La Sindrome Hikikomori si sta diffondendo in molti Paesi del mondo ed è importante capire quale ruolo rivesta l’infermiere nell’assistenza a queste persone. L’hikikomori è una condizione che porta una persona a rinunciare a qualunque tipo di rapporto sociale, rinchiudendosi per lunghissimi periodi di tempo nella propria stanza. Interessa principalmente persone di sesso maschile, primogeniti, che vivono in famiglie spesso benestanti e ben istruite, con padre assente e madre troppo accondiscendente e servile.
Nursing dell’utente Hikikomori
I genitori e la società li caricano di aspettative che loro non riescono a soddisfare: questo comprometterà il loro bisogno di autorealizzazione e li porterà ad isolarsi dalla società. Spesso questi sono anche stati vittima di bullismo o derisione da parte degli insegnanti nell’ambiente scolastico: difatti, uno dei primi segni di hikikomori è l’abbandono scolastico.
Non bisogna però credere che questa condizione riguardi solo i giovani, anzi; mentre in Italia l’età media è di 20 anni, in Giappone gli over 40 superano gli under 40. Fattori di rischio in età avanzata sono un licenziamento e una situazione socio-economica infelice.
Recentemente si è scoperto che l’hikikomori è un disturbo a sé stante, quindi si cerca il posto adatto nel DSM. Questo disturbo è caratterizzato da ansia sociale, depressione esistenziale, misantropia, scarsa autostima e deficit del self-care e può associarsi a cattiva alimentazione, gaming patologico e web-dipendenza.
Dobbiamo chiarire che questi sono sintomi che possono manifestarsi dopo l’isolamento, tanto che è stata dimostrata l’esistenza di un “hikikomori primario”, ovvero un hikikomori che si sviluppa antecedentemente all’isolamento in assenza di patologie.
L’infermiere, prima di procedere alla formulazione di un piano assistenziale, dovrà analizzare il soggetto, ma questo potrebbe essere indisposto alla conversazione. Un metodo che si sta dimostrando utile è la tele-assistenza: in questo modo, non sarà il paziente a doversi adattare ad un setting, ma sarà l’infermiere stesso che entrerà e si adeguerà all’ambiente di questo.
Ciò offrirà la possibilità di fare delle valutazioni clinico-diagnostiche, di supervisionare l’assistito, di trattarlo e anche di eseguire dei follow-up periodici. Inoltre, non dimentichiamoci che lo schermo del computer è l’unica interfaccia che l’hikikomori ha con l’ambiente esterno.
L’infermiere dovrà capire le cause che hanno portato la persona ad isolarsi e lo stato di salute in quel momento di questa, aiutandosi anche con scale di valutazione. La parte più importante però sarà portare, passo dopo passo, il suo assistito a fidarsi di lui, diventando suo confidente. L’infermiere collaborerà con tanti altri professionisti, come psichiatri, psicoterapeuti, riabilitatori psichiatrici, ricoprendo il ruolo di case manager: sarà difatti lui ad accompagnare e guidare l’assistito in questi percorsi.
Contemporaneamente, l’infermiere dovrà tenere dei colloqui con tutti i membri della famiglia, al fine di capirne la struttura e le tipologie di relazioni che questi intrattengono con l’assistito e tra di loro. Dovrà incentivarli a partecipare al percorso terapeutico: dovranno relazionarsi di più con il parente. In un hikikomori giovane, importante può essere il rapporto con il padre: difatti, proprio la lontananza del padre favorisce un rapporto di dipendenza madre-figlio, che in Giappone si ritiene essere una delle principali cause di hikikomori. Quindi l’infermiere dovrà portare il padre, spesso austero, ad essere più morbido al fine di comunicare con il figlio ed entrarci in relazione: il figlio deve sentirsi amato e soprattutto accettato dalla sua famiglia. Importante è non forzare gli eventi, ma dare spazio all’hikikomori, senza fargli pesare la sua condizione.
L’infermiere dovrà partire con l’educare l’hikikomori alle piccole cose, come rimettere a posto la stanza, curare la propria immagine o alimentarsi correttamente; successivamente, lo accompagnerà, insieme agli altri professionisti, ad interagire di più con la sua famiglia: questo deve essere il primo passo.
Nel frattempo, sarà sempre l’infermiere ad educare l’assistito e la famiglia rispetto al trattamento farmacologico da seguire, che sarà a base di antidepressivi.
I farmaci possono costituire un valido aiuto iniziale per placare sintomi maggiormente attivanti e agevolare l’aderenza al percorso psicoterapeutico. Si consiglieranno all’assistito dei centri riabilitativi per hikikomori o lo si incentiverà a partecipare a delle sedute di gruppo: i role playing formativi sono buoni per educare l’hikikomori alle relazioni sociali. L’infermiere insegnerà all’assistito tecniche per calmare l’ansia, come ad esempio l’espirazione profonda.
Una complicanza importante da trattare nell’hikikomori adulto sarà la cosiddetta “ansia del tempo perso”: la persona, divenuta cosciente della propria condizione, inizia a sentire il peso di tutto il tempo sprecato, non riuscendo ad andare avanti. In questo caso, l’infermiere dovrà sostenere il paziente ed incentivarlo a continuare sia la terapia farmacologica che il percorso psicoterapeutico.
Paradossalmente, è quasi più semplice trattare un hikikomori adulto con tanti anni di reclusione alle spalle, che un giovane hikikomori, poiché quello più giovane ha una visione e un odio ancora fresco verso la società. In generale, però, assistere un hikikomori è impresa ardua, dato che loro non sentono di avere un problema e non vogliono essere aiutati. Per questo, ancor oggi, in letteratura non esistono piani assistenziali standardizzati per il trattamento di questa patologia, perché l’hikikomori tende spesso a regredire: quindi, fondamentali, sono la competenza, la professionalità e la sensibilità dell’operatore che lo assiste.
- Articolo a cura di Giuseppe Gervasio - Studente infermiere
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