Il Parkinson interessa un numero sempre più alto di italiani, fra cui anche trentenni e quarantenni. Uomini e donne, nel pieno dell'attività professionale, spesso con figli piccoli, che sono costretti a rallentare i ritmi della loro vita, subendo spesso pesanti ridimensionamenti sul posto di lavoro. Si stima che siano circa 30mila.
Parkison, i malati aumentano sempre più
Quando si è giovani e arriva una diagnosi così pesante, si è increduli, disorientati, si ha paura. E si comincia a fare i conti con un corpo che non è più quello di prima. Alle sofferenze, ai continui esami e alle medicine, si aggiungono quasi sempre problemi sul lavoro.
La mancanza di una terapia uniforme a livello nazionale, la difficoltà del reclutamento dei medicinali, il riconoscimento di efficaci tutele lavorative e di una adeguata invalidità, l'emersione delle situazioni illecite che comportano danni e complicazioni ai malati ed alle famiglie sono le principali criticità che i malati e le loro famiglie devono affrontare quotidianamente. In base alle vendite dei farmaci sarebbero circa 600mila i malati di Parkinson e parkinsonismi. Le ultime stime relative alla fine degli anni '80, in possesso anche del ministero della Salute, riportano la presenza di 230mila malati nel nostro Paese.
Tra le difficoltà che i malati di Parkison e le loro famiglie devono affrontare ci sono l’accompagnamento alle terapie riabilitative, il reperimento medicine e l’assistenza domiciliare.
Parkinson, sintomi e trattamento
La malattia di Parkinson, diagnosticata per la prima volta 200 anni fa, è una malattia neuro-degenerativa, per la quale, ad oggi, non esiste ancora una cura riconosciuta. La patologia è causata dalla perdita di neuroni dopaminergici, responsabili della produzione di dopamina, il neurotrasmettitore che permette il controllo dei movimenti. Oltre ai principali sintomi motori (tremore, rigidità muscolare, bradicinesia e instabilità posturale), la malattia può essere accompagnata dalla comparsa di altri disturbi non motori (dall'ansia e depressione ai problemi cardiovascolari alla stipsi), che impattano sensibilmente sulla qualità di vita dei pazienti.
Ad oggi non esiste una cura definitiva per il Parkinson. Ci sono, invece, a disposizione diverse tipologie di trattamento: dalla riabilitazione alla terapia farmacologica fino alla stimolazione cerebrale profonda (Dbs - Deep Brain Stimulation), che consentono di tenere sotto controllo in maniera efficace i sintomi per un lungo periodo.
Parkinson, l’infusione sottocutanea
Uno dei trattamenti più innovativi è l’infusione sottocutanea o infusione di Apomorfina. L’Apomorfina cloridrato è spesso prescritta ai pazienti che non rispondono in maniera efficace ad altri trattamenti o che hanno un controllo molto limitato dei movimenti. Per questo, attraverso l’Apomorfina cloridrato, i pazienti riescono a controllare meglio i sintomi della malattia e migliorare la propria qualità di vita.
L’Apomorfina è somministrata in via sottocutanea tramite:
- Infusioni intermittenti con un’apposita penna preriempita del farmaco per ottenere i medesimi effetti osservati con la levodopa;
- Infusioni continue mediante una pompa, che ha ridotto il tempo in off di più del 50% e ha ridotto le discinesie indotte dalla levodopa.
Tra i presidi utilizzati per le infusioni sottocutanee di apomorfina ci sono i set per infusione Neria™: Neria Soft 90, Neria Soft, Neria e Multi. Per un’affidabile infusione di farmaci, l'ago della linea di infusione deve essere inserito nel tessuto adiposo sottocutaneo. La maggior parte dei pazienti usa la parete addominale anteriore sotto l'ombelico e / o l’esterno della coscia (James et al, 2005). Le linee con aghi a 90° sono più facili da inserire rispetto agli aghi standard butterfly, che devono essere inseriti a 45°, in parte, perché c'è il rischio di inserire l'ago troppo in profondità nel muscolo sottostante. Questo è un rischio particolarmente presente per i pazienti con malattia di Parkinson, che tendono ad essere magri. Nel morbo di Parkinson c'è un gran numero di pazienti che si auto-somministra o ha un assistente che posiziona l'ago; ci sono quindi chiari vantaggi per l’uso dell’ago con un angolo di inserimento di 90° per la linea di infusione.
Un recente studio pubblicato sul British Journal of Neuroscience Nursing, che ha preso in considerazione 104 pazienti malati di Parkinson e li ha sottoposti a un questionario sulla loro esperienza, ha rilevato che le linee con aghi a 90° sono molto più semplici da utilizzare. Un paziente ha detto: È molto più facile da mettere di un ago butterfly
. E un altro ha detto: Sono in grado di inserire l’ago e tirarlo fuori da solo
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Lo studio ha dimostrato che le infusioni di apomorfina possono essere associate allo sviluppo di noduli sotto la pelle intorno al sito dell'ago di infusione. Le reazioni al sito di iniezione come i noduli possono verificarsi in più del 10% dei pazienti (Britannia Pharmaceuticals, 2009). I noduli possono causare un assorbimento irregolare e il conseguente rischio di compromettere gli effetti terapeutici del farmaco. In una revisione delle migliori pratiche, Todd e James (2008) hanno concluso che l'attenzione alla pulizia e alla rotazione del sito di iniezione sono misure efficaci per ridurre l'incidenza della formazione dei noduli. Questi autori hanno osservato in particolare che: aghi posizionati male possono causare irritazione. Se l'area diventa rossa, in fase di ammalaggio o dolorosa durante il giorno potrebbe richiedere un riposizionamento. Se ciò accade regolarmente vengono utilizzati più siti e pertanto possono svilupparsi più noduli.
Parkinson, presa in carico del paziente
Data la complessità della malattia, la presa in carico del paziente con Parkinson richiede un approccio assistenziale multidisciplinare, che vede il coinvolgimento di diverse figure professionali: dal medico di medicina generale al neurologo, dall’infermiere, dal fisiatra agli specialisti di supporto- come cardiologi, gastroenterologi e nutrizionisti- fino ad arrivare al personale dei servizi sociali e delle associazioni di volontariato. Risulta, quindi, fondamentale creare dei percorsi integrati di diagnosi e cura, per garantire una continuità ospedale-territorio e offrire una rete di servizi assistenziali in grado di gestire l'evoluzione della patologia.
La proposta di un percorso Parkinson prevede che la prima valutazione venga effettuata dal medico di medicina generale, il quale, dopo aver rilevato preliminarmente la patologia attraverso l'esecuzione di accertamenti strumentali minimi, possa inviare il paziente allo specialista neurologo che opera nel Centro per i Disordini del Movimento di II livello- afferma Roberto Eleopra, Direttore Soc di Neurologia dell'Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine, Presidio Ospedaliero S. Maria della Misericordia-. Presso l'ambulatorio del Centro si procederà a confermare la prima diagnosi, tramite indagini strumentali più mirate, e a definire la gestione dei casi più complessi. Il Centro per i Disordini del Movimento di I livello, invece, dovrà occuparsi dei pazienti cronici, in terapia farmacologica sottoposta a regime Aifa o che prevede l'utilizzo di antipsicotici nel caso di disturbi comportamentali. Inoltre, per interventi di tipo sociosanitario, è prevista l'attivazione di una rete socio-assistenziale attraverso le Unità di Valutazione Multi Disciplinare. La gestione integrata dell'intero percorso dovrà necessariamente prevedere un infermiere esperto, un case-manager dedicato, in grado di indirizzare il paziente al setting assistenziale più opportuno e di rendere efficiente il collegamento tra medico di famiglia, assistito e caregiver
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