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Dolore e preghiera, malattia e guarigione: la scienza si interroga

di Marco Alaimo

Il dolore, la preghiera e la guarigione: alcuni studi confermano il loro legame. Non vogliamo entrare nel merito delle singole fedi religiose, o della non fede o non credenza personale, ma ci sono alcuni aspetti nella vita delle persone che non possiamo non considerare.

La scienza e i professionisti sanitari possono occuparsi di questi fenomeni

Le scienze demo-etno-antropologiche ci insegnano a studiare l'uomo da un punto di vista sociale e culturale, e nel piano di studi che ogni professionista affronta nell'approfondire l’essere umano e il suo comportamento si "incontra o scontra con questa realtà".
Come professionisti della salute dobbiamo immettere nel nostro bagaglio culturale e scientifico tutti gli aspetti che ci permettono di conoscere e comprendere i fenomeni legati alla “persona” che abbiamo davanti.

Sappiamo bene come l’uomo sia composto da una moltitudine di componenti in una dinamicità che lo rende unico e allo stesso tempo legato ad altri fenomeni che lo circondano (ambiente, cultura, società in cui vive, educazione ecc.) e che inevitabilmente lo influenzano (concetti di analisi sistemica e dinamica degli elementi e dei fattori).

Scienza e Preghiera il possibile accordo

Scienza e Preghiera il possibile accordo

Gli aspetti legati al dolore e alla guarigione sono molti e diversificati nelle culture più svariate e modificate nel tempo, così come sono modificati i bisogni e le credenze del genere umano, oltre che gli approcci e le metodiche di cura e guarigione che la scienza moderna ci propone.

Lo stesso “effetto placebo” molto discusso anche in medicina, può esser considerato il più antico e il più efficace trattamento terapeutico conosciuto dall’uomo, e spesso parliamo di una sorta di fiducia (fede) nel rimedio o nel terapeuta che lo somministra. Esso può essere definito come: "la misura di tutti quei cambiamenti benefici, sia fisici che psicologici, che avvengono nelle persone, causati dalle loro aspettative consce o inconsce di guarigione, a prescindere dall'intervento di farmaci o procedure terapeutiche attive".
Tempo fa abbiamo parlato anche dell'effetto contrario ovvero il Nocebo e dell'importanza della comunicazione.

Ma allora cosa dicono gli studi? È scientifico oppure no parlare di certe cose? Come ci dobbiamo porre di fronte a questi fenomeni? La scienza e i professionisti sanitari possono occuparsi di questi fenomeni?

Nel 2007 presso la Arizona State University, è stato condotto uno studio guidato da David R. Hodge sulla “preghiera e gli effetti sull’uomo”, poi riportato sulle riviste scientifiche Physorg.com e ScienceDaily qui il link originale.

In questa ricerca il Dr. Hodge ha effettuato un’analisi completa di 17 importanti studi sugli effetti della preghiera di intercessione (la preghiera che viene offerta a vantaggio di un’altra persona).
Il ricercatore ha osservato che lo studio effettuato dalla sua équipe è molto importante perché è un’analisi di vari documenti e non un lavoro unico (la meta-analisi è sostanzialmente un riassunto dei risultati provenienti da varie ricerche sullo stesso argomento).

Hodge ha detto che: «questo studio ci permette di guardare il quadro generale. Attualmente è il più completo ed esaustivo studio di questo tipo su questo tema. Inoltre suggerisce che la ricerca su questo argomento è giustificata, dato che la preghiera verso persone con problemi psicologici o medici può aiutare effettivamente a farle recuperare». Egli ha trovato un effetto positivo.

ricerca scientifica e fede

ricerca scientifica e fede

Intervistato dalla Social Work Practice, una delle più prestigiose riviste nel campo del lavoro sociale, ha dichiarato: «In questi anni ci sono stati una serie di studi sulla preghiera per intercessione. Abbiamo condotto quindi una meta-analisi su essi, prendendo in considerazione l’intero corpo della ricerca empirica. Utilizzando questa procedura abbiamo trovato che la preghiera offerta a nome di un altro, produce effettivamente risultati positivi su quest’ultimo».

Dai dati emersi da una recente ricerca l’epidemiologo Mauricio Avendano spiega sull’ Independent che: "la Chiesa sembra svolgere un ruolo sociale molto importante per tenere a bada la depressione e superare le difficoltà di un periodo di malattia nella vita adulta".
Non è ancora chiaro se il beneficio è legato alla fede, o piuttosto al "senso di appartenenza e di inclusione sociale" che anima chi si sente parte di qualcosa insieme ad altri, precisa l'autore. Quindi sembra che frequentare una comunità religiosa si è dimostrato più vantaggioso, in termini di benessere mentale, anche rispetto ad attività istruttive e culturali, allo sport, al volontariato, all'impegno politico e sociale.
Altri studi invece si focalizzano sull'efficacia del volontariato nel mantenere uno stato di benessere e addirittura poter avere dei benefici come già detto nel " Il volontariato fa bene, la scienza lo conferma".

In uno studio condotto dall'Erasmus MC olandese e dalla London School of Economics britannica che ha coinvolto 9 mila persone per quattro anni ha rilevato che "l'unica attività associata a uno stato di felicità duraturo" è proprio la partecipazione regolare a preghiere e celebrazioni, indipendentemente dalla fede di appartenenza.
I risultati quindi suggeriscono che non importa se è una chiesa, una sinagoga o una moschea: frequentare assiduamente un luogo di culto fa bene alla salute mentale, soprattutto dopo i 50 anni. Viene quindi suggerito l’effetto antidepressivo della pratica religiosa.

I nostri risultati dice Mauricio Avendano, suggeriscono che "i diversi tipi di impegno sociale hanno tutti un impatto sulla salute mentale delle persone anziane, e quindi indirettamente sullo stato di salute generale, ma il tipo e l'entità di questo effetto variano a seconda dell'attività".

Molto importante il ruolo della “rete sociale” è il coinvolgimento in attività sociali.
Ma tra i primi ad aver dedicato quasi 40 anni di lavoro sullo studio del rapporto tra preghiera e salute è stato Herbert Benson, fondatore del Benson-Henry Institute for Mind Body Medicine al Massachusetts General Hospital di Boston.
Sono presenti ben 180 articoli accademici pubblicati e oltre una decina di libri sull’argomento dove lo scienziato ha dimostrato come la cosiddetta “prayer therapy” può veramente funzionare anche per chi non è propriamente religioso o particolarmente spirituale.
L’ultimo studio di Benson sull’argomento risale a un articolo pubblicato non molti anni fa sulla rivista Plos One e ripreso anche dalla Harvard Medical Shool. Una serie di ricercatori hanno trovato le prove fisiche di una pratica tutta mentale.

Benson ha analizzato i profili genetici di 26 volontari, nessuno dei quali aveva mai pregato o meditato in modo regolare prima di avviarli ad una tecnica di routine di rilassamento della durata di 10-20 minuti, che comprende parole/preghiere, esercizi di respirazione e tentativi di escludere i pensieri quotidiani. Dopo otto settimane i ricercatori hanno analizzato nuovamente il profilo genico dei volontari. Ebbene, dai risultati è emerso che sequenze di geni importanti per la salute sono diventate più attive e, analogamente, sequenze di geni potenzialmente nocivi sono diventate meno pericolose: qui l'articolo originale dello studio.
Fede, effetto placebo, credenze o scienza? L’essere umano è anche questo e non possiamo ignorarlo soprattutto quando parliamo di salute e benessere. Noi dobbiamo conoscere per intervenire nel miglior modo possibile, secondo scienza e coscienza, seguendo le evidenze scientifiche ma mai sottovalutando la cultura, la fede o la credenza della singola persona. Il termine alleanza terapeutica forse include anche il sapersi "alleare" con questi aspetti tutt’altro che ininfluenti per la cura e la guarigione dei nostri malati.

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