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Editoriale

Se essere infermiere ha un senso

di Giordano Cotichelli

La retorica e le belle parole, i proclami e la caccia alle streghe di questi giorni di lutto e vergogna nazionale riescono solo a rendere ancora più doloroso il momento storico che tutti stiamo vivendo. C'è chi ha perso una persona cara, chi non si dà pace, chi vede solo disperazione e chi continua a precipitare in un vuoto incolmabile.

Liberare e ricostruire

C'è chi sa che i prossimi giorni, mesi, anni saranno ancora più duri, di quelli che aveva già accettato di vivere. C'è chi non si rassegna a perdere una casa il cui panorama, aperta la finestra, era… una lastra di cemento. Negli ospedali di Genova e dintorni aspettavano molti feriti. Li aspettavano, pronti a tutto, ma non sono mai arrivati. E c'è chi scava. E chi continuerà a scavare, anche quando tutto si fermerà.

Questo è un paese che da troppo tempo vive di eroi, di santi e di martiri. Da troppo tempo è costretto a considerare eccezionale qualcosa che dovrebbe essere normale. Da troppo tempo indifferente al dolore degli altri. Lo dico da infermiere, da professionista preparato ad affrontare il dolore degli altri. Troppo spesso ciò che accade attorno non ci "riguarda", perché non facciamo politica, perché non legato alla professione, perché "non facciamoci strumentalizzare".

C'è un terremoto, ma l'importante che sia un po' più a Sud di dove si vive.

Florence Nightingale

C'è una nave in mezzo al mare con una umanità disperata, che però non tocca i nostri porti, le nostre spiagge, i nostri pedalò. Indignarsi per un torto? Assolutamente sì! Ma poi tutto passa ed la condivisione, la solidarietà, l'empatia di cui tanto ci riempiamo la bocca in conferenze di ogni tipo scivolano via nell'indifferenza.

Qualcuno ha detto che presto il ponte di Genova verrà ricostruito. Altri, che non si possono fermare le grandi opere. Che non possiamo stare fermi. Ed allora forse è il caso di fermarsi un attimo per capire che cosa significa veramente rimboccarsi le maniche, ricostruire, guardare indietro nel tempo per guardare avanti nel futuro.

C'è un piccolo documento, di 30 pagine, dal titolo: "Mostra sulla ricostruzione nazionale", Roma - Palazzo delle esposizioni - 1950. È una guida di una mostra appunto fatta quasi settanta anni fa, per parlare di un paese che stava rinascendo dopo le tragedie della guerra, del fascismo, della miseria e della migrazione. Gli argomenti dell'esposizione riguardavano la quotidianità di vita: agricoltura, bonifiche, dighe, case, viabilità, industria, e molto altro ancora. Fra le tante, a pagina 27 e 28, un piccolo indirizzo su Igiene e Sanità, con un testo che recita:

È un passaggio denso anch'esso di retorica, figlio di scelte di governo ben definite allora e non necessariamente condivisibili, ma tra le righe ogni infermiere può riconoscere molte indicazioni in relazione alla cura e all'assistenza della salute del singolo e della comunità. Il Ponte Morandi è figlio del boom economico di questo paese, nel bene e nel male, e il suo crollo è il prodotto di un'epoca di transizione che ancora si deve compiere, dove le strade crollano e gli ospedali vengono chiusi, dove il diritto allo studio scompare nell'ignoranza dei social, e delle scelte di palazzo, e la tutela della salute non è più un bene comune, ma un complotto delle multinazionali.

È un'epoca dove c'è chi cerca il capro espiatorio e chi sgombera macerie per liberare e ricostruire. Come chi nella Sanità cerca di risolvere, dare valore, sostenere, aiutare, capire.

Liberare e ricostruire. Se essere infermiere ha un senso, se la pratica quotidiana è una risorsa, se tutto questo rappresenta il lato "buono" di questa nostra quotidianità, allora è il momento di investirlo, di dare prospettive ai saperi e alle pratiche. Liberare e ricostruire.

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