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Editoriale

Accadde il 15 agosto

di Giordano Cotichelli

Quella giornata non poteva essere più afosa. Il fresco della chiesa riusciva a malapena a darle un po’ di refrigerio anche se un senso generale di malessere cominciava a farsi strada lungo il corpo. Tutto quell’incenso era insopportabile. Faceva girare la testa. Fra poco la funzione per l’assunta sarebbe finita e a casa avrebbe trovato maggiore conforto. Presto tutto sarebbe finito, era questione di giorni. Forse di ore. No, no era questione di giorni, e sarebbe passata.

Ferragosto

Un pezzo di quell’anno dannato sarebbe stato lasciato alle spalle. Un anno e tre mesi per la precisione, tanto era passato da quel 15 maggio in cui i signori della terra avevano ceduto la patria agli stranieri, quelli che ormai presidiavano da tempo, con i loro soldati, i punti principali del paese. Gli invasori erano stati sempre i più forti. Militari di un regno che cercava di riscattarsi, ai danni dei popoli più deboli, dalle più recenti e gravi sconfitte subite nelle Americhe, nelle Indie, e poco mancò anche sulla madre patria. Aveva scoperto di essere incinta mentre seguiva a cavallo suo marito Carlo, lungo sentieri battuti buoni per muli e capre, non per eserciti ribelli. A venti anni è facile essere rivoluzionari per riscattare, nelle idee di libertà, la patria resa schiava da secoli. Poi si diventa grandi. Il 9 maggio nella Battaglia di Ponte Novo si consumarono le ultime speranze di una guerra d’indipendenza, ormai definitivamente persa.

La strada verso casa si stava facendo più faticosa da percorrere di quanto non pensasse. Aveva provato a bere un bicchiere di limonata fresca, venduta appena fuori dalla chiesa. Il ristoro generato era svanito già dopo pochi passi. Forse la situazione stava davvero precipitando e non c’era più tempo da porre in mezzo. Non sarebbero stati né giorni né ore, da lì a poco le si sarebbero rotte le acque. Facile previsione. Ecco l’onda delle doglie stringere in una morsa il ventre. Non aveva fatto in tempo a mandare a chiamare l’ostetrica, che nella sala centrale della casa di famiglia partorì quel figlio che l’aveva accompagnata in grembo nel lungo peregrinare di quei mesi.

Fortunatamente tutto andò per il meglio e lo stesso neonato si presentò al mondo ancora avvolto nel suo stesso sacco amniotico. Un evento rarissimo, di buon augurio, sottolineato dal detto popolare: “Nato con la camicia”. Ed ancor più, ad accogliere i primi respiri del figlio di Donna Maria Letizia Ramolino, ci fu un provvidenziale tappeto raffigurante la grandezza di Cesare e di Atlante. Niente poteva essere ulteriore presagio favorevole del futuro del nascituro.

La madre non sapeva più se il figlio sarebbe stato il vendicatore dei Corsi come si era augurata durante la salita sul Monte Rotondo, durante la ritirata dopo la sconfitta di Ponte Novo, ma intuiva la grandezza di quel pargolo cui avrebbe messo il nome del primo figlio, perduto poco dopo la nascita: Napoleone. Era il 15 agosto del 1769.

È la storia di uomini e di donne, non di caporali francesi, tedeschi o italiani, cui rispose a suo tempo un grande dell’animo umano ponendosi il quesito: "Siamo uomini o caporali?".

La risposta alla domanda del Principe Antonio De Curtis, in arte Totò, sta nelle campagne di questo paese dove, sotto il sole d’agosto, si trova sempre qualcuno troppo curvo sulla schiena, vessato da un caporalato fatto sistema per una paga da fame

con il rischio di beccarsi anche il Covid e passare per il solito straniero che “ci ruba il lavoro e ci porta le malattie”.

Ma anche questa è un’altra storia. Oppure sempre la stessa, figlia dell’indolenza estiva che, nel suo ultimo sussulto narrativo, ricorda un altro 15 agosto, quello del 1925, in cui fu promulgata la legge numero 1832, quella che istituiva in Italia, durante il governo del piccolo caporale romagnolo, di cui si diceva, la prima legge sulle scuole convitto per Infermiere Professionali. Un segno di progresso per allora? Difficile affermarlo.

Buon ferragosto.

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