famiglia, paradossalmente più del medico curante!
Nessun problema, anzi un evento piacevole essere considerati dopo solo pochi accessi l'infermiere di famiglia, di solito fino alla conclusione delle cure domiciliari per raggiungimento degli obiettivi. Leggermente diverso è quando ci si trova di fronte ad utenti cronici. Ancora un pò diverso quando le cure terminano per l'exitus, fatemi passare il termine "prevedibile", dell'utente geriatrico che sai di aver accompagnato fino alla fine con il massimo della professionalità. Invece sostanzialmente diverso quando l'exitus è inatteso, ancor peggio se si parla di età giovanile. Non che sia impossibile ma è quasi inevitabile il trasporto emotivo. Quell'approccio empatico che hai cercato e si è concretizzato per fornire il miglior intervento, per raggiungere gli obiettivi porta a volte però ad essere risucchiati.
Attenzione, non che in reparto non accada mai, però dico che forse, proprio il percorso totalmente diverso per affrontare lo stesso tema, fa diventare tutto più difficile e difficilmente non puoi ricordare quando incontri i familiari con cui hai passato lo stesso tempo che hai dedicato all'utente, difficilmente puoi passare nella stessa via senza ricordartene.

Sei in macchina, da solo, non hai come in reparto un collega o un paziente che in quel momento ti sta parlando, non sei impegnato ad ascoltare e quindi inevitabilmente vieni trasportato dai ricordi.

Mi ha detto una cara collega, "maestra" per me: non ci si abitua mai... per fortuna! Sei un professionista, non un venditore di saponette.

Dedicato a Giulia.

Marco Romitelli

Infermiere Cure Domiciliari Distretto Fano-Mondolfo

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