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Come nasce la giornata del sollievo

di Monica Vaccaretti

Sono 22 anni che in Italia si festeggia il giorno del sollievo. L'edizione 2023 si celebra il 28 maggio. È una giornata nazionale organizzata dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome e dal Ministero della Salute su iniziativa della Fondazione Gigi Ghirotti, fondata nel 1984 dal dottor genovese Franco Henriquet, medico specializzato in Anestesia e Rianimazione che fu uno tra i primi medici a battersi perché venissero istituiti all'interno degli ospedali i servizi di terapia del dolore oncologico. Il primo servizio fu aperto nel suo ospedale, il San Martino di Genova, nel 1976.

Ho il cancro e lo so. Parliamone insieme

La Fondazione è in memoria del giornalista Gigi Ghirotti corrispondente di molte testate, dal Giornale di Vicenza sino all'Europeo e La Stampa, che in undici corrispondenze e in due inchieste televisive seguite da otto milioni di italiani raccontò la sua intensa esperienza di malattia inguaribile. Narrò il suo dolore e gli ospedali. Fu malato tra i malati, inviato speciale nell'ospedalizzazione.

Era il 1973 quando iniziò il suo lungo viaggio nel tunnel della malattia. Del suo vissuto ne fece un libro commovente, di emozione e di denuncia. Scopro che nacque nella mia città, a Vicenza, nel 1920. E vi morì, verosimilmente nell'ospedale dove lavoro ogni giorno, un anno dopo la scoperta della malattia.

Mi trovo impegnato in una partita difficile, su terreno fangoso, con un avversario che è furbo e anche sleale. Ma non sono solo (Gigi Ghirotti)

Fu un tunnel durato due anni. Fu la sua inchiesta estrema, molto intima e forte. Ebbe appena il tempo di viverla raccontando come sono gli ultimi passi verso la fine.

Le sue descrizioni in diretta sono un reale e spietato reportage delle condizioni di un malato e del sistema di cure in Italia negli anni Settanta. Del resto, non si può raccontare la malattia senza descrivere la struttura che accoglie e le persone addette alla cura.

Nella crudezza della malattia talvolta la descrizione si fa denuncia. Anche del modo di fare dei sanitari, distaccati, poco empatici.

Ho il cancro e lo so. Parliamone insieme. Si introdusse così durante la trasmissione televisiva RAI “Orizzonti della Scienza e della Tecnica”. Sapeva di morire a 53 anni per un linfoma non Hodgkin ed ha continuato a scrivere gli ultimi pezzi della sua brillante carriera su ciò che sapeva e vedeva, direttamente sul campo.

Parlò della condizione dei malati e dei loro diritti. Li ha descritti spesso come vittime di strutture sanitarie pubbliche inadeguate, persone tenute nell'isolamento. Compagno di liceo di Luigi Meneghello, noto scrittore locale, ed amico di Neri Pozza, negli anni giovanili partecipò alla Resistenza partigiana ma senz'armi, con una pala per seppellire i morti. Non sparava, scriveva. Fu giornalista nel dopoguerra e considerato maestro di un giornalismo affidabile.

Non abbiate paura di disturbare. Una volta si usava entrare in punta di piedi in ospedale. Non fatevi scrupoli, dunque, per il disturbo. L'importante è che il malato non sia lasciato solo.

Aveva capito che gli ospedali negli anni '70 contenevano solo pazienti e che stavano perdendo il senso dell'umanità. Egli mandava e dettava gli articoli dall'ospedale con un tono asciutto ed uno stile pacato, semplice, preciso. Fece diventare il grigiore, il dolore e il disagio dei reparti da lui visti e vissuti in prima persona una faccenda pubblica. Sconfinò il suo privato, a favore della verità.

Alcuni ritengono che i suoi reportage abbiano contribuito a cambiare la sanità pubblica, facendo maturare una nuova coscienza civile per migliorare la professionalità e l'assistenza al malato, mettendolo al centro e non al margine.

Certamente le condizioni sono migliorate ma siamo davvero convinti che la percezione del malato sia del tutto cambiata? L'etere lo hanno eliminato, ma non lo sentite ancora quell'odore di disinfettante e di antibiotico? E la sveglia non è sempre troppo presto? I ritmi di sonno e di veglia non sono ancora sempre scanditi dalle attività assistenziali? I pranzi e le cene hanno mantenuto gli stessi orari di Gigi. Tutto non è forse ancora condiviso con estranei in una stanza di degenza? E non è ancora una cavalcata estenuante, tra diagnosi, visite indagini strumentali terapie prelievi e speranze?

Il caos non si ferma in astanteria: il dove, il come e il quando del ricovero sono soggetti agli astri della casualità, come i numeri del lotto. Chi ha lo stomaco debole, i nervi fragili, il sonno cagionevole si sentirà esposto a duri stress da vitto e da condizioni generali di lesa privacy. Bisogna stare molto bene in salute per potersi permettere il lusso di stare male. Ripensandomi paziente a mia volta, quando mi è capitato, mi ritrovo anche in questo passo.

Il dolore e il suo sollievo non hanno età

Eliminare il dolore è un bisogno umano primario. Non si tratta soltanto di affrancarsi dal dolore, di toglierlo. Trovare sollievo significa sentirsi persona valorizzata e degna di essere confortata non sentendo più la sofferenza o avendone soltanto in misura sopportabile ed in quantità accettabile. Morire da uomo è morire possibilmente senza dolore, in un ambiente decoroso e non in mezzo ad estranei.

Nel ricordo di questa intensa vicenda umana - che è diventata una preziosa testimonianza di vita che si è fatta cronaca per comunicare con potenza il valore del sollievo ed informare sulla consapevolezza della condizione di malattia e sullo stato dei sistemi sanitari - da maggio 2001 si promuove pertanto la cultura del sollievo da ogni forma cronica di dolore severo e di profondo disagio esistenziale, sia che colpisca il corpo che la mente.

Il sollievo non ha orizzonti. Sollevare qualcuno è un dovere etico, lasciarsi sollevare è un diritto. Ed è un atto sempre gratuito. Essere malati ma non provare dolore è una liberazione.

Il sollievo più grande è testimoniato dal valore della cura che protegge ed avvolge con umanità e gentilezza quando la fine della vita è vicina e non ci sono più cure che promettano guarigione da una malattia inarrestabile.

Quando la condizione diventa irreversibilmente terminale, termina anche l'ultima risposta terapeutica. È allora che resta soltanto il bisogno di migliorare in tanti modi, con interventi non solo farmacologici, la qualità dei giorni che rimangono. Sollevare significa dare dignità fino alla fine, senza più avere fretta, senza più ritardare l'ineluttabile evento naturale.

Il sollievo non è accanimento, né eutanasia

Si allevia il dolore fisico, il disturbo psicologico, il profondo disagio spirituale. Le cure del sollievo accompagnano nel rispetto della volontà del malato. Si erogano ovunque. Preferibilmente a casa, il luogo del cuore. Il sollievo si dà in ospedale e nelle residenze sanitarie.

C'è un posto chiamato hospice che è il luogo dell'accoglienza, personalizzata ed intima, che si cerca di far assomigliare a casa portandovi anche oggetti personali e si ricevono parenti ed amici. Perché si è compreso che si solleva anche con il confort ambientale e relazionale. Persino lo spirito può esprimere il bisogno di sentirsi sollevato. Liberaci dal male è anche una preghiera al cielo, oltre che ai medici.

A distanza di cinquant’anni da quella coraggiosa inchiesta giornalistica che cambiò gli ospedali italiani grazie alla sensibilità di un uomo affidabile e credibile che raccontò anche per altri nella sua stessa condizione, il sollievo non è ancora abbastanza. Ne serve ancora di più. E gli infermieri sono davvero centrali nel far restare la persona e la sua salute sempre al centro dell'assistenza che erogano e del sistema sanitario che lo garantisce.

Infermiere

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