Infermiera in Inghilterra, dove le Aziende pagano per la tua formazione
Sabrina Marletta, infermiera
Ho iniziato a lavorare in Inghilterra 6 anni fa, da neolaureata. A quel tempo erano tanti gli ospedali inglesi che cercavano infermieri oltremanica. Quando iniziai ad interessarmi ad avere un'esperienza all'estero, ero al terzo anno di Infermieristica presso l'Università Federico II di Napoli ed ero reduce da tirocini molto formativi, come quello al Pronto soccorso del Cardarelli ed il reparto di chirurgia generale del Policlinico II.
Fortunatamente il mio livello d'inglese era abbastanza alto e questo mi permise di poter scegliere l'ospedale in cui andare a lavorare. L'ospedale di Harefield nella Greater London mi fu consigliato dalla recruiter di un'agenzia di Pisa con cui presi contatto, per il grado di specialità. Lì inoltre avevano lavorato come patologo Alexander Fleming e come chirurgo Sir Magdi Yacoub. Feci il colloquio, passai l'esame IELTS in Italia e mi fecero partire.
Da quel momento entrai a far parte dell'ospedale di Harefield, uno tra i centri Inglesi ed Europei più esperti e leader per i trapianti di cuore e polmone . Da lì nacque la mia passione per la cardiochirurgia e chirurgia toracica. Furono molteplici le difficoltà da dover affrontare: iniziavo da neolaureata in un altro paese dove dovevo imparare tutte le procedure, guidelines e macchinari diversi.
Inoltre, vi era l'ostacolo della lingua. Qui in Inghilterra usano molto le abbreviazioni e ricordo di aver dovuto scriverle tutte su un foglio di carta per memorizzarle. Il mio primo giorno c'era scritto che il mio paziente aveva avuto un CABG+AVR ed io non avevo idea di cosa significasse (“coronary artery bypass grafting" e "aortic valve replacement").
In Inghilterra tengono molto alla formazione post laurea . Da quel momento mi inserirono in tanti corsi tutti gratuiti ed organizzati dall'ospedale: study day sul dolore, blocchi epidurali, gestione ulcere da decubito, lettura dell'elettrocardiogramma, medicinali immunosoppressori e tanti altri.
Ero, giorno dopo giorno, sempre più sorpresa da quanto l'infermiere fosse autonomo nella gestione del paziente e quanto fosse importante lavorare in un'équipe multidisciplinare dove l'infermiere ne era il perno principale.
Duranti i primi anni lavorai in cardiochirurgia, unità coronarica acuta e trapianti. Poi, decisi di confrontarmi ulteriormente con la complessità dei macchinari usati in ospedale ed iniziai il mio percorso in terapia intensiva.
La terapia intensiva cardiotoracica ad Harefield è composta da una grande équipe di diversi professionisti, ma dove gli infermieri hanno un ruolo molto importante ed una grande autonomia nella gestione della terapia, problem solving, piano assistenziale e delle urgenze che sono all'ordine del giorno.
Iniziai come staff nurse e dopo anni di esperienza, corsi aggiuntivi in ospedale ed all'università, mille sfide e turni infiniti di 12.5 ore, diventai senior staff nurse . Il lavoro in terapia intensiva mi espose sin da subito alla complessità del paziente cardiochirurgico e/o trapiantato e mi diede la possibilità di lavorare con dispositivi specialistici quali il total artificial heart o cuore artificiale, LVAD (left ventricular assist device), BiVAD (biventricular assist device), impella, balloon pump ed ECMO (extracorporeal membrane oxygenation).
Da lì crebbe sempre di più il mio interesse per i dispositivi meccanici di supporto del circolo fino a diventare infermiera specialista in ECMO dopo essere stata formata in terapia intensiva stessa con corsi ed ulteriori competenze cliniche da dover ottenere. Devo molto all'ospedale di Harefield, perché mi ha permesso di imparare così tanto sui dispositivi di supporto del circolo e di lavorare con professionisti di fama internazionale.
Molto spesso mi trovo a paragonare il ruolo dell'infermiere in Italia con quello in Inghilterra e sono molteplici le differenze e gli approcci nel lavoro. In particolare, sicuramente l'infermiere in Italia è molto più "hands on", come dicono qui, sulle procedure pratiche.
Ad esempio, durante il mio tirocinio a Napoli ho imparato ad effettuare punture arteriose e venose che qui non tutti gli infermieri possono eseguire. Infatti, sono molte le skills che gli infermieri nel Regno Unito acquisiscono, tramite corsi, una volta laureati, anche se pare che le cose stiano cambiando.
Quindi posso affermare che la formazione maturata nelle università Italiane, o almeno quella che ho potuto maturare io al Policlinico II di Napoli, pare essere più completa sia sul piano teorico che pratico. È soltanto un peccato come qui gli ospedali supportino la progressione professionale dei dipendenti, investendo sulla loro formazione, mentre in Italia è tutto più complesso.
D'altro canto, l'infermiere in Inghilterra ha una grande autonomia professionale ed è un perno essenziale del multidiscplinary team per una cura olistica del paziente. Basta pensare a tutte le specialità che si possono intraprendere in campo infermieristico come le cure palliative, l'educazione, la gestione del dolore, delle ulcere da decubito, delle aritmie, del diabete e l'outreach nurse (fondamentale per evitare le ri-ammissioni in terapia intensiva e gestire il paziente che sta clinicamente deteriorando in maniera tempestiva in reparto).
La mia esperienza ad Harefield mi ha dato molte soddisfazioni ed ho conosciuto tante persone provenienti da tutto il mondo e, in particolar modo, pazienti e famiglie coraggiose, esemplari, positive e piene di vita che mi stimolano ogni giorno nel far di meglio nel mio lavoro. Ad oggi, non so ancora con esattezza dove continuerò a vivere (e sfatiamo anche il mito degli infermieri pagati bene a Londra, considerando il costo della vita) ma mi piacerebbe, prima o poi, portare le tante competenze ed esperienze acquisite nella mia nazione in modo da unire i due approcci infermieristici nella cura del paziente.
Sabrina Marletta - Infermiera
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