Si fanno riforme, atti e provvedimenti, ma le persone con patologie croniche e rare ancora non vedono grandi risultati e non si sentono al centro del percorso di cura
. È l'allarme lanciato dal Coordinamento nazionale delle associazioni di malati cronici (CnAmc) di Cittadinanzattiva, che stamani a Roma ha presentato il XVI Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità, dal titolo "Cittadini con cronicità: molti atti, pochi fatti".
Un piano attuato a rilento e a macchia di leopardo
L'obiettivo è verificare quanto il Piano nazionale delle cronicità, varato di recente, sia ad oggi rispettato nelle sue diverse fasi. Al Rapporto hanno partecipato 50 associazioni di pazienti con patologie croniche (52%) e rare (48%), il loro giudizio non è esente da critiche e perplessità su come in Italia sono gestite le politiche per la presa in carico della cronicità.
Oltre il 70% delle associazioni vorrebbe infatti che si tenessero in maggiore considerazione le difficoltà economiche e il disagio psicologico connessi alla patologia. Chiedono cure più umane, attraverso ad esempio un maggior ascolto da parte del personale sanitario (80,5%), liste d'attese meno lunghe (75,6%), aiuto alla famiglia nella gestione della patologia (70,7%) e meno burocrazia (68,2%).
È sempre più insostenibile - spiega Tonino Aceti, responsabile del Coordinamento nazionale della Associazioni dei Malati Cronici - lo scarto tra la mole di norme e atti di programmazione prodotti negli ultimi anni e la loro effettiva capacità di apportare cambiamenti reali nella vita quotidiana delle persone con malattie croniche e rare e delle loro famiglie. Al futuro Governo e alle Regioni chiediamo di passare dagli atti ai fatti sulle politiche per la presa in carico della cronicità in ogni angolo del Paese
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Ma come procede il recepimento del Piano oggi nel nostro Paese? Secondo i dati raccolti nel rapporto CnAmc si tratta di un percorso a rilento e a macchia di leopardo: ad oggi solo Umbria, Puglia, Lazio, Emilia Romagna e Marche lo hanno recepito formalmente, mentre il Piemonte ha l'iter di recepimento ancora in corso. I nuovi Lea, che riconoscono nuovi diritti per i cittadini, per una buona parte invece sono ancora totalmente bloccati dalla mancata emanazione dei due decreti per la definizione delle tariffe massime delle prestazioni ambulatoriali e quello dei dispositivi protesici.
E ancora - prosegue Aceti - mancano gli accordi di Stato e Regioni sui criteri per uniformare l'erogazione delle prestazioni demandate alle regioni che, se approvati, potrebbero ridurre iniquità e oneri inutili per i cittadini
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Altri aspetti toccati dal Rapporto riguardano la prevenzione (secondo il 35,7% delle associazioni è inesistente e solo per il 19% questa riguarda bambini e ragazzi), i ritardi nelle diagnosi (denunciati da oltre il 73%) e l'integrazione tra assistenza primaria e specialistica, del tutto carente per il 95,8% delle associazioni.
"Non ci stupiscono i dati rilevati nel Rapporto di Cittadinanzattiva: è da tempo ormai che la Federazione degli infermieri sta agendo e sta cercando di far agire le istituzioni che ne hanno la responsabilità nel senso di dare un nuovo sviluppo all'assistenza sul territorio. E lo fa proprio per quelle fasce più deboli della popolazione che hanno denunciato nell'81,5% dei casi, secondo il Rapporto, l'assenza di considerazione per i bisogni psicosociali dell'individuo, al quale, famiglia e caregivers compresi, non è garantito nel 73,8% dei casi alcun sostengo e coinvolgimento educativo oltre che di assistenza clinica.
Le persone con maggiore frequenza devono affrontare sul territorio problemi di cronicità, non autosufficienza, plurimorbilità. E lo devono fare pressoché da sole, vista l'assenza di un'organizzazione efficace, che nonostante sulla carta abbia previsto strutture e assistenza anche per quella che viene definita la bassa intensità di cura e che altro non è se non la continuità assistenziale sul territorio dopo l'acuzie curata nell'ospedale, non vede nulla ancora di realmente attivo se non in alcune Regioni benchmarck. Questo soprattutto per l'ennesimo tira e molla tra professioni che non vogliono cedere posizioni acquisite, ma ormai obsolete, a favore del nuovo modello multidisciplinare e interdisciplinare di assistenza che la nuova epidemiologia legata all'età e ai bisogni della popolazione rende inevitabile.
Ci rendiamo conto pienamente dei bisogni dei cittadini, tanto che abbiamo costituito nel 2017 una Consulta permanente delle associazioni dei pazienti e cittadini, di cui fa parte anche Cittadinanazattiva, perché esista un luogo di confronto e comunicazione permanente tra infermieri, associazioni dei pazienti e cittadini e perché possa avere con la collaborazione di chi porta con sé i bisogni di salute più seri e insoluti una funzione propositiva per le azioni future della categoria.
I cittadini vogliono gli infermieri e lo hanno detto chiaro pochi mesi fa nei primi risultati dell'Osservatorio civico Fnopi-Cittadinanzattiva, in cui gli infermieri si sono messi in gioco per verificare sul campo l'opinione delle persone verso di loro. I cittadini hanno esplicitamente dichiarato che gli infermieri sono pochi e che oltre a intensificare la loro assistenza in ospedale, sul territorio vorrebbero essere assistiti da un infermiere nella farmacia dei servizi (65,55%), poter scegliere/disporre di un infermiere di famiglia/comunità come con il medico di medicina generale (78,61%), avere la possibilità di consultare un infermiere esperto in trattamento di ferite/lesioni cutanee (86,09%), avere un infermiere disponibile anche nei plessi scolastici per i bambini/ragazzi che ne potrebbero avere bisogno (84,08%)."
fonte Agenzia DIRE
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