Lo certifica la Corte dei conti nel suo report 2021. Incerti anche gli esiti relativi al potenziamento dell’assistenza domiciliare o al recupero dell’attività ordinaria sacrificata nei mesi dell’emergenza Covid. La presidente Fnopi, Barbara Mangiacavalli: È necessario riorganizzare i servizi e integrare gli organici
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Fnopi: Corte dei conti certifica mancato utilizzo infermieri di famiglia
Procede a rilento l’immissione nel sistema di infermieri di famiglia e comunità con l’obiettivo di implementare un nuovo modello assistenziale domiciliare nel corso della pandemia per pazienti Covid e non Covid. Numeri alla mano, infatti, il decreto Rilancio ne ha previsti 9.600 a maggio 2020, per il primo anno mediante contratti flessibili e dal 2021 con l’assunzione a tempo indeterminato: ad oggi sono in servizio soltanto in 1.132 (l’11,9% delle previsioni).
Lo certifica la Corte dei conti all’interno del suo report 2021 relativo al coordinamento della finanza pubblica. In particolare, si legge, è limitato il grado di attuazione di misure, quali l’utilizzo degli infermieri di comunità
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E ancora, sono incerti anche i risultati sul fronte del potenziamento dell’assistenza domiciliare o del recupero dell’attività ordinaria sacrificata nei mesi dell’emergenza, che rappresenta forse il maggior onere che la pandemia ci obbliga ora ad affrontare
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Quanto descritto dalla Corte dei conti non lascia spazio a dubbi: 747mila ricoveri in meno e 145 milioni di prestazioni ambulatoriali per i pazienti non Covid saltati a causa della pandemia e non ancora recuperati, considerando che delle risorse stanziate per farlo è stato utilizzato solo il 62% (in alcune regioni d’Italia anche meno del 20%). Senza considerare che dei 32mila infermieri impegnati nell’emergenza (in particolare modo negli ospedali), la maggior parte sono a tempo determinato: il 27,4% hanno avuto un contratto stabile.
È impensabile che tanto l’assistenza sul territorio quanto quella in ospedale si limiti all’emergenza a fronte di milioni di prestazioni “saltate” e che, allo stato attuale, non si accenna a recuperare
, spiega Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche. Ragione per cui non si può ritenere di ricorrere al personale assunto in maniera precaria
. Sopra alla media delle nuove assunzioni, infatti, ci sono soltanto 6 regioni: l’Emilia-Romagna e la Campania (rispettivamente con il 19,9% e il 18,9%), la Puglia (al 17,7%), l’Abruzzo (16,2%), il Lazio (14,8%) e la Toscana (14,2%).
È urgente riorganizzare i servizi nonché integrare gli organici. La carenza di infermieri oltrepassa le 60mila unità e questa situazione impatta seriamente sull’assistenza
, riprende Mangiacavalli, sottolineando che senza infermieri non c’è salute, ma soprattutto non c’è assistenza h24. Adesso, grazie anche al Recovery Plan che stanzia risorse rilevanti proprio per implementare le cure di prossimità, il governo metta in campo tutte le misure per potenziare gli organici infermieristici e per stabilizzarne l’inquadramento contrattuale: oggi la media degli infermieri per mille abitanti è di circa 5,7, mentre nei paesi dell’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) supera l’8,5
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Anche perché gli studi nazionali e internazionali sono eloquenti: un numero inferire di infermieri riduce anche il livello di assistenza erogato dai servizi. A questo proposito la presidente Fnopi spiega: La correlazione del numero di assistiti in carico a ogni infermiere – nel servizio pubblico – lega, a ogni paziente in più, rispetto a uno standard medio di 6 per professionista, un rischio aumentato di mortalità del 5-7%; in alcuni servizi, come le terapie intensive oppure l’assistenza pediatrica, il rapporto diminuisce a 4 e anche a 2 pazienti per infermiere
. Da qui una considerazione che può essere solo condivisa: È impensabile non assicurare l’assistenza con personale stabile, motivato e formato secondo le linee specialistiche di cui anche durante i momenti più gravi dell’emergenza è emersa forte la necessità
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