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Pronto soccorso in crisi, la proposta di Mangiacavalli

di Leila Ben Salah

Manca l'assistenza sul territorio e l'unica risorsa in caso di bisogni di salute è il pronto soccorso: serve un modello capace di porre il paziente al centro del percorso di cura, puntando all’integrazione e alla personalizzazione dell’assistenza.

Barbara Mangiacavalli

Barbara Mangiacavalli

Aggressioni e assenza di organizzazione al pronto soccorso

La riduzione dei posti letto negli ospedali e la contemporanea assenza di un’organizzazione valida sul territorio hanno dimostrato nel periodo dell’influenza annuale e in concomitanza con le festività natalizie (ma è così anche ad esempio durante l’estate e in molti altri periodi dell’anno), l’enorme difficoltà ricettiva dei pronto soccorso. Senza considerare poi le numerose aggressioni agli infermieri al pronto soccorso.

Il problema primario è nel fatto che un malato, magari anche cronico, che ha necessità di cure, per soddisfare i propri bisogni, non trovando nulla fuori dell’ospedale, ha come unico riferimento il pronto soccorso. E le violenze qui non mancano, con gli infermieri quasi tristemente assuefatti a certi comportamenti.

Se su circa 20,5 milioni di accessi l’anno al pronto soccorso solo il 15% è ricoverato, vuol dire che nell’85% dei casi (oltre 17 milioni di accessi) ci si trova di fronte a una richiesta che con molta probabilità e in alte percentuali (almeno il 50%) avrebbe anche potuto avere una soluzione in strutture territoriali opportunamente organizzate, ma oggi del tutto carenti.

E che il problema sia legato proprio alle ristrettezze organizzative si capisce anche dai dati dell’annuario statistico del ministero della salute. La percentuale di ricoveri (e quindi di utilizzo dell’ospedale perché carente il territorio e, comunque, di casi più gravi perché assente un filtro capace di intervenire nelle prime fasi del bisogno sanitario) dopo l’accesso al pronto soccorso è in media in Italia dell’8,2%. Al di sopra di questo valore ci sono praticamente tutte le Regioni in piano di rientro e commissariate (tranne il Lazio), con valori che in Puglia raggiungono il 22% di ricoveri e la Liguria che essendo quella più “vecchia” ha esigenze maggiori verso la popolazione anziana e non autosufficiente. Al di sotto invece le altre Regioni (al minimo c’è il Friuli Venezia Giulia con il 3,1%), dove pur non in modo spesso ottimale, ma l’organizzazione territoriale è più presente.

Se si potesse poi evitare il 10% circa di ricoveri ripetuti (quelli cioè che nella maggior parte dei casi sono legati a una mancata assistenza post-dimissioni), si potrebbero risparmiare oltre ai problemi di salute e qualità di vita dei pazienti, oltre un miliardo di euro di spesa, calcolato in base agli ultimi rapporti sulle schede di dimissione ospedaliera del ministero della salute.

La presa in carico degli assistiti, territoriale e ospedaliera – spiega Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi che illustra la proposta Ipasvi per snellire ricorso al pronto soccorso e ricoveri - deve prevedere un modello che si caratterizzi per la capacità di porre il paziente al centro del percorso di cura, puntando all’integrazione e alla personalizzazione dell’assistenza. E’, infatti, particolarmente funzionale allo sviluppo e all’utilizzo dei percorsi clinico assistenziali integrati, la traduzione locale delle linee guida nella pratica clinica, cosa che pare rispondere meglio non solo ai bisogni assistenziali di pazienti sempre più anziani e affetti da complesse polipatologie, ma anche alla necessaria integrazione multidisciplinare e multiprofessionale.

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