Il 21 marzo si celebra il World Down Syndrome Day, una giornata istituita nel 2012 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite dedicata alle 5,4 milioni di persone che nel mondo vivono con la Sindrome. Prende il nome dal medico inglese che nel 1866 ne descrisse per la prima volta le caratteristiche. Non esiste una cura, ma del resto non è una malattia. È una caratteristica della persona, che la rende unica come ogni altra persona ha il diritto di esserlo, e l'accompagna per tutta la vita. È una diversità che, come altre, merita inclusione.
Il tema della giornata 2024 è “Basta con gli stereotipi”
Mettere fine ai pregiudizi e sostenere le potenzialità di ogni persona con Sindrome di Down è l'obiettivo della campagna di sensibilizzazione. Preconcetti e basse aspettative impediscono a queste persone di vivere in maniera significativa la propria vita.
Isolarle ed allontanarle nello stigma toglie loro le opportunità di esprimersi in ogni aspetto dell'esistenza, dalla scuola sino al lavoro, nella vita sociale così come nelle relazioni affettive. Obiettivo della giornata è pertanto favorire un cambiamento profondo di immaginario, a partire dalla famiglia che deve capire l'importanza di dare fiducia ad un figlio affetto dalla sindrome, di sostenerlo nelle sue conquiste di autonomia, di creare le condizioni affinché possa sperimentarsi.
In Italia si contano circa 38mila persone con la sindrome, di cui 23mila sono già adulte. Negli ultimi cinquant’anni un maggiore accesso alle cure mediche e il miglioramento dell'assistenza sanitaria ha allungato la loro qualità di vita nonché l'aspettativa, vivendo sino ai 65-70 anni.
L'inserimento nella vita comunitaria e familiare sembra abbia contribuito ad una vita più lunga. Nonostante rappresenti la più frequente causa di disabilità intellettiva, la sindrome non impedisce di vivere una vita quasi normale. Molti riescono ad inserirsi in un contesto lavorativo, alcuni si sposano.
Oggi ho incontrato in ospedale un bambino di un anno o poco più, uno di quei mille che in Italia nascono con un cromosoma 21 in più e si riconoscono subito. Veniva per essere ricoverato. Stava bene, a vederlo così vispo, ma doveva eseguire degli accertamenti. Risponde al mio “ciao” con un “ciao”, aprendo e chiudendo il suo pugnetto, imitandomi. Sorride tra le braccia della sua giovane mamma, come fanno tutti i bimbetti, forse con il doppio dell'entusiasmo.
Ho sempre trovato che gli occhi, dal taglio caratteristico, delle persone con la trisomia 21 risplendono sempre di gioia, come se non vi fossero mai ombre a rabbuiarli, conservando anche nell'età adulta l'innocenza dei fanciulli.
Nascono geneticamente così e pur essendo causa più o meno severa di disabilità intellettiva, la sindrome dona loro, oltre ad un difetto genetico, anche una grande abilità nel volere bene e a farsi volere bene. Sono sempre molto affettuosi ed espansivi. Sono considerati sempre un po' speciali. Sono tuttavia fragili, nel senso che pur non essendo definiti malati, per la loro condizione vanno incontro a numerose patologie, legate soprattutto a malformazioni cardiache.
Gli ultimi aggiornamenti sulla ricerca scientifica verranno presentati alla Conferenza Internazionale sulla Sindrome di Down, promossa dalla Trisomy 21 Research Society, in programma a Roma dal 5 all'8 giugno, presso l'Università Sapienza e il Centro Congressi La nuvola.
In Italia esistono centri di eccellenza, come l'Ospedale pediatrico Bambino Gesù e il policlinico Universitario Gemelli, dove bambini e ragazzi provenienti da tutta Italia sono seguiti con un percorso clinico-diagnostico integrato che consente di eseguire i follow up necessari per individuare precocemente eventuali problemi di salute, come raccomandato dalle linee guida internazionali.
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