In nessuno di loro riconosco dei cretini
Le missed care emerse dallo studio RN4CAST
Gent.mo Direttore,
leggendo le numerose reazioni che l’ormai famosa affermazione della collega Sasso ha suscitato sui social dopo la pubblicazione del video girato dalla vostra redazione, si percepisce chiaramente l’indignazione della comunità “infermieristica clinica”, a tratti sopra le righe, ma attuale.
Il 18 ottobre ero presente al convegno che si è svolto a Rimini durante il quale, mentre si parlava di fundamental care, la relatrice ha pronunciato la fatidica frase: c’è un movimento nel mondo, perché non è un problema solo italiano ma è un problema internazionale, c’è un movimento che sta cercando di recuperare l’infermieristica di base che da noi qualche deficiente chiama demansionamento , seguita dagli applausi della platea di colleghi.
Una platea, a onor del vero, composta prevalentemente da infermieri coordinatori , da quadri infermieristici, da colleghi in pensione e da una minoranza di infermieri clinici che, a parer mio, non ha gradito affatto. È doveroso riferire che la prof.ssa Sasso poco dopo si è scusata della sua affermazione, dichiarando di essersi resa conto che la Presidente dell’Opi di Rimini aveva lasciato la sala .
L’affermazione indigna, ma non ci si può limitare a questo, occorre approfondire.
L’infermieristica tutta aveva bisogno dello studio RN4CAST , che ha finalmente fotografato la situazione italiana consentendo di compararla con quella del resto del mondo. È stata posta la base per abbandonare definitivamente il sistema del cosiddetto “minutaggio” a favore della presenza numerica degli infermieri e della loro formazione accademica, che influenzano il percorso clinico del paziente e gli esiti, ora è dimostrato.
Oggi è possibile provare che il rapporto minimo per garantire la sicurezza è di 6 pazienti per ogni infermiere (in Italia siamo a 9,5).
Sasso durante la sua dissertazione ha affrontato l’argomento delle cure mancate (missed care ), le cure tralasciate dagli infermieri. Un fenomeno poco dibattuto, ma di estrema rilevanza.
Le cure sistematicamente omesse sono: deambulazione, postura, nutrizione, educazione, pianificazione delle dimissioni, supporto emotivo, igiene del cavo orale, documentazione, sorveglianza.
Secondo lo studio le ragioni sono da ricercare nella carenza di personale , cattiva gestione delle risorse umane, carenza di tempo, mancanza di lavoro di squadra, delega inefficace, abitudine e rifiuto.
Uno dei grafici proiettati ha illustrato chiaramente che gli infermieri tendono a dare priorità alle attività che hanno una ricaduta immediata sul paziente (terapia farmacologica ai giusti orari, gestione del dolore, trattamenti e procedure, documentazione adeguata delle cure, cura della cute) tralasciando quelle che hanno un riflesso meno immediato.
Rispetto alle cure mancate per abitudine e rifiuto, la letteratura sembra concorde nel sostenere che se si smette di fare una determinata attività questa rischia di non essere più patrimonio del professionista e della professione in generale .
In questa fase della discussione si è inserita l’affermazione incriminata: (...) c’è un movimento che sta cercando di recuperare l’infermieristica di base che da noi qualche deficiente chiama demansionamento .
Le cure alle quali gli infermieri danno priorità
Le missed care emerse dallo studio RN4CAST
È arrivato il momento delle riflessioni. Lo studio descrive il motivo per cui gli infermieri non si occupano più di determinate attività, l’elenco vede tra le prime variabili la carenza di personale e la cattiva gestione delle risorse umane rispetto alle quali l’infermiere clinico può davvero poco.
I dati disponibili indicano poi quali sono le cure alle quali l’infermiere dà priorità , guarda caso quella parte di cure alle quali le organizzazioni sanitarie e la giurisprudenza (non necessariamente in quest’ordine) negli ultimi anni hanno attribuito rilievo fondamentale: somministrare la terapia farmacologica ai giusti orari, gestire il dolore (non solo trattare), rispettare le innumerevoli procedure, documentare adeguatamente le cure. Ma anche rispetto a questo tema l’infermiere clinico ha spazi d’azione risicati.
Sono convinto che la gran parte degli infermieri italiani conosca gli aspetti deontologici e normativi che disciplinano la propria professione e che abbia la piena consapevolezza che gli stessi siano stati progressivamente deformati, partendo dalla formazione universitaria.
Credo fortemente che gli infermieri non rifiutino cure, ma abbiano imparato a plasmarle progressivamente a quanto è stato loro imposto
Al convegno si è discusso dell’importanza dell’alimentazione e dell’apporto calorico ai pazienti, sacrosanto. Sono convinto che l’infermiere possa gestire questa fetta dell’assistenza senza necessariamente spingere un carrello e distribuire direttamente le pietanze al paziente, perché questo accade ancora in tante realtà italiane.
Lo studio RN4CAST evidenzia infatti che un alto numero di infermieri nell’ultimo turno (i quesiti erano spesso riferiti all’ultimo turno perché è quello che si ricorda più nitidamente) abbia eseguito prestazioni sottodimensionare rispetto al livello di competenza: rispondere al telefono e svolgere attività burocratiche, richiedere materiali, pulire camere e materiale, trasportare pazienti all’interno dell’ospedale, effettuare cure non infermieristiche, consegnare e ritirare vassoi dei pasti (appunto!).
Schematizzando ora sappiamo con certezza - lo studio ce lo dimostra - che gli infermieri:
lavorano sotto organico e male organizzati;
garantiscono comunque: la terapia farmacologica ai giusti orari, la gestione del dolore, il rispetto dei trattamenti e delle procedure, documentano adeguatamente le cure, curano la cute;
tralasciano altre cure: deambulazione, postura, nutrizione, educazione, pianificazione delle dimissioni, supporto emotivo, igiene del cavo orale, documentazione, sorveglianza;
dovendo però: rispondere al telefono e svolgere attività burocratiche, richiedere materiali, pulire camere e materiale, trasportare pazienti all’interno dell’ospedale, effettuare cure non infermieristiche, consegnare e ritirare vassoi dei pasti;
abbandonano la professione perché sono sottoutilizzati rispetto alle proprie competenze (intention to leave)
Ora con qualche elemento in più è possibile riflette sul cosiddetto demansionamento e sulla coerenza, sempre d’obbligo quanto ci si rivolge alla comunità professionale.
Ciò che è demansionante, anche se a me questo termine proprio non piace, è ormai evidente a tutti. Chi afferma che in Italia esiste il fenomeno del demansionamento è oggi la Fnopi (Linee di azione della Federazione sul fenomeno demansionamento del 1 settembre 2018) e da più tempo le organizzazioni sindacali, in primis Nursind che è tra i promotori e finanziatori dello studio della prof.ssa Sasso. In nessuno di loro riconosco dei cretini!
Nicola Colamaria , Infermiere
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