Trent'anni fa. Probabilmente i più giovani non se lo ricorderanno, ma i sanitari boomer come il sottoscritto ricordano riunioni di dipartimento, incontri sindacali, momenti formativi e concistori vari in cui il mantra ripetuto continuamente era quello della razionalizzazione, del taglio agli sprechi, dell’assunzione di un’ottica aziendalista funzionale. Di questo o di quel reparto, di questo o di quell’ospedale. La logica imperante allora (ed anche oggi) fu quella di “mors tua e vita mea”. Ed oggi non c’è rimasto più nulla da tagliare se non l’esistenza stessa del Ssn, che non permette un accesso equo e universalista alle prestazioni.
È forse ora di mobilitarsi per il welfare universalistico italiano?
Il 19 febbraio scorso piazza del Campidoglio a Roma, nel tardo pomeriggio, si è riempita di una folla numerosa di manifestanti che rendevano omaggio pubblicamente, e denunciavano allo stesso tempo, il martirio dell’oppositore russo Alexei Navalny, morto nelle carceri siberiane. La manifestazione è stata convocata dall’enfant prodige della politica italiana – Carlo Calenda – richiamando, a vario titolo, la presenza di tutti i partiti, di governo e di opposizione.
Il dito puntato contro l‘autocrate russo Vladimir Putin ha sottolineato il fatto che, quando un oppositore muore in carcere, la responsabilità non può non essere politica ed in particolare di chi governa in quel momento.
Una verità tanto netta quanto immediata, peccato non sia sempre applicabile, in quanto il grido di allarme lanciato dai manifestanti non si è levato di fronte alle tante violenze, e in non pochi casi alle morti, a danno di diseredati, avvenute in questo paese negli ultimi tempi in carcere, nei Centri di permanenza per il rimpatrio, nei letti di contenzione di qualche struttura sanitaria, in mezzo al mare, o sui luoghi di lavoro.
Alcuni giorni prima di Navalny sono morti cinque operai in un cantiere della Esselunga a Firenze. Non si son viste né allora, e neanche dopo la morte di un operaio presso lo stabilimento della Stellantis ad Avellino, manifestazioni unitarie delle forze politiche tutte, riempire le piazze.
Come non si sono viste, e non si vedranno, manifestazioni o azioni politiche di sorta per dire no ai massacri a cielo aperto che avvengono in Palestina e in Ucraina. Oddio, in più parti del paese migliaia di studenti sono scesi in piazza a favore del cessate il fuoco a Gaza, ma in non pochi casi sono stati manganellati.
Poche le voci dei signori del Palazzo levatesi in loro difesa, molte meno di quelle che gridavano al regime a causa dell’identificazione poliziesca di qualche manifestante a Milano, sempre per la morte di Navalny, quasi in contemporanea con l’iniziativa romana.
Un quadro generale brutto di per sé, ma peggiorato ulteriormente – sul piano sociale - dal rapporto reso pubblico dal Direttore Generale del Ministero della Salute che ha mostrato lo stato del Ssn attraverso l’aderenza delle regioni (e delle provincie autonome) ai LEA nazionali nel 2022. Un quadro sconfortante che vede appena otto regioni, assieme alla Provincia di Trento, essere all’interno dei parametri, mentre il resto del paese, chi più, chi meno, non è riuscito ad ottenere una valutazione “sufficiente” (i dati vengono computati con voti da 0 a 100) nelle aree valutate relative alla prevenzione, all’assistenza ospedaliera e a quella territoriale.
I dati sono gravi e mostrano la seguente numerosità: a) una sola area non in linea per 4 regioni ed 1 Provincia autonoma (Bolzano, Liguria, Lazio, Abruzzo, Molise); 6 regioni due aree non in linea (Piemonte, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna), ed infine la Valle D’Aosta insufficiente in tutti e tre i settori.
Appena sei anni prima (2017) la situazione era decisamente diversa e solo lo scorso anno erano ben 11 le regioni in linea ed una provincia autonoma, in un quadro di progressivo depauperamento negli anni dove la pandemia da Covid-19 è stato fattore accelerante, ed allo stesso tempo indicatore epidemiologico di una malattia – quella del Ssn – che veniva da lontano.
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