È la lettura della lesione (e dello stato clinico generale dell’assistito) che guida il professionista nella scelta della medicazione. Da questo assunto parte Alessandra Rossi, responsabile assistenziale PDTA del paziente con ferite difficili dell’Ausl di Bologna, nel sottolineare l’importanza per il team multidisciplinare di professionisti che prende in carico il paziente con lesioni cutanee di lavorare in rete, soprattutto nei casi di ferite a rischio di infezione o colonizzate infette, per le quali potrebbe essere indicato un tipo di medicazione batteriostatica dal meccanismo puramente fisico quando con l’utilizzo di una medicazione antimicrobica battericida la situazione non cambia
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Lesioni infette, il nodo delle resistenze agli antimicrobici topici
Quando si parla di Wound Care è bene ricordare che mentre gli antibiotici esercitano la loro azione su un sito specifico nella cellula target, gli antimicrobici topici esercitano la loro azione antibatterica su diversi siti delle cellule target comportando, ipoteticamente, un minore rischio di sviluppo di resistenza batterica.
Anche se quella sulle resistenze, nella pratica clinica, è l’ultima delle domande che ci facciamo quando si stanno utilizzando medicazioni antimicrobiche e la lesione non progredisce nella guarigione - spiega Alessandra Rossi, infermiera esperta in Wound Care – perché prima di definire un’ipotesi di resistenza agli agenti antimicrobici topici di norma è bene rivalutare tutto il piano di trattamento in modo da capire se si sono modificati alcuni fattori estrinseci o intrinseci favorenti il permanere dell’infezione
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Le medicazioni antimicrobiche contengono al loro interno agenti antimicrobici come - tra i più frequenti - l'argento, lo iodopovidone o le biguanidi; a seconda di tipologia e concentrazioni, questi agenti antimicrobici possono essere battericidi (uccidono i batteri) o batteriostatici (prevengono la crescita batterica).
Le linee guida sconsigliano l’utilizzo prolungato delle medicazioni antimicrobiche
, continua Rossi; queste fanno parte di un trattamento strutturato (che prevede - oltre alla gestione della patologia di base che sottende la comparsa della lesione - il rinforzo delle resistenze dell’ospite, la rimozione del tessuto necrotico, la gestione dell’essudato e, laddove indicato, la somministrazione di antibiotici per via sistemica) e vanno utilizzate solo in determinati momenti del percorso di cura.
L’utilizzo spesso non appropriato delle medicazioni stesse inficia la possibilità di porre l’attenzione su un’eventuale resistenza antibatterica
A questo punto diventano necessari metodi alternativi efficaci per la gestione della ferita infetta per contrastare le carenze nel trattamento antimicrobico dovute alla resistenza agli antimicrobici e per limitare la diffusione della resistenza.
Alternative che sono state indicate in maniera sistematica da un documento di posizionamento della World Union of Wound Healing Societies ("The role of non-medicated dressings for the management of wound infection", 2020), che ci dice che per ridurre la possibilità di sviluppo di resistenze agli agenti antimicrobici è opportuno utilizzare una gamma di prodotti che abbiano un'azione fisica di rimozione dei batteri – sottolinea Rossi - Queste, infatti, non rilasciano sul letto della ferita alcun agente antimicrobico potenzialmente dannoso, che potrebbe creare rischio di resistenze batteriche e allergie
e agiscono trattenendo e sequestrando essudato e batteri
, che altrimenti rischierebbero di tornare sul letto della ferita.
Si tratta di quelle che vengono definite medicazioni a captazione batterica - risultato dei più recenti progressi nello sviluppo e nella ricerca in campo di medicazioni - che sfruttano le interazioni idrofobiche per legare irreversibilmente alla superficie della medicazione batteri e funghi, eliminandoli ad ogni cambio.