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editoriale

È già vita dentro un'altra vita

di Monica Vaccaretti

È una brutta giornata per l'America, una decisione crudele e scandalosa. Decisione orribile, che avrà effetti devastanti. Infamia, passo indietro dei diritti fondamentali ed umani di milioni di americani. Sono i commenti delle maggiori autorità politiche oltreoceano. In Europa la decisione lascia sgomenti e i commenti istituzionali sono orientati verso la disapprovazione, perché ferisce la dignità della donna ed è un furore ideologico. Secondo l'Accademia Pontificia per la Vita si tratta di una sentenza che sfida il mondo intero.

Le prime pagine dei giornali occidentali raccontano di shock per il mondo

Si teme che il dibattito sulla questione delicata dell'aborto, che si pensava superato ed acquisito, possa riaccendersi ovunque scuotendo le coscienze e portando ad analoghe sentenze giuridiche.

Il giorno seguente alla storica e coraggiosa decisione, approvata dai Movimenti Pro Life di tutto il mondo, in una nota della Casa Bianca si fa sapere che il presedente Biden ha dato mandato al Segretario alla Salute di garantire un maggior accesso delle donne alla pillola abortiva e ad altri farmaci per l'assistenza riproduttiva approvati dalla Food and Drug Administration, così da ovviare il divieto all'aborto in attesa che il Congresso possa deliberare per ripristinarlo se possibile.

Molti americani ritengono che la decisione di avere un figlio sia una decisione sacra che dovrebbe rimanere tra la donna ed il suo medico. Ora, negli Stati Federali dove da oggi l'aborto è vietato e negato, il personale sanitario sarà criminalizzato se lo pratica.

La salute delle donne è certamente a rischio se esse ricorrono all'aborto clandestino per liberarsi del bambino che portano in grembo mettendosi seriamente a rischio di potenziali complicanze quali emorragie, infezioni uterine che se non trattate causano sepsi e sterilità, mancato aborto e prosecuzione della gravidanza.

Quando sento la parola aborto mi vengono in mente due soggetti

Nell'acceso dibattito esploso poche ore dopo la diffusione della notizia che ha fatto il giro del mondo, mi accorgo che nessuno tuttavia ha speso una parola, neanche un accenno, al bambino e al suo diritto di nascere. Quando sento la parola aborto mi vengono in mente due soggetti, una madre ed un figlio. Tutti parlano soltanto della donna.

Penso che una società civile debba difendere i diritti di tutti, non solo dei più forti, tutelando i fragili e dando voce a chi non ne ha. È innegabile che per cinquant'anni è stato impedito ad intere generazioni di umani di nascere. Una legge ha permesso ad alcuni di decidere se altri possono vivere o morire, a seconda di varie motivazioni. Bastava seguire certi criteri e rispettare prestabiliti tempi di gestazione, oltre i quali non si poteva più esercitare tale diritto. Anche ponendo limiti, ne sono morti a milioni. Altrettante milioni di donne vi hanno fatto ricorso e, in qualche modo e in diverse maniere, ne hanno comunque sofferto.

Come donna penso che un feto, in qualsiasi settimana di gestazione, sia già vita dentro un'altra vita. È lunga pochi centimetri, pesa pochi grammi ed ha un cuore minuscolo, come una punta di spillo, che batte dal quattordicesimo giorno dal momento in cui è stato concepito. L'inizio del suo battito cardiaco lo ha stabilito la scienza. E da quell’attimo battente non è più soltanto un ammasso di cellule di due individui distinti che si sono incontrate, per caso o per amore, ma diventa creatura.

È un essere vivente, anche se galleggia e respira nell'acqua e al buio nel ventre materno, un mondo tutto suo che è il posto più accogliente e sicuro del mondo per una persona così piccola ed indifesa. Dipende dalla madre per le sostanze nutritive che lo fanno crescere così che da sostanza embrionale diventa bambino. È già persona dentro un'altra persona che si fa custodia, il resto lo fa la natura senza che la donna faccia niente se non aspettarlo. Il suo viso è ben visibile nelle ecografie tridimensionali, già al quinto mese si notano i suoi lineamenti. Quando tutto è formato notiamo la sua fisionomia e lo vediamo succhiarsi il pollice. E ci meravigliamo. E ci commuoviamo.

Al di là delle opinioni personali e di quelle pubbliche che infiammano la discussione, e andando oltre le considerazioni etiche che animano le coscienze, il ragionamento umano mi porta a pensare che l'aborto è sempre comunque una cicatrice. Quella sul corpo della donna si rimargina e scompare. Quella che resta è una ferita che invisibile cuce addosso talvolta un dilaniante senso di colpa o un senso di nostalgia per quel figlio mancato.

In ogni caso il diritto all'aborto è una sconfitta sanitaria se usato come estremo metodo contraccettivo. È una sconfitta sociale se il motivo per cui vi si ricorre è economico. È una sconfitta relazionale se vi si aderisce volontariamente, perché si è lasciate sole di fronte ad una gravidanza inaspettata e ci riscopre tremendamente fragili di fronte alla vita. Si vorrebbe magari tenere il bambino, frutto di un incontro d'amore o occasionale, ma ci si scontra con la volontà dell'altro che non lo vuole o neppure lo sa. L'aborto, da qualunque parte delle parti coinvolte lo si guardi, è sempre un dramma perché impone una scelta. Di vita o di morte. Non solo per il bambino.

La nostra società difende l'aborto ritenendolo un diritto civile e una conquista femminile. Ogni donna ha il diritto di prendere decisioni riguardo al proprio corpo. L'utero è mio e ne faccio quello che voglio. Se ne parla come un inalienabile diritto alla salute della donna, così come è innegabile per ogni persona colpita dalla malattia il diritto di curarsi, guarire e stare bene.

Ma la gravidanza non è mai malattia, nemmeno se viene da una violenza o da un mancato desiderio di maternità per un momento sbagliato. La salute della donna nell'esperienza straordinaria della gravidanza è fisica e psicologica. La sua interruzione impatta ugualmente sul benessere corporeo e cognitivo della donna che la sceglie.

Salute per molte è liberarsi del bambino, talvolta non lo si vuole perché la nuova esistenza sconvolge la propria. Salute per molte altre è invece accogliere ugualmente l'imprevista esistenza che ci si porta dentro anche se fa paura. È questione sempre di un atto d'amore. Per sé o per un altro dentro di sé. O per entrambi. È questione a volte di priorità. Che nessuno deve giudicare, perché ciascuno conosce il proprio sentimento e il proprio pensiero sulla questione o nella situazione contingente in cui ci si ritrova.

L'aborto per una donna è sempre una scelta drammatica

Si dice che è un suo diritto decidere, che l'ultima parola e l'estrema ragione spetta a lei. È spesso una scelta solitaria, anche se discussa e condivisa con il partner. E non è mai leggera. Non è come togliersi un dente. Ci si toglie una parte di sé, una buona metà di quello che dentro si sta formando con tenerezza e miracolo.

Spesso non si coglie l'immensità della meraviglia che sta capitando nella profondità del nostro corpo e non si ha consapevolezza della gravità dell'atto che, interrompendo questo incanto della vita, si ripercuote sulla nostra esistenza magari a distanza di anni. Lascia un segno, l'aborto. Inizialmente può essere un sollievo che diventa un dolore sordo che sembra affievolirsi con il passare del tempo. Spesso il ricordo di un bambino mancato accompagna la donna per il resto della sua vita. E il dolore silenzioso diventa sofferenza psichica.

Negli accidenti della vita di una donna può capitare di imbattersi in un incidente, come si chiama un concepimento non voluto. A molte di noi può essere balenato in testa l'idea di ricorrere all'aborto. È sempre un'emozione forte riscoprirsi incinta, ti cambia la vita. A volte si fanno i salti di gioia con il cuore che esplode tanto è felice. Altre volte il cuore batte dalla paura. Se si insinua il tarlo non ce la posso fare e non lo voglio il pensiero galoppa alla possibilità che la legge ti dà di eliminare il problema. E sai che hai poche settimane, dalla scoperta, per decidere ed essere in tempo a farlo e non pensarci più. Oltrepassati i 90 giorni, te lo tieni. Prima dei tre mesi, non te ne accorgi nemmeno di essere gravida. È più facile prendere certe decisioni se non senti niente nel tuo ventre. Al terzo mese non si muove e non senti i suoi calci, come inizia a fare al quinto. Non hai nemmeno la pancia più tonda.

L'aborto, anche solo il pensiero dell'aborto, è sempre figlio della paura. È madre della solitudine di una madre. È padre di un padre sfuggente che dice decidi tu e così diventa assente pur essendo presente nella vita della compagna. È padre talvolta di un padre che scappa e ti dice che non lo vuole un figlio, non ora, non da te. È fratello dell'indifferenza e della mancanza di qualcuno accanto che ti suggerisce che ce la puoi fare anche da sola o nonostante la violenza subita, grazie ad una mano tesa.

Penso che accanto al sacrosanto diritto della donna ci sia il diritto del nascituro. Anche il bambino ha diritto alla vita, tanto quanto la madre ha diritto di scegliere diversamente. La differenza tra i due soggetti di tutela è che il figlio non può decidere per la sua sopravvivenza. Non lo può neanche suo padre. Tutto è lasciato nelle mani della donna. È un diritto della donna sì, ma si è in due. Una donna e un uomo. E ciascuno con un figlio. I diritti coinvolgono tre persone. È un diritto sì, ma secondo la legge i diritti si accompagnano sempre ai doveri. E il dovere di essere responsabili non è l'ultimo.

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