Si è partiti da una figura che ad oggi possiamo definire un tuttofare all’interno degli ospedali italiani, per passare alcune volte (purtroppo anche attualmente) a un tacito servilismo e segretariato nei confronti della professione medica. Basti pensare che le segretarie all’interno degli studi medici spesso vengono chiamate infermiere da parte degli utenti.
Quel titolo di dottore in Infermieristica che ci appartiene
Questo quadro non rispecchia quello che è oggi l’infermiere, ovvero un professionista in possesso di titolo di laurea iscritto a un albo professionale e appartenente a un ordine. Figura che fa fatica a imporsi in ambito professionale, ma anche nell’opinione pubblica. Sicuramente per una scarsissima campagna informativa nei confronti dei cittadini e a causa di una politica sanitaria assolutamente medico-centrica. Cosa che ci differenzia nettamente in negativo rispetto a tutti gli altri Stati europei, dove l’infermiere si è già visto riconoscere i suoi meriti professionali ed economici.
Ma in tutto ciò questo professionista deve fare un mea culpa perché, proprio come spesso ci sentiamo ripetere: il male dell’infermiere è l’infermiere stesso. Infatti, ci sono molti colleghi che, per i motivi più assurdi, tentano di sminuire la professione stessa, sia per quanto riguarda i percorsi formativi, che per le nuove conoscenze acquisite. Troppo spesso da colleghi viene riesumata e autoaffibbiata (ancora oggi nel 2018) la nomea di “infermiere professionale”, titolo che sappiamo obsoleto. E come se non bastasse alcune tra le più prestigiose aziende sanitarie d’Italia si ostinano a scrivere sui camici e sulle divise dei colleghi il titolo di “infermiere professionale”, omettendo volontariamente il reale titolo accademico che oggi conferisce lo stato italiano a questo professionista, ovvero quella di “dottore in Infermieristica”.
E il titolo di dottore in Italia non appartiene solo alla categoria medica, ma spetta, secondo Art. 13 del d.m. 270/1994, a colui che dopo un percorso universitario consegue un titolo di laurea in qualsiasi ambito e/o materia. Per tanto è doveroso puntualizzare che le università italiane non esistono solo per formare medici.
Per fortuna a questa situazione si contrappone una generazione sempre più in crescita di colleghi motivati e determinati, che con fermezza dice no a questa politica di autodistruzione professionale e che con percorsi formativi che vanno dalla laurea triennale al dottorato di ricerca si fanno largo a gomitate e con onore nella comunità scientifica italiana. Colleghi che non ci stanno ad essere chiamati infermiere professionale e che si firmano orgogliosamente con il titolo di “Dott. Inf.” ridendo in faccia a chi, ancora oggi, sostiene il contrario o pecca di conoscenza.
Questa voglia di evoluzione viene testimoniata dalla nascita di un gruppo sui social dal nome #noisiamopronti, che nasce sulla spinta propulsiva del presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche di Bologna e che ad oggi vanta una crescita esponenziale con l’adesione di 141 mila iscritti sui social, ambasciatori del movimento su tutto il territorio nazionale e che ha innescato una raccolta firme per la promozione delle competenze specialistiche, il riconoscimento economico, l’annullamento del vincolo di esclusività nei confronti dell’azienda e l’uscita dal comparto. Raccolta firme che ha visto l’adesione in pochi giorni di oltre 65 mila professionisti di tutte le professioni sanitarie, non solo infermieri.
Questo è palesemente segno di un cambiamento voluto e ricercato con ardore da molti infermieri, impegnati anima e corpo ogni giorno a tenere in piedi una sanità sempre più vacillante e a mettere in campo la migliore assistenza possibile, basata sulle evidenze scientifiche.
Gaetano Sciascia, infermiere
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