Sta a chi lavora ed è a contatto con le nuove generazioni trasmettere l’amore per il proprio lavoro a tal punto da generare quel piccolo dubbio in ogni persona che permetterà poi l’eventuale cambiamento: Sto facendo quello che, in scienza e coscienza, è la scelta migliore in questa particolare situazione, mettendo a disposizione le mie competenze tecniche, relazionali, emotive e scientifiche?
Agli infermieri del futuro vorrei lasciare in eredità il dubbio
Infermiera
Quando parliamo di professione infermieristica , con uno sguardo al passato, non possiamo che definirla una professione di aiuto, rivolta alle persone sane e in malattia, all’ambiente sano e malato, le competenze richieste sono su prevenzione, mantenimento e cura di ciò che ci circonda con attenzione all’educazione sanitaria. Tutti questi aspetti ci danno la dimensione di una professione cresciuta nel tempo, ma con obiettivi precisi e già in carico sin dalla nostra riformatrice Virginia Henderson .
Ad un profano possono sembrare obiettivi irraggiungibili: modificare, trasformare, modellare, curare, amare comportamenti, ambiente e persone al fine di raggiungere l’omeostasi interiore ed esteriore di ciò che ci circonda; per gli infermieri questi obiettivi rappresentano una sfida sempre aperta.
La riforma universitaria - e quindi il passaggio dalle scuole di formazione con convitto alle aule universitarie - ha cercato di rendere lo studio dell’infermieristica oggettivo e supportato dalla scienza; quello che per la Henderson erano intuizioni, oggi sono evidenze scientifiche, quello che per un infermiere del passato era frutto di esperienza lavorativa, oggi è il risultato di studi clinici.
Bene, ottimo, tutto ciò è visto dalla professione come un passo avanti, un’evoluzione della professione che restituisce dignità ai lavoratori, visti dall’opinione pubblica non più come servitori della professione medica, ma come professionisti della salute a fianco dei professionisti medici.
Il cammino purtroppo è ancora lungo, perché questa dignità acquisita sulla carta non sarà tale finché non ne seguirà una sociale e remunerativa
Mi piace paragonare la professione infermieristica a quella degli insegnanti, in particolare quelli dalla scuola d’infanzia, professioni declinate al femminile fino ad una manciata di anni fa, quando ai convitti era accettato solo personale femminile, così come la maestra era una possibilità lavorativa riservata alle ragazze.
Chiediamoci perché, quali sono le prerogative femminili utili al fine di queste due professioni? Quelli sovrapponibili “all’ideale materno”: la dolcezza, la propensione alla dipendenza, la tenerezza, l’abnegazione, la compassione. Utili per una maestra per avere autorevolezza all’interno della classe, e per un’infermiera per poter amorevolmente curare un ammalato.
L’evoluzione della donna e quella delle professioni infermieristica e dell’insegnante sono andate di pari passo, man mano che il femminismo ha preso piede, sono stati accettati gli uomini a svolgere la professione di infermieri e di insegnanti della scuola d’infanzia. Ora c’è un’ultima cosa su cui riflettere: l’evoluzione, generalmente sempre migliorativa di una professione, ha portato altrettanto giovamento dal punto di vista di soddisfazione dei bisogni dell’utenza?
Continuo a pensare che per entrambe le professioni le peculiarità femminili rimangano ancora un punto di forza durante l’attività lavorativa, soprattutto perché l’uomo riesce a mettere una distanza emotiva, che se da una parte è dovuta ai fini di salvaguardare la propria salute mentale, dall’altra può essere sentita dall’altro come un distacco e questo può, in taluni casi, essere meno coinvolgente poi nelle scelte sulla propria salute per l’utenza sanitaria e nell’amore per la scuola per i bambini che si affacciano per la prima volta in questa realtà e che potrebbe condizionare il loro futuro.
La particolarità di ognuno di noi e le proprie capacità e competenze esulano ovviamente dai discorsi fatti sui grandi numeri, ciò che è vero per uno può non esserlo per tutti, per questo motivo si può trovare un infermiere empatico o una maestra distaccata.
Le “competenze emotive ” - così le chiamerei - difficilmente possono essere insegnate, fanno o non fanno parte di noi, ma non sono richieste dai canoni di un buon insegnante né da quelli di un bravo infermiere.
Sta a chi lavora ed è a contatto con le nuove generazioni trasmettere l’amore per il proprio lavoro a tal punto da generare quel piccolo dubbio in ogni persona che permetterà poi l’eventuale cambiamento: Sto facendo quello che, in scienza e coscienza, è la scelta migliore in questa particolare situazione, mettendo a disposizione le mie competenze tecniche, relazionali, emotive e scientifiche?
Ecco, questa è l’eredità che mi piacerebbe trasmettere agli infermieri del futuro, il tarlo che mi piacerebbe inserire nelle loro menti: “Il dubbio”. Solo così si potrà crescere ancora, mettersi sempre in discussione per migliorare, noi stessi a beneficio di una professione.
Patrizia Marchetti - Infermiera
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