Il personale di ruolo sanitario, dirigente e non dirigente e a tempo indeterminato, del Servizio Sanitario Nazionale, tenendo conto dei diversi profili professionali, è aumentato complessivamente di oltre 21 mila unità nel biennio 2019-2021, tornando quasi ai livelli occupazionali di dieci anni fa. Secondo il Report della Ragioneria Generale dello Stato presentato nel 2021, i dipendenti erano circa 670.566, poco meno che nel 2012. Dopo un progressivo calo che ha raggiunto un plateau dal 2016 al 2019 con una perdita media di circa 30 mila unità, il personale è tornato a crescere seppur lentamente, mantenendo una maggior presenza dellle donne rispetto agli uomini. Il personale è femminile per il 68,7% ed è composto per il 41,7% da unità con profilo infermieristico. La percentuale corrisponde a quasi 280 mila unità. Il conto aumenta di altre 70 mila se agli infermieri si aggiungono gli altri profili sanitari diversi da quello infermieristico. Risulta pertanto che quasi tre quarti del SSN è composto dal comparto, il resto del personale impiegato è medico e odontoiatrico. È quanto emerge dall'approfondimento di marzo 2023 di Agenas, l'Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, in cui si fotografa e si analizza la situazione relativa al personale dipendente del Servizio Sanitario Nazionale. I dati pubblicati sono relativi al triennio 2019-2021 e su alcuni aspetti si pone il confronto con i dati relativi all'ultimo decennio, a partire dal 2012.
Rapporto Agenas marzo 2023 sul personale del Sistema sanitario nazionale
Da un'analisi delle regioni italiane messe a confronto nel biennio 2020-2021 emerge che, nonostante la crescita complessiva a livello nazionale di circa 3000 unità, alcune regioni sono più in difficoltà.
Ci sono meno infermieri soprattutto in Piemonte (-526), Sardegna (-532), Toscana (-497), Sicilia (-480) e Liguria (-284). Su 21 Regioni ben 11 presentano un deficit tra il personale infermieristico.
I medici mancano soprattutto in Piemonte (-197) e in Sardegna (-191). Gli infermieri sono aumentati di oltre 1000 unità soltanto in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto mentre i medici sono cresciuti anche se soltanto di poche decine in 9 regioni con un aumento più consistente in Lazio (+328) e in Toscana (+308).
Si attribuisce la causa della forte diminuzione del personale al blocco del turnover nelle Regioni in piano di rientro e alle misure di contenimento delle assunzioni adottate per rispettare il vincolo della spesa. Il successivo incremento che si è verificato negli ultimi anni – che ha portato i dati del 2021 sovrapponibili a quelli del 2012 - è avvenuto sostanzialmente per effetto dei decreti ministeriali emergenziali del 2020 per fronteggiare la pandemia. Tuttavia l'andamento generale registrato è del –0,4%.
Per quanto riguarda l'andamento del personale del comparto negli anni 2012-2021, si evidenzia che le regioni in piano di rientro hanno registrato un deciso e costante –4% a differenza di quello non in rientro che hanno mantenuto un altrettanto deciso +4%. La variazione percentuale, con o senza piano di rientro, risulta comunque per tutte le regioni con andamento oscillatorio, di crescita e decrescita, ma si attesta ad oltre l'1% per quelle senza rientro e a poco sopra l'0% per le altre.
È stato inoltre calcolato il tasso di turnover, rapportato al numero degli assunti e a quello dei cessati per ogni anno analizzato, che in Italia mediamente risulta del 90 per i medici e del 95 per gli infermieri. Considerando che il valore soglia di tale tasso è di 100 - sopra il quale si è in presenza di un ampliamento delle risorse e se inferiore si è invece di fronte ad una contrazione dell'organico – risulta che soltanto Toscana, Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia hanno un valore leggermente superiore per i medici. Il turnover degli infermieri è maggiore, ma sempre di poco superiore al valore soglia, soltanto in Emilia-Romagna (108) e in Lombardia (102).
Medici ed infermieri sono pochi, soprattutto gli infermieri, e ormai pensionabili. Manca quel ricambio generazionale che senta attrazione verso queste professioni. Quella poca attrattività che qualcuno ancora sente la si continua a cercare ed investire altrove, oltralpe, verso stipendi migliori e prospettive di avanzamenti professionali. Per chi resta qui mancano le risorse economiche e forse anche la volontà politica per sostenere e rafforzare il sistema.
Costo del personale
Come denunciato dalla Corte dei Conti la pandemia ha inciso fortemente sul costo del personale, per il potenziamento di quello con profilo sanitario, che nel 2020 risulta aumentato del 5,40% rispetto al 2018. Tale voce di costo, cresciuta in maniera importante in quasi tutte le Regioni e Province autonome, ha inciso per l'81,09% della spesa totale. Dal confronto tra ipotesi di spesa per il personale ed ipotesi di tetto nel 2022 è evidente come in tutte le Regioni il tetto appaia tuttavia capiente rispetto alla spesa. Soltanto l'Emilia-Romagna è in deficit di oltre 15 milioni di euro.
Dal 2018 al 2020 il costo del personale è stato mediamente di oltre 35 milioni di euro: sia a livello nazionale che regionale, le spese per il comparto sono maggiori rispetto a quelle sostenute per la dirigenza soprattutto nel ruolo tecnico ed amministrativo mentre la differenza è minima tra il personale del ruolo sanitario. Soltanto la spesa per la dirigenza del ruolo professionale è maggiore rispetto a quella sostenuta per il comparto.
La variazione annuale è del 5,4%. Il costo del personale è maggiore generalmente nel Nord Italia. La Lombardia è la regione che spende di più per il personale ma al sud Campania, Lazio e Sicilia hanno pressoché costi simili al Veneto, all'Emilia-Romagna e al Piemonte. Occorre sottolineare che l'83% del costo totale è sostenuto dalle Regioni a statuto ordinario (media 2020 pari a 590 euro pro capite per abitante). Nelle Regioni a statuto speciale emerge dai confronti tabellari il dato della Sicilia che nel 2020, pur sostenendo i maggiori costi del personale, ha un costo pro capite inferiore alla media nazionale e molto inferiore alle medie delle Regioni a statuto speciale (media 2020 pari a 862,36 euro).
Pensioni e dimissioni
A causa del blocco delle assunzioni e del turnover negativo si è assistito ad un innalzamento dell'età media dei professionisti che ha impattato pesantemente sulle quiescenze, ossia sul trattamento attribuito di diritto al dipendente di ruolo di essere collocato a riposo, comprendente la liquidazione e la pensione. Da un'elaborazione di Agenas con un parametro pensionistico a 65 anni, si stima che i medici che andranno in pensione nel quinquennio 2022-2027 siano oltre 29 mila mentre gli infermieri saranno oltre 21 mila nello stesso periodo.
Le dimissioni per licenziamento o per termine del contratto a tempo determinato sono state 3009 nel 2022, con un trend costante dal 2019. I pensionamenti, i decessi e le invalidità al 100% hanno tolto al SSN oltre 4000 unità ogni anno. Inoltre il rapporto percentuale tra il personale assunto e quello cessato nel periodo 2012/2021 si attesta al 111% nell'ultimo anno di registrazione con un picco del 122% nel 2020.
Formazione di base e specializzazioni
Da un report di Fiaso sui dati relativi alle scuole di specializzazione in medicina con le relative borse di studio per la formazione specialistica finanziate dallo Stato, esse risultano in costante crescita, passando da 5000 nel 2015 a 17400 nell'anno accademico 2021/2022, anche se sono state ridotte a 14700 nell'anno accademico in corso.
Nel 2026 sono previsti quasi 40 mila nuovi medici specialisti nel SSN, circa 10 mila specialisti in più rispetto al numero di pensionati e superiori comunque alle dimissioni. Nel 2026 completeranno la propria formazione il 75% degli iscritti alle Scuole, soprattutto di Anestesia e Rianimazione, Chirurgia Generale, Ginecologia ed Ostetricia, Geriatria, Pediatria, Medicina Interna, Neurologia, Ortopedia e Traumatologia.
Per quanto riguarda i posti disponibili per l'accesso ai corsi di Laurea in Infermieristica ed Infermieristica Pediatrica, essi sono costantemente aumentati di circa 1000 ad ogni anno accademico a partire dal 2018/2019. Considerando che circa il 75% degli iscritti completa con successo il percorso di formazione universitaria, si stima che il numero di infermieri formati nel 2026 e disponibili dal 2027 sarà pari a circa 61.760.
Emigrazione di professionisti
Secondo il rapporto OCSE, medici ed infermieri continuano ad emigrare all'estero anche se i numeri si sono ridotti rispetto agli anni precedenti, probabilmente perché sono stati reclutati nelle varie regioni italiane per colmare le carenze evidenziate durante la pandemia. Dal 2000 al 2018 l'emigrazione all'estero è stata certamente favorita dal blocco dei contratti e del turnover. Nel 2021 la popolazione sanitaria italiana che lavorava all'estero era di 21.397 medici e di 15.109 infermieri. Nel 2021 hanno lasciato l'Italia 3800 infermieri, rispetto mediamente ai 6000 degli anni precedenti, dei quali 2700 esercitano attualmente la professione in Germania.
Dai dati del Ministero della Salute sono ridotti sia i medici di Medicina Generale (MMG) sia i pediatri di Libera Scelta (PLS). Rispetto al 2019 mancano sul territorio 2178 medici di base e 386 pediatri. Dalle tabelle presentate nel rapporto risulta evidente che, a fronte di un numero di medici che tende costantemente a diminuire negli anni in ogni regione, il rapporto tra cittadini assistibili e MMG è invece in aumento.
Se in Italia il numero totale di medici per abitante è superiore rispetto alla media dei Paesi dell'Unione Europea, il numero degli infermieri è nettamente inferiore.
Disequilibrio assistenziale
Nonostante tutti questi numeri, talvolta con trend positivo e spesso con segni negativi, la fotografia della situazione del personale del Servizio Sanitario Nazionale non è affatto chiara, pur nella chiarezza dei numeri sulla carta e nelle tabelle. È innegabile che alla fine i conti non tornano. Che il personale manca un po' ovunque. Che i costi sono elevati. Che qualcosa non va nemmeno nella formazione, ma sembra non dipendere dal numero chiuso alle facoltà e alle borse di specializzazione.
Rispetto ai bisogni di una popolazione che invecchia ci sono più medici che infermieri. Un infermiere italiano, rispetto al medico, ha più assistiti da seguire in rapporto alla media europea. Si crea un disequilibrio assistenziale.
Medici ed infermieri sono pochi, soprattutto gli infermieri, e ormai pensionabili. Manca quel ricambio generazionale che senta attrazione verso queste professioni. Quella poca attrattività che qualcuno ancora sente la si continua a cercare ed investire altrove, oltralpe, verso stipendi migliori e prospettive di avanzamenti professionali. Per chi resta qui mancano le risorse economiche e forse anche la volontà politica per sostenere e rafforzare il sistema.
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