Quando si parla di etica troppo spesso si disegna nell’immaginario comune un qualcosa di molto simile a un dito che ci viene sventolato davanti al naso e che ci intima di fare o non fare una determinata cosa.
L'infermiere nell’interpretazione e nell’analisi delle situazioni cliniche
Sembra marchiata a fuoco nella mente dell’uomo odierno l’immagine di un’etica “bacchettona”, sinonimo di morale molto legata alla religione che, qualunque essa sia, se diversa dalla propria fa storcere il naso anche al più moderato dei moderati.
Non è ben chiaro quando si sia verificata questa inversione di tendenza rispetto ai tempi passati, ma oggi sembra esserci una visione orientativamente negativa di entrambi i concetti o quantomeno non positiva, vista la grande varietà dei princìpi che l’essere uomini liberi comporta e la difficoltà, a volte, di individuare dei denominatori comuni.
Basti pensare al concetto del termine “moralista” e a come sia passato dall’indicare uno studioso che riflette sul carattere, sui costumi e sulle azioni degli uomini ad un’accezione sprezzante e negativa di chi si erge a difensore di principi impeccabili e giudica l’operato degli altri, ma che solitamente “predica bene e razzola male”.
La questione è molto più complessa ed articolata di quella che potrebbe sembrare e lo testimoniano secoli di studi, teorie e dibattiti a tal proposito; per la nostra esposizione relativa al contesto sanitario è utile partire dal cercare di fare chiarezza sulla differenza fra i due termini:
- morale deriva dal latino “moralis”, che discende da “mos, moris”, “costume”; con morale si intende un insieme di norme, la giusta via secondo la quale l’uomo dovrebbe agire ed è un intreccio di particolari comportamenti e valori calati in una data comunità. La morale può essere sia religiosa, secondo la quale le norme da seguire provengono direttamente da Dio (o chi per Lui), sia laica, secondo l’idea che l’uomo sarebbe in grado di stabilire norme morali senza necessitare dell’intervento di una divinità;
- etica deriva dal greco “êthos”, “uso, costume” in riferimento all’antica società greca, esempio positivo di onestà, progresso ed ordine sociale. È a partire da qui che etica assume il significato di ciò che deve essere fatto, perché buono in sé, a prescindere dal tornaconto personale o sociale che se ne potrebbe ricavare.
Nell’ambito sanitario, in particolare, etica è tutto ciò che è indiscutibilmente degno e proprio dell’uomo e tutto ciò che si oppone a quanto non accostabile alla dignità della persona in quanto tale.
L’etica sanitaria è il faro che guida i professionisti della salute secondo principi applicabili in tutte le situazioni poiché collocati al di sopra di ogni convenienza terrena, al di sopra di ogni guadagno, di ogni interesse e di ogni differenza.
L’Infermiere è il professionista sanitario che è costantemente presente al fianco dell’assistito e nel suo agire professionale è guidato dal Codice Deontologico che ne delinea condotta e responsabilità.
L’Infermiere, dunque, agisce secondo i principi di:
- beneficenza e non maleficenza: l’infermiere, da un lato, si adopera per garantire la promozione degli interessi dell’utente, dei vantaggi e dei risultati migliori possibili per l’assistito (beneficenza) e, dall’altro, per prevenire, rimuovere ed educare ad evitare le situazioni pericolose per sé e per gli altri (non maleficenza);
- autonomia: l’infermiere crea i presupposti affinché l’assistito (o il tutore, in caso di minori, disabili psichici o soggetti incapaci di intendere e di volere) possa prendere le sue decisioni sanitarie in maniera autonoma nel rispetto delle diversità culturali e di pensiero;
- giustizia: l’infermiere tratta ogni singolo assistito nel rispetto della propria dignità e organizza la distribuzione di tempo e risorse disponibili in base ai bisogni di ciascun utente secondo il concetto di equità (fornire a ciascuno ciò di cui ha bisogno per raggiungere un determinato obiettivo), piuttosto che di uguaglianza (fornire a tutti, indistintamente, le stesse prestazioni).
- A questi tre principi basilari se ne aggiungono altri tre, ad essi strettamente connessi:
- veridicità: l’infermiere dice il vero all’assistito, poiché se così non fosse non sarebbe garantito il diritto all’autodeterminazione del paziente. Acquisisce specifiche tecniche di comunicazione attraverso le quali risponde e aiuta assistito e famiglia a comprendere la situazione clinica in oggetto;
- fedeltà: l’infermiere garantisce fedeltà ai propri impegni professionali che si riassumono nell’offrire un’assistenza competente ai pazienti, indipendentemente dalla loro età, religione, etnia, sesso o dai valori personali dell’infermiere stesso;
- riservatezza: l’infermiere, per proprio principio professionale e per obbligo di legge, tutela la riservatezza di tutti i dati che riguardano il paziente nei confronti di chi non appartiene all’équipe sanitaria che si occupa dell’assistenza alla persona. Il principio di riservatezza si applica anche nei confronti dei familiari dell’utente, fatto salvo il caso in cui il paziente stesso abbia dato il proprio consenso al rilascio di informazioni.
Queste le fondamenta etiche sulle quali si basa l’assistenza infermieristica, ma tutti sappiamo bene quanto la pratica quotidiana sia costellata di imprevisti e di veri e propri dilemmi etici (ad es. obiezione di coscienza, contenzione, fine vita, ecc.), anche in base ai valori personali di ogni infermiere, ciascuno dei quali merita una discussione e un approfondimento a sé.
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