Dialogo con il Prof. Spinsanti: convivere tra stranieri morali

Convivere tra stranieri morali è una formula a effetto coniata dal bioeticista americano Tristam Engelhardt, per descrivere l’impatto dirompente della nuova disciplina di fronte alle valutazioni morali e alle scelte a cui siamo confrontati dalle innovazioni in ambito medico e biologico, rischiamo di scoprirci “stranieri morali”. Per essere stranieri morali non è necessario parlare lingue straniere o essere figli di cultura diverse; si può essere stranieri morali anche abitando sotto lo stesso tetto e condividendo la stessa mensa. Essere stranieri morali significa abitare in mondi morali diversi (Tristam Engelhardt: Manuale di bioetica, Il Saggiatore 1999). La diretta con il professor Spinsanti del gruppo emozionario dei professionisti sanitari.

La situazione attuale della pandemia ci porta invece in modo quasi obbligato in un contesto in cui il pluralismo etico, che permea culture peraltro omogenee, si traduce in estraneità morale. Rispetto al tema vaccinazione ed all’utilizzo dei DPI medici ed infermieri stanno vivendo una drammatica pressione che obbliga la comunità ad una riflessione. Consapevolezza, etica e deontologia possono divenire utili strumenti per fare una buona medicina permettendoci di rimodulare emozioni e dolori, sospendere il giudizio, ridisegnare nuovi confini ed elaborare strategie in grado di abitare quei territori che troppo spesso diventano conflittuali.

Altra strumento prezioso è la medicina narrativa che, attraverso l’elaborazione di storie, permette di riscrivere sensi e significati al fine di prevenire fenomeni di affaticamento emotivo e ricollocare il nostro vissuto. Come possono agire le organizzazioni? Come si colloca la formazione? Queste ed altre le domande ed i bisogni emersi durante la diretta. Di solito riportiamo la risposta che il prof. Spinsanti ha elaborato per tutti quelli che hanno commentato in diretta.

Il piacere dell’incontro nell’emozionario può essere prolungato con la riflessione personale su ciò che ognuno porta via. Alcuni hanno poi condiviso pensieri e considerazioni.

Emergono due dimensioni. Una è intima: si tratta di prendere consapevolezza del peso della cura. Assistere “persone che non ci aggradano” (Osvaldo) rende la professione più gravosa. Oggi poi, con l’esplosione del “pluralismo morale” causato dalla pandemia, le frizioni diventano più acute. Negoziare (Roberta), elaborare soluzioni di complicità (Lucia) diventa quasi utopistico. Eppure continua a essere fondamentale la strada dell’ascolto (Ornella). Pensavamo di aver introdotto la svolta decisiva nella pratica della cura quando, stimolati dalla bioetica, abbiamo proposto l’informazione come parte fondamentale della cura stessa. Ora ci rendiamo conto che il primo passo nel rapporto non è l’informazione, ma l’ascolto della persona in cura. Senza dimenticare l’ascolto di noi stessi, in quanto portatori di pre-giudizi (Lucia).

In questo scenario siamo invitati a considerare il ruolo delle regole: giuridiche, deontologiche, etiche. È vero che personalmente possiamo trovarci in conflitto con quanto la società e l’istituzione ci impongono (Ivana). Ma il ruolo delle regole è quello di delimitare dei confini e di proteggerci dal caos, sia individuale che sociale. Per questo è importante dar loro uno spazio nella formazione (Maria Carmela). Nella formazione di base come in quella continua.

La seconda dimensione evocata dalle riflessioni che hanno fatto seguito al seminario è quella del confronto tra operatori della cura. È auspicabile parlarsi, esprimere le difficoltà (Eleonora), condividere narrativamente il proprio percorso. È la strada che ci indica la Medicina Narrativa (Christian). Attualmente è un lusso per pochi; dobbiamo trovare il modo di farla diventare pane quotidiano per tutti.