La memoria viva tra le strade di Padova, fra dolore e speranza
Penso alle conseguenze che quegli attentati hanno avuto sulla salute, fisica e mentale, di migliaia di persone nel corso dei due decenni successivi .
Si tratta di un'imponente struttura luminosa, in vetro ed acciaio, che contiene al suo interno un frammento lungo circa sei metri di una trave del World Trade Center.
Questo resto contorto e bruciato di una delle due Torri Gemelle, non so se la Nord o la Sud, incastonato in una sorta di teca su un lato interno dell'installazione, era stato esposto nel 2002 al padiglione americano della Biennale di Venezia ed era stato poi donato dal Dipartimento di Stato americano alla Regione Veneto.
L'opera contemporanea, che risalta tra gli edifici storici patavini, è stata realizzata da uno dei maggiori architetti mondiali, lo statunitense di origine polacca Daniel Liberskind, già vincitore del concorso per la ricostruzione dell'area di Ground Zero a New York.
Non ho mai dimenticato quell'11/09, so ancora oggi cosa stavo facendo alle 13.46 e alle 14.03 ora italiana e, undici dopo undici, sento le emozioni di allora. Ero una studentessa del primo anno di Infermieristica e smontavo dal turno del mattino del tirocinio di settembre, l'ultimo prima del nuovo anno accademico.
Mi preparavo già a dormire per quello notturno, dato che all'epoca la turnazione non era ancora quella europea così che mattina e notte si facevano nello stesso giorno, dopo un pomeriggio. Ricordo che a dormire non ci sono mai andata, nemmeno finita la notte. Ci ho messo due giorni per riaddormentarmi. E mi è rimasto tutto dentro, anno dopo anno.
Così stamattina, che sono libera dal lavoro, prendo un treno per Padova, scelta come luogo di grande valore simbolico per collocarvi il monumento. E mi ritrovo, a due passi dalla stazione, davanti a questo libro aperto sempre illuminato, come una fiaccola di speranza.
Guardo il corpo centrale d'acciaio verticale che urla valori universali: pace, libertà, convivenza ed unione delle culture, seppur diverse. Il vetro opaco satinato, che si apre come una pagina ad angolo, rappresenta invece il dubbio e la difficoltà di affrontare l'incomunicabilità che divide purtroppo ancora le persone ad ogni latitudine e in tanti contesti.
Quando è stata posata la prima pietra, nel 2005, la console americana ha spiegato che la città di Padova è stata scelta per la sua lunga tradizione di tolleranza, culla di civiltà e cultura. Ospita una delle più antiche università d'Europa, dove ha lasciato la sua traccia l'insegnamento di Galileo Galilei. Ancora oggi Padova ci insegna che non dobbiamo avere paura della scienza. Dobbiamo avere invece paura dell'ignoranza e dell'intolleranza che sono le cause principali della violenza e del fanatismo .
Questo libro della Storia, in cui è descritta una pagina drammatica dell'uomo, diventa secondo le intenzioni dell'artista non soltanto un luogo di memoria ma anche uno spazio in cui ciascuno possa meditare sui valori della fratellanza e sul rifiuto di ogni forma di violenza. Penso allora alle ore drammatiche che hanno preceduto i crolli.
Le persone intrappolate, le chiamate disperate al 911, gli ultimi addi al telefono, i voli a testa in giù e quelli più scomposti, di umani che non sanno volare. Le sirene delle ambulanze, i vigili del fuoco che salivano, i soccorritori che scendevano impolverati. Gli ospedali intasati di feriti, che una maxiemergenza del genere non s'era mai vista da nessuna parte . Poi quella polvere che ha sommerso tutto, sembrava uscire persino dallo schermo del televisore, e che ha trasformato il mondo in qualcos'altro, dirottando la traiettoria storica.
Penso alle conseguenze che quegli attentati hanno avuto sulla salute, fisica e mentale, di migliaia di persone nel corso dei due decenni successivi. Penso al devastante bilancio di morte di un giorno soltanto e ai decessi e alle disabilità legati alle malattie sviluppate per inalazione di amianto, diossina, piombo, cromo ed altri metalli pesanti contenuti nella polvere e nei detriti del crollo. Penso alle conseguenze a distanza, collaterali, derivanti dalle guerre in Afganistan e in Iraq che hanno lasciato quei Paesi devastati con sistemi sanitari dissestati.
Penso alle varie forme di violenza che da allora sembrano peggiorate, nella loro gravità e nella loro diffusione globale. Dagli attentati terroristici ai conflitti armati, dai femminicidi più brutali agli stermini di famiglie per mano di figli adolescenti, agli omicidi per strada senza una ragione o soltanto perché si sente la voglia di uccidere qualcuno.
Penso alla violenza verbale sui social media, ai comportamenti lesivi della dignità, alle umiliazioni e alle prevaricazioni sui posti di lavoro. Penso alle aggressioni sui sanitari , in stile raid punitivi. Agli agguati nei parcheggi ospedalieri quando ci si prepara a tornare a casa al sicuro e alle minacce di morte in corsia. Ai pugni, agli insulti. A porte barricate, a stanze devastate. Ad estintori in testa, ad arti ingessati usati come arma per colpire di rovescio.
Penso che una violenza così radicata nella società non la si possa estirpare nemmeno con l'esercito negli ospedali. Essa troverebbe certamente altri posti dove colpire per sfogarsi, dove farci del male.
Un Daspo delle cure sembra comunque incostituzionale, dicono già i giuristi, basta leggere l'articolo 32. E chiudere gli ospedali non si può. Ogni giorno c'è una nuova violenza, più cruda, più dura, che ci fa dire basta ma che non si ferma. Violenza genera violenza, come una emulazione contagiosa. Tra violenti ci si sente forti e legittimati.
Gli esperti sostengono che le persone diventano più violente quando le cose vanno male e perché hanno paura. Della scienza, dell'autorità, del diverso, dell'estraneo, del cambiamento, della debolezza, di ciò che non capiscono e non conoscono. Di tutte le loro proiezioni.
La violenza è quindi una reazione sbagliata al mondo . Esprime un bisogno di difendersi da qualcosa che minaccia e destabilizza. Nel tentativo di proteggersi le persone finiscono invece con distruggere e distruggersi. Secondo gli psicologi, chi cede alla violenza manifesta esteriormente la violenza psichica del suo essere interiore. Sembra che nessuno sappia come fare per arginarla. Certamente serve recuperare civiltà e cultura. E tornare a parlarsi, abbattere muri di diffidenza, comunicare meglio.
C'è poca gente davanti al monumento, eppure è un luogo di gran passaggio. Ci sono frotte di studenti che vanno verso il Bo, dove Galileo insegnava al Teatro Anatomico. Le autorità se ne vanno, lasciando lì l'alloro sino alla prossima corona fresca.
L'umanità tende per sua natura alla dimenticanza, alla noncuranza. Mi rendo conto che attorno a questo memoriale c'è adesso confusione e rumore. Ho voglia d'improvviso di solitudine e silenzio. Lancio un ultimo sguardo alla trave e vado tra gli affreschi di Giotto. Ma gli iracondi ci sono pure lì, tra i peccatori capitali.
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