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Editoriale

Sul fine vita c'è ancora molto da fare

di Giordano Cotichelli

Lo scorso 23 luglio è stato reso pubblico un documento della Fnopi sul fine vita dal titolo: “La disciplina infermieristica all’interno della legge 219/17”. Un testo di 29 pagine che analizza, attraverso la chiave di lettura dei dettami etici ed assistenziali dell’infermieristica, il contenuto della legge entrata in vigore il 31 gennaio dello scorso anno. Al di là di ogni considerazione, la spinosa questione del fine vita resta in tutta la sua complessità, in una società che sempre più ama le scorciatoie degli slogan, delle facili soluzioni e si rifugia in un narcisismo autocelebrativo rimandando in eterno le questioni importanti da risolvere per chi ha meno risorse e maggiori bisogni.

Disposizioni anticipate di trattamento, infermieristica ed infermieri

Il gruppo di lavoro che ha redatto il documento, autonominatosi “Gli epicurei”, era composto da un avvocato e sei infermieri nelle persone di: Antonio Campo, Consigliere Federazione Cure Palliatie , Ragusa; Nicola Draoli, Consigliere Comitato Centrale FNOPI e Presidente OPI Grosseto; Chiara Mastorianni, Responsabile Dipartimento Formazione, Associazione ANTEA Roma, Domenico Pittella , Avvocato e Dottore di Ricerca in Diritto Civile, Roma; Cesarina Prandi, Infermiera, Professore SUPSI – DEASS, Manno CH; Consigliere Società Italiana Cure Palliatie, Milano; Irene Rosini, Infermiera, Presidente OPI Pescara; Sandro Scipioni, Infermiere, Filosofo, Past President OPI Macerata.

La legge in questione si colloca fra i vari provvedimenti di tipo “liberale” – come ad esempio quello sulle unioni civili – che la scorsa legislatura ha messo in campo. Una scelta che può essere valutata in molti modi, ma che cerca di mettere il nostro paese al passo con le più moderne democrazie che stanno sostituendo ai diritti sociali, collettivi, e strutturali (alla base delle varie forme di welfare), una pletora di leggi che garantiscono più le scelte individuali che non i bisogni di singoli e comunità.

La legge 219/17 riguarda le disposizioni anticipate di fine trattamento e riesce a trattare, in maniera non del tutto esaustiva, un argomento – l’eutanasia – considerato tabù nel nostro paese, e in molti altri, a fronte della necessità di dare risposte di sistema, e al sistema, a singoli e famiglie che soffrono per situazioni molto difficili sul piano clinico e sociale che si protraggono per anni.

Questa legge è un primo passo, ma ne dovranno seguire altri, specie riguardo alle varie articolazioni dei servizi in risposta ai bisogni specifici espressi. Fatto abbastanza difficile e complesso visto che il Ssn, nella fase attuale, è sottoposto ad una destrutturazione tale che appare più funzionale ad arretramenti dei servizi che non a prospettive innovative.

Nel documento della Fnopi si fanno puntuali riferimenti giuridici e, come detto, professionali, ma una visione d’insieme, dello stato dei lavori in tema di fine vita nei principali paesi in cui è presente una legislazione, sarebbe stata opportuna.

Ulteriormente arricchita da un’analisi delle prese di posizioni, varie ed articolate, presenti nell’associazionismo infermieristico internazionale. Utile a fornire ulteriore materiale di dibattito, analisi, ragionamento per una visione infermieristica italiana maggiormente articolata e proiettata al futuro.

Specie in relazione ad una legge che, nei fatti, degli infermieri parla poco, e della centralità della relazione di cura da parte di professionisti sanitari vari, ancor meno. All’articolo 1, comma 8, della legge 219/17 viene introdotto il concetto di tempo di comunicazione inteso come tempo di cura.

Una buona cosa, ma viene riferito unicamente alla professione medica, lungo uno sguardo interpretativo dominante all’interno della norma che vede la professione medica comparire nel testo redatto per ben 25 volte al singolare e 2 volte al plurale. Il termine equipe sanitaria viene citato appena tre volte e la definizione “esercenti professioni sanitarie” compare due volte.

Ogni riferimento alla parola infermiere, in qualsiasi declinazione, è totalmente assente, e la sensazione che ne consegue è quella di un ritorno al passato, ad una visione ancillare della professione.

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