Il governo giallo-verde dovrebbe vedere la luce in queste ore. Intanto ancora viene presa in considerazione l’ipotesi dell’abolizione o quanto meno un allargamento delle fasce di esenzione, del super-ticket sanitario. In vigore da circa un decennio, ma applicato solo a partire dal 2011, il balzello ulteriore a carico degli utenti del servizio sanitario nazionale è uno degli ultimi aumenti che ha reso il sistema sempre meno universalista e l’accesso al diritto alla salute sempre più un privilegio, in un quadro peggiorato poi dagli aumenti operati nei mesi scorsi a carico di esami diagnostici che hanno fatto levitare notevolmente i costi delle prestazioni a carico degli utenti. Qualsiasi sarà la soluzione, in relazione al super-ticket in particolare o alle scelte di programmazione, organizzazione e finanziamento del servizio sanitario nazionale in generale, il quadro attuale delle risorse stanziate per la salute pubblica in Italia non lascia ben sperare.
Out of pocket, Italia prima in Europa. E non c’è da vantarsi
Lo ricordano egregiamente gli ultimi studi presentati dalla Fondazione Gimbe, di Nino Cartabellotta, in cui si sottolinea come nei bilanci di previsione passati, lo stanziamento, già esiguo, previsto per il 2018 veniva contabilizzato in 121,3 mld. di euro nel 2014, per subire una progressiva riduzione negli anni fino ai 113,39 mld. previsti per il giugno di quest’anno; in un panorama in cui, a fronte di una crescita del 1,5% del Pil si vede una riduzione del rapporto di questo con la spesa sanitaria del 6,5% per il 2018 che arriva al 6,3% nel 2020. Un dato ben al di sotto del rapporto presente in paesi quali la Francia (8,6%) e la Germania (9%).
Il quadro è preoccupante e riassumibile in quello che varie agenzie nazionali hanno sottolineato, nella spesa out of pocket ulteriormente lievitata nel 2016 a 37,3 mld di euro spesi dai cittadini per prestazioni sanitarie, mentre circa 12,2 mln. di famiglie hanno rinunciato alle spese per la salute a causa di problemi economici. Cifre preoccupanti che possono attivare le più diverse reazioni, ma che non possono non caricarsi di uno sguardo prospettico. Nell’immediato è bene ricordare che l’out of pocket è quel fenomeno che vede il pagamento “fuori di saccoccia”, cioè sul mercato, da parte dell’utenza per una prestazione che il servizio sanitario nazionale già garantisce, ma che nei fatti risulta indisponibile. Ciò accade o per un aumento della domanda conseguente all’allungamento dei tempi di attesa o per una riduzione dell’offerta secondario a tagli, contrazione o addirittura cancellazione dei servizi. L’out of pocket fra i paesi europei vede l’Italia fra i primi posti e alla fine è il prodotto della riduzione progressiva delle risorse mobilizzate che porta a cercare sul mercato le risposte negate.
Una spinta fattoriale che ha l’effetto di peggiorare il quadro, con il sorgere di sistemi di offerta che minano ulteriormente il sistema pubblico e aprono a una progressiva privatizzazione della salute pubblica. Il super-ticket in questo diventa strumento di un rastrellamento indegno di risorse a scapito solo delle fasce più deboli della popolazione, quelle che si trovano sull’orlo dell’indigenza, che non hanno accesso a esenzioni di sorta causa un reddito appena al di sopra dei livelli tabellati e che si ritrovano a pagare tutto, riducendosi ulteriormente in povertà. È un po’ come l’aumento delle sigarette, periodica valvola di rastrellamento del denaro pubblico, balzello diretto a spese dei fumatori. Qualcuno pensa che sia un fatto positivo, utile a indurre ulteriormente il tabagista a rinunciare a una cattiva abitudine. Nei fatti però così non è dato che chi non ha problemi economici continua a comprare le sigarette, mentre chi non ha risorse, di sorta, incapace di poter investire tempo e denaro, educazione e apprendimento in pratiche salutiste che gli permetterebbero di smettere, si vede costretto a continuare una cattiva abitudine… un pochino più cara.
Significativa la sperimentazione fatta da qualche tempo in alcune città in cui, al fine di alleggerire l’afflusso ai Pronto soccorso, associazioni di medici offrono un servizio di pronto intervento che, con la spesa di pochi euro (fra i 40 e i 70) si prende cura di quei disturbi minimi, facilmente risolvibili sul piano diagnostico-terapeutico, alleggerendo la fila al pronto soccorso. Oppure, lungo lo stesso filo di ragionamento, l’avvio di pratiche app per lo smartphone attraverso le quali si può prenotare di tutto, collegandosi direttamente a un’azienda privata che intercede per il paziente nel prenotare visite, esami, telefonare al cup, e così via. In Lombardia c’è già una discreta copertura in merito.
Iniziative lodevoli, se si vuole, ma che peggiorano il quadro dell’out of pocket, e non necessariamente possono avere ricadute positive sull’intasamento dei Pronto soccorso; aumentano l’erosione delle famiglie più povere in merito alle spese per la salute, e non si muovono lungo un’ottica di sistema, utile a incentivare la rete distrettuale dei servizi in un monitoraggio migliore del territorio a partire dai medici di medicina generale, di continuità assistenziale, dai servizi dell’Adi e dai vari ambulatori infermieristici che, a vario titolo, cominciano sempre più a presentarsi come ponte funzionale, porta d’accesso alle prestazioni, alle risposte, ai bisogni dei malati. Alla fine la prospettiva di un respiro più ampio da adottare per rendere equo il sistema socio-sanitario italiano torna a far sentire le sue ragioni le quali, saranno di certo una chiave di lettura e di verifica nei confronti delle prossime e già annunciate scelte governative di un nuovo che avanza, forse, in termini sloganistici, ma che nelle ricadute dello sviluppo del welfare italiano non lascia presagire ancora nulla di diverso dal passato.
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