LUCERA. Il XIV Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria, svoltosi in quel di Lucera, in terra Foggiana, vuole sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica fornendo nozioni di base, a medici non specialisti e infermieri, sulle principali patologie carcerarie, con i Corsi Precongressuali, sia sviluppando temi di comune interesse, sia per il personale medico e infermieristico, con le sessioni congressuali congiunte e con le sessioni dedicate alla documentazione clinica, alle responsabilità professionali, alla prevenzione del suicidio.
Lo sforzo volto a fornire alla popolazione detenuta la migliore assistenza possibile, in coerenza con quanto offerto al cittadino “non detenuto” passa dalla conoscenza delle principali problematiche di salute, all'intesa con gli operatori penitenziari, all'integrazione con la società civile.
In un’epoca caratterizzata da carenza di fondi e da frammentazione dei sistemi sanitari delle varie Regioni, che rende difficile ricreare modelli omogenei di assistenza, quale quello che, pur con evidenti e molteplici limiti, era precedentemente offerto dal Ministero della Giustizia, quando unico erogatore del servizio. L'epilogo, lancio per il congresso del 2015, vedrà la costituzione di piccoli gruppi di lavoro, interprofessionali che, formati e stimolati dagli argomenti affrontati, vorranno lavorare nell'ottica dell'omogeneizzazione dell'offerta assistenziale nelle carceri italiane.
La SIMSPe, da sempre impegnata come società scientifica, ma anche operativa, si sente investita da questo gravoso compito, che deve passare anche dalla progettazione di comuni linee operative da sperimentare e proporre nelle varie realtà penitenziarie italiane.
La popolazione detenuta in Italia è cresciuta negli ultimi dieci anni dell’80%. Tuttavia, spazi e strutture sono rimasti sostanzialmente invariati, rendendo le condizioni dei carcerati ai limiti dell’invivibilità. La maggior parte delle carceri hanno dei tratti comuni: bagno e cucina nello stesso locale, cambio di lenzuola ogni 15 giorni, bagno alla turca o water separati gli uni dagli altri da un muretto alto appena un metro, strutture fatiscenti. Il personale è insufficiente, gli assistenti sociali sempre meno del necessario. L’assistenza sanitaria, come si può facilmente intuire da questo quadro, risulta di pessima qualità.
Una delle cause della difficile situazione delle carceri italiane può essere individuata nelle norme che ne attribuiscono il controllo agli enti locali. Le leggi attuali, infatti, delegano il sistema sanitario alle ASL locali, generando così sistemi organizzativi disomogenei nei 205 Istituti Penitenziari Italiani; il Congresso dovrà sensibilizzare proprio su questo, rilevando come si tratti di un problema comune. Le ASL, inoltre, non hanno né i mezzi, né il know how necessario per operare nei luoghi di restrizione della libertà. In epoca di spending review, con la sanità pubblica che subisce grossi tagli, le carceri appaiono come vittime predestinate ad appartenere a un sistema sanitario di serie B se non di serie C. Serve dunque una cabina di regia nazionale e non una frammentazione delle organizzazioni. “La vera emergenza delle carceri italiane è la mancanza di dati certi, che si traduce nella mancanza della possibilità di pianificare un intervento” ha dichiarato il dottor Guido Leo, Dirigente Medico di malattie infettive all’Ospedale Amedeo Savoia di Torino e Presidente del Congresso. Quando questo compito spettava al Ministero della Giustizia, i dati, seppur scientificamente non rigorosi, erano comunque disponibili fornendo una base su cui ragionare; oggi il sistema delle ASL genera frammentarietà e, conseguentemente, confusione. L’unica fonte che si occupa attivamente di una raccolta dati a livello nazionale è la SIMSPe, una onlus che si occupa proprio di tutelare la salute dei detenuti. La SIMSPe è una società scientifica a livello nazionale, in cui le varie regioni danno un contributo in diversa misura. La SIMSPe elabora studi e numeri su questo tema; si occupa inoltre della formazione di infermieri, psicologi, medici che operano nei 205 istituti penitenziari italiani. Si tratta dunque di un’attività formativa: viene garantito annualmente, ad esempio, il contributo alle linee guida per chi è affetto da HIV, da virus epatitici o da malattie sessualmente trasmissibili. Chi percepisce i bisogni dei singoli detenuti sono gli infermieri che provvedono a girare l’informazione ai medici, unica professionalità non militare con cui i detenuti sono in costante contatto; vanno quindi preparati in maniera specifica.
In questi giorni i dirigenti della SIMSPe stanno presentando i risultati delle loro ricerche, evidenziando i numeri sorprendenti: l’incidenza della tubercolosi in carcere, per esempio, è maggiore dalle 25 alle 40 volte rispetto alla prevalenza che ha nella popolazione generale; discorso simile per l’HIV (10 volte) e le epatiti. Su questo aspetto si è soffermato il professor Sergio Babudieri, Professore associato di malattie infettive all’Università di Sassari e Presidente della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria (SIMSPe), che ha rilevato come nella popolazione carceraria tra il 30 e il 40% delle persone abbiano l’epatite C, mentre l’epatite B attiva è intorno al 7%; oltre la metà dei detenuti (56%), inoltre, ha avuto contatti con l’epatite B; l’infezione della tubercolosi è oltre 50% nei detenuti stranieri. “Questi numeri dovrebbero essere raccolti dallo Stato, serve un Osservatorio Nazionale di Studi sulla Sanità in carcere” afferma Babudieri. “Uno degli scopi del Congresso è proprio quello di iniziare a ragionare sulla creazione di Raccomandazioni che possano poi essere presentate all’interno di un documento ufficiale e consegnate alle Istituzioni. Alcuni gruppi di lavoro si stanno già attivando su questo”.
Questo consesso di Torino, alla vigilia delle elezioni europee, è quindi un momento importante per portare avanti le iniziative sull’assistenza sanitaria nelle carceri. Il prossimo 28 maggio, inoltre, è un anno dalla sentenza Torregiani, un richiamo della Corte Europea all’Italia per allinearsi a livelli comunitari. Alcuni risultati sono stati raggiunti: il sovraffollamento è sceso dal 50% al 20%, ma l’Europa vuole vedere riforme strutturali. Il passaggio della Sanità Penitenziaria dal Ministero della Giustizia al Sistema Sanitario Regionale è un evento epocale che ha comportato un enorme cambiamento nell'assistenza ai pazienti detenuti, purtroppo non sempre e non da tutti recepito.
Chi entra in carcere più facilmente può contrarre malattie come AIDS, tubercolosi, epatiti, malattie sessualmente trasmissibili e altre patologie infettive. I prigionieri sono spesso soggetti all’obesità, sono fumatori e costretti a una cattiva alimentazione. L’attività della SIMSPe risiede pure nel creare consapevolezza negli individui, ponendoli di fronte ad eventuali terapie e diagnosi. A questo proposito, il carcere rappresenta un osservatorio straordinario per coinvolgere delle fasce di popolazione che altrimenti non terrebbero mai in conto il bene salute. “Il detenuto di oggi è il cittadino di domani; in carcere si riesce a intercettarlo, fuori come si fa?” si domanda Babudieri per far capire quanto sia importante intervenire in questo contesto. “L’importanza di una simile azione è poi testimoniata dai numeri: vari studi dimostrano che i pazienti positivi all’HIV non consapevoli trasmettono il virus sei volte di più di quelli che sanno di esserne infetti” ha proseguito Babudieri.
Da non sottovalutare poi gli aspetti psicologici: l’inevitabile depressione di chi è detenuto, ma anche alcuni rischi specifici. Ad esempio, per alcune categorie vi è la necessità di un approccio tipo psichiatrico: è il caso dei sex offenders, autori dei reati più ignominiosi, soggetti per una sorta di contrappasso a trattamenti massacranti da parte degli altri prigionieri; bisogna intervenire per tutelarli e curarli e per questo servono professionisti di altissimo livello.
La SIMSPe è già intervenuta nel marzo scorso, in Senato al convegno “Salute in carcere oggi”, con il quale si è chiesto con forza a livello politico un Osservatorio nazionale; servono infatti i numeri esatti per poter allocare efficientemente le risorse.
La SIMSPe può avvalersi dei contributi di altre associazioni, come la SIMIT, la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, co-patrocinante dell’iniziativa. Elemento di raccordo tra le due entità è Roberto Monarca, Direttore Scientifico e coordinatore dei corsi di formazione nella SIMSPe, e coordinatore SIMIT per gli studi sulle malattie infettive in carcere. Il suo impegno ha dato anche una proiezione europea al problema: il 15 ottobre 2013, a Londra, ha contribuito alla fondazione della Federazione europea HWB (Health Without Barriers) e ne è stato nominato presidente. Recentemente l’HWB è stata inserita nel network Health Imprison Programme all’interno dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, assieme ad altre organizzazione come la Croce Rossa. “Il prossimo Convegno di Torino” spiega Monarca “servirà per fare il punto sulle principali problematiche del carcere, dalle malattie infettive alle questioni psichiatriche, passando per le numerose patologie che interessano questa realtà”. All’interno del Congresso ci sarà anche il primo meeting internazionale: sarà votato il Consiglio Direttivo, si formeranno gruppi di lavoro su varie tematiche, saranno valutati i progetti europei che si stanno seguendo e quelli per cui si chiederanno finanziamenti; per il momento esistono una segreteria, un sito web in costruzione e sono stati compiuti i primi passi per una strategia di funzionamento. “Con questo meeting vanno distribuiti i compiti per portare avanti i progetti di federazione: fare salute in carcere, non solo per popolazione detenuta, ma per tutte le persone che lavorano in ambiente” ha sottolineato ancora Monarca. “Il carcere è generatore di patologie, come lo stress da lavoro correlato di molti poliziotti che lavorano in carcere. La polizia penitenziaria, infatti, è il corpo con la maggior incidenza di assenze per la patologia di lavoro correlata dovuta allo stress”.
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