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L’Infermiere di Nefrologia: dialisi e supporto al paziente

di Maria Luisa Palma

L’educazione terapeutica è un percorso in divenire. L’infermiere deve continuamente adattarsi ai bisogni dell’assistito. In Nefrologia la gestione dell’utente è meramente tecnica? O abbraccia la componente relazionale? Occorre conoscere l’assistito a 360° e garantirgli continuo supporto nelle malattie renali acute, nell’insufficienza renale cronica e nella dialisi, che spesso porta al trapianto di rene.

La professione infermieristica ha vissuto negli ultimi anni profondi cambiamenti nei curricula formativi che valorizzano la propria autonomia professionale, l’integrazione multiprofessionale, l’acquisizione di competenze specialistiche e che favoriscono uno sviluppo professionale di indubbio valore, istaurando modelli organizzativi sempre più innovativi ed appropriati.

Assistenza al paziente in dialisi

Tutto ciò determina rilevanti impatti sul lavoro e sull’organizzazione dei servizi, come, ad esempio, quello di nefrologia, che si avvale di personale infermieristico specializzato che possiede, oggi, peculiarità tecniche e relazionali riscontrabili in pochi altri contesti assistenziali.

Chi è e cosa fa l’Infermiere di Nefrologia?

L' assistenza infermieristica al paziente nefrologico è complessa e radica le proprie attività intorno ad un corpo unitario di competenze che superano la gestione meramente tecnica abbracciando anche (e soprattutto) quella relazionale delle malattie renali acute, dell’insufficienza renale cronica, della dialisi, sino al trapianto di rene.

Questa attività così poliedrica richiede elevati fabbisogni di coordinamento in ragione dell’evoluzione di una patologia che attraversa vari stadi di complessità e gravità.

L’attività assistenziale richiede un continuo aggiornamento culturale e scientifico al fine di:

  • rispondere in modo adeguato ed aggiornato ai vari bisogni di salute;
  • superare un modello di assistenza tecnicistico;
  • attivare un’assistenza infermieristica olistica, personalizzata e basata sulla presa in carico del singolo paziente;
  • indurre il singolo professionista ad un maggiore approfondimento clinico, con conseguente maggiore soddisfazione lavorativa;
  • definire percorsi di competenze cliniche avanzate e strutturate.

L’aspetto relazionale dell’assistenza al paziente nefrologico è centrale in quanto si configura come la base per un buon approccio empatico e necessario alla compliance terapeutica. E' proprio in questa visione che si passa dall'evoluzione della medicina centrata sulla malattia a quella centrata sul malato spostando l'obiettivo generale dal "to cure "al "to care".

Definizione dellla malattia renale cronica

La malattia renale cronica (MRC) è definita come una condizione di alterata funzione renale che persiste per più di 3 mesi ed è classificata in 5 stadi di crescente gravità, valutati attraverso la VFG (velocità di filtrazione glomerulare, la velocità con cui si forma il filtrato renale a livello del corpuscolo renale. Si tratta propriamente di un flusso, misurato in millilitri al minuto).

Classificazione della MRC

Stadio DESCRIZIONE del danno renale VFG (ml/min/1,7m2)
1 Funzione normale o aumentata >90
2 Lieve compromissione funzionale 89-60
3 Compromissione funzionale moderata 59-45
4 Compromissione funzionale grave 29-15
5 Insufficienza renale terminale <15 (o dialisi) 

Con il termine di MRC si definiscono i danni renali, spesso irreversibili, secondari a numerosi e spesso eterogenei eventi morbosi nei quali sono coinvolti diversi fattori di rischio.

In alcuni casi l’evento morboso, come ad esempio la glomerulonefrite, interessa primariamente e specificamente il rene, in altri, invece, il rene risulta interessato in virtù del fatto di essere un organo riccamente vascolarizzato, dunque, il danno renale può essere una delle diverse ed eterogenee sedi di un danno vascolare sistemico.

La dialisi

Prismaflex

L’evoluzione della terapia dialitica procede verso la personalizzazione dei trattamenti, mediante un uso individualizzato delle prescrizioni funzionali a tecniche sempre più sofisticate.

Il concetto di “rene artificiale” non deve solo esprimere una macchina con specifica funzione depurativa, ma va visto come un sistema artificiale dotato della capacità di modulare le sue attività ed azioni sulla base dei bisogni fisiologici, emodinamici e metabolici dell’organismo con cui deve interagire.

Oggi i trattamenti dialitici sostitutivi hanno subito notevoli sviluppi nell’arco delle ultime decadi e si è passati da trattamenti mirati esclusivamente alla sopravvivenza del paziente a sistemi capaci di interagire con le varie funzioni dell’organismo ed in grado di indirizzare l’attenzione anche alla riabilitazione del paziente e al miglioramento della sua qualità di vita.

Il concetto di Qualità della Vita (QdV) è antico. Già Aristotele lo trattava nell’Etica Nicomachea usando il concetto di “eudaimonia”, che in greco significa “buon spirito” o “felicità”.

Oggi è un concetto maggiormente collegato alla vivibilità ed al benessere che include diverse variabili, la cui definizione e individuazione sono oggetto di un attuale dibattito nella comunità scientifica. Semplificando, si può dire che la QdV è legata al concetto di salute fisica, psichica e sociale.

Come spiega l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): una buona salute è una risorsa significativa per lo sviluppo sociale, economico e personale ed è una dimensione importante della QdV.

La dialisi ha salvato la vita a milioni di persone e da tempo assistiamo ad una crescente consapevolezza da parte di noi operatori sanitari di come la patologia e la dialisi incidano sulla vita del paziente.

L’importanza di non considerare solamente il tempo assoluto di sopravvivenza, ma anche la qualità di tale sopravvivenza, ha innescato una rapida crescita delle aree di ricerca sull’adattamento e sulla qualità della vita. La persona affetta da MRC vive una condizione che procura invalidità di vario grado e richiede speciali forme di riabilitazione, impegnando il malato ad osservare prescrizioni e ad apprendere nuovi stili di vita (dietetico, relazionale, motorio, ecc.).

Vivere con una malattia cronica non è facile

Il malato deve fare i conti con un’esperienza che lo coinvolge sia sul piano fisico sia su quello psicologico-emotivo e relazionale.

Si ha la perdita delle condizioni di vita precedenti a favore di numerosi e importanti cambiamenti, avvolti da un clima di incertezza e di ansia per il futuro, non solo per il paziente interessato, ma anche per chi gli sta attorno. Spesso si incrinano i rapporti familiari, quelli professionali e sociali.

La malattia cronica non è eliminabile, pertanto la persona affetta da MRC, soprattutto se in trattamento dialitico, va aiutata a riformulare un nuovo concetto di identità, nel quale si lasci ampio spazio all’accettazione dei trattamenti a lungo termine, nella convinzione che seguire le cure avrà degli effetti benefici, fino ad “arrivare ad assumersi e condividere la responsabilità della terapia e del proprio stato di salute”.

Tutto ciò significa che il paziente deve affrontare un percorso in cui deve essere informato in modo corretto e preciso della malattia e della cura. L’esperienza attuale mostra costantemente come gli operatori sanitari tendano a informare su cosa sia la malattia, quali siano le finalità ed i mezzi terapeutici, quale comportamento sia necessario adottare senza mancare di aiutare i pazienti nell’acquisizione di appropriate capacità necessarie alla gestione quotidiana della loro malattia.

I pazienti nefropatici, sempre più anziani, assieme alle proprie famiglie, hanno bisogno di esser messi in condizione di poter riorganizzare la vita futura prima dell’inizio del trattamento, comprendere quello che accadrà, quale trattamento è migliore da un punto di vista clinico sociale e familiare, quali strumenti devono attivare per far fronte alla dialisi: il trasporto, lo spazio a domicilio, la presenza o meno di un partner.

I programmi di educazione pre-dialitici hanno lo scopo di produrre dei cambiamenti positivi nello stile di vita dei pazienti, di alleviare l’ansia, diminuire lo stress e aumentare le capacità del paziente nel prendere decisioni in futuro.

Nasce così il programma “Vivere in dialisi”; nato con l’obiettivo di aiutare e di fornire strumenti e formazione al team multidisciplinare, il programma si propone di aiutare la persona malata (insieme alla sua famiglia) ad acquisire e mantenere la capacità di gestire, nel migliore modo possibile, la propria vita imparando a convivere con la malattia.

Il concetto di educazione terapeutica è diverso dalla semplice informazione sulla malattia e sullo stato di salute, perché presuppone una interattività con la persona malata, al fine di aumentarne la consapevolezza e di promuovere cambiamenti su quei comportamenti identificati come fattori di rischio di malattia. In quest’ottica l’educazione terapeutica è una parte integrante del trattamento e dell’assistenza.

Va sottolineato che l’educazione terapeutica è un percorso in divenire che deve essere:

  • adattato al decorso della malattia, al paziente e al suo stile di vita;
  • strutturato, organizzato e fornito sistematicamente a ciascun paziente attraverso una varietà di mezzi (questionari, check-list, supporti audio-video, ecc.);
  • multiprofessionale, con una sinergia coordinata tra diverse figure professionali in grado di garantirne e potenziarne l’efficacia;
  • valutato nel tempo rispetto al processo di apprendimento e dei suoi effetti.

Il coinvolgimento attivo del paziente e della propria famiglia è un elemento imprescindibile del nostro programma, che può essere schematizzato in due fasi diverse in base al decorso stesso della malattia:

  • la prima fase è dedicata all’adozione di uno stile di vita che aiuti a prevenire lo sviluppo delle malattie renali o a rallentarne la progressione (ad es. praticare attività fisica, cessazione del fumo, ridotta assunzione di sale, adesione alla dieta ipoproteica e ipofosforica ecc.) o per migliorare l’adesione alla terapia;
  • la seconda fase è indirizzata alla scelta del trattamento dialitico sostitutivo, a favorirne l’adesione terapeutica e a promuovere, ove possibile, una donazione da vivente.

Forse è il momento che la medicina, dopo le numerose e importanti conquiste tecniche, torni a rioccuparsi di quegli aspetti umani e relazionali centrali per la qualità di vita del paziente, ma anche necessari per la compliance terapeutica. Nuove sfide si aprono e non più solo sul versante tecnologico.

Sappiamo che la vita di ciascuna persona è permeata e ontologicamente connotata dall’incertezza, dall’impotenza, dalla sofferenza e dalla lotta, ma esistono vite, forse come quelle dei dializzati, che veramente, giorno per giorno, si trovano a vivere in

equilibrio sopra la follia

Vasco Rossi.

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