Il laser usato attualmente in fisioterapia ha i suoi antenati negli studi dei fisici nei primi decenni del 900, ma è solo negli anni 70 che lo sviluppo della sua applicazione chirurgica ne mette in mostra le potenzialità terapeutiche. Il suo nome è in realtà un acronimo: Light Amplification by stimolate emission of radiation. Difficile spiegare in breve queste parole, perciò intanto assumiamo che il laser sfrutti le radiazioni “luminose” prodotte dal moto di fotoni, piccolissimi pacchetti di energia. Queste radiazioni luminose speciali sono collocate nella banda visibile dall’ultravioletto all’infrarosso. L’efficacia del laser risiede in 4 caratteristiche di questo fascio luminoso - che è al tempo stesso coerente, direzionato e monocromatico - e possiede una particolare densità di potenza. Vale a dire che la luce del laser è costituta da onde della medesima lunghezza, tutte in fase tra loro e con una divergenza minima delle traiettorie dei fotoni che lo compongono, che viaggiano in modo parallelo tra loro. Questo permette di concentrare elevate densità di potenza su superfici piccolissime, con una divergenza assai ridotta e per questo molto accurato ed efficace.
Come interagisce il laser con il corpo in fisioterapia
Il laser deve oltrepassare la barriera cutanea per agire sui tessuti bersaglio sottostanti, perciò, per somministrare correttamente la dose di energia giusta dobbiamo considerare le proprietà ottiche della cute, determinata anche dai suoi cromofori, ovvero gruppi di atomi in grado di assorbire maggiormente radiazioni elettromagnetiche, quindi di trattenere l’energia del laser.
Perciò è indispensabile analizzare la zona di trattamento esternamente e internamente.
Ogni cromoforo assorbe più facilmente una determinata lunghezza d’onda. Questo fa sì che la finestra terapeutica del laser fisioterapico si collochi in una particolare fascia compresa tra i 600 e 1200 nm di lunghezza d’onda. Nella finestra terapeutica tutta l’energia viene sfruttata, perché è scarso l’assorbimento cutaneo, riesce a penetrare in profondità e allo stesso tempo non viene completamente assorbita dall’acqua corporea e da altri cromofori interni.
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