La morte di Franco Mastrogiovanni sta assumendo i contorni di un caso paradossale. Ricordiamolo: ricoverato in un Spdc con trattamento sanitario obbligatorio in preda a “agitazione psicomotoria, alterazione comportamentale ed eteroaggressività”. Viene prima sedato farmacologicamente (contenzione farmacologica) e successivamente anche meccanicamente attraverso “fascette dotate di viti di fissaggio applicate ai quattro arti e fissate alle sbarre del letto”.
La contenzione viene effettuata con una inusuale motivazione di polizia giudiziaria. Viene infatti richiesto un prelievo delle urine per “eseguire i prelievi richiesti dai carabinieri di Pollica finalizzati alla applicazione della sanzione amministrativa costituita dalla sospensione della patente”. Viene contenuto e cateterizzato. La contenzione “non viene annotata in cartella clinica, né mai lo sarà”.
Non viene alimentato, non viene idratato (nel reparto manca l’aria condizionata, è agosto e siamo in un paese dell’Italia meridionale) e dopo 80 ore Franco Mastrogiovanni muore. Il tutto viene ripreso dalle telecamere della videosorveglianza del reparto che testimoniano anche il momento presumibile del decesso scoperto però sei ore dopo dal personale.
Vengono condannati i medici per sequestro di persona dal Tribunale di Vallo della Lucania e vengono assolti gli infermieri.
La vicenda è stata ricostruita dettagliatamente nella sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania in 189 pagine di motivazioni. Ci interessa, in questa sede la “posizione processuale degli infermieri”. Assolti in quanto il processo non ha “fornito la piena prova della penale responsabilità con conseguente insussistenza della loro colpevolezza”. Il fatto è facilmente riassumibile: gli infermieri hanno legato il paziente, in cartella clinica non esiste traccia di prescrizione, non vi erano particolari motivi per legare il paziente. Non esistono attività di assistenza né generica né qualificata nei confronti di un paziente contenuto per quasi quattro giorni.
Il tutto testimoniato dalla videoregistrazione presente in reparto.
Emerge una arretratezza organizzativa e professionale difficilmente riscontrabile: le cartelle cliniche erano visionate e conservate solo dai medici e questo punto ha “salvato” gli infermieri ai quali, sostiene il tribunale campano, “è rimasto occulto il principale sintomo dell’illegittimità della pratica contenitiva.” Il tutto perché la “contenzione è atto medico”. Non esisteva una cartella infermieristica ma solo un registro di rapporti e consegne e nessuno, tra i turni infermieristici, ha mai ritenuto opportuno “scontenere” il paziente.
Inoltre, sottolinea il Tribunale, di come nel dibattimento sia emersa “l’assoluta impreparazione degli infermieri rispetto alla contenzione” e gli stessi infermieri hanno dichiarato di non “avere mai svolto specifici corsi di aggiornamento sul punto”. Di conseguenza gli infermieri sono stati assolti in base alla norma di giustificazione (c.d. scriminante) prevista dall’art. 51 sull’adempimento del dovere dovuto a un ordine del superiore.
I giudici campani argomentano che gli infermieri hanno eseguito un ordine (la contenzione) nel convincimento delle condizioni di necessità che tale misura in genere comporta. Inoltre la motivazione fa’ leva sulla diversità di status che a livello penale intercorre tra il medico pubblico ufficiale e l’infermiere incaricato di un pubblico servizio scordando che sottolineare che tale differenza di deve alla potestà certificativa e non determina necessariamente una sovraordinazione gerarchica.
Si possono ricavare insegnamenti generali dal grave caso in questione? Probabilmente non moltissimi stante la peculiare arretratezza organizzativa e professionale del gruppo infermieristico del reparto di psichiatria Vallo della Lucania. Rispetto a pronunce recenti ha funzionato una linea di difesa che prevede l’autoumiliazione professionale: l’infermiere non è competente, ubbidisce e ordini del medico, non documenta il suo operato, non comprende esattamente la portata delle sue azioni neanche quando lega un paziente già sedato.
Un quadro sconfortante non solo per la gravità della situazione, Franco Mastrogiovanni è morto maltrattato in un reparto che doveva proteggerlo, ma anche per la dichiarazione di irresponsabilità per un agire che professionale non si può definire, per una disattenzione costante delle problematiche assistenziali, per non avere esercitato anche una minima obiezione a operati medici che non è retorico definire criminosi.
Una pagina da dimenticare sotto tutti i punti di vista.
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