Cosa avviene dopo i fatti, tragici, di un caso di malpractice?
Tenendoci lontani da intenti polemici o giudicanti, riflettiamo sulle conseguenze di un episodio di malpractice per condividerne aspetti poco noti.
L'episodio in questione fu assai famoso, a suo tempo, eppure - naturalmente - non si esaurì con il calo (inevitabile) dell'attenzione mediatica o con l'emissione di indicazioni di sicurezza, che qui ricorderemo, scaturite dai fatti.
Il caso che fu famoso per i media (e che resta ancor oggi tale per gli addetti ai lavori) è quello della iniezione endovenosa di potassio al posto di fisiologica, che uccise un bambino di due anni a Carmagnola, in Piemonte.
Non è infatti molto noto che la recente sentenza n° 193/15 della Corte dei Conti piemontese ha chiamato a rispondere, per la parte risarcitoria detta ''franchigia'', l'Infermiera pediatrica che fu protagonista dell'iniezione letale e che venne licenziata da quella Azienda sanitaria "senza preavviso’’ (con determina del Commissario nr. 284 del 28/02/2007); la sentenza della Corte tocca vari aspetti, riprendendo i fatti e tutti i vari protagonisti degli stessi: ma qui si ricorda soltanto l'aspetto poco conosciuto della condanna accessoria, ovvero quella economica e risarcitoria verso (l'ex) datore di lavoro.
La gestione delle fiale che contengono potassio è oggi rigidamente normata da una serie di disposizioni, in particolare dalla raccomandazione ministeriale sulla sicurezza numero 1 (emessa una prima volta nel 2005 e quindi rivista nel 2008), che sono state emanate a seguito di diversi clamorosi episodi decisamente drammatici, conclusi con la morte dei pazienti.
Uno dei più noti e – se possibile - ancor più tristi episodi è quello al quale dedichiamo queste righe e che riguardò, la sera del 5 gennaio del 2005, un bambino piemontese, Enrico M., di soli due anni, ricoverato presso il reparto pediatrico dell’ospedale di Carmagnola.
Enrico era entrato il 28 dicembre del 2004 per una otomastoidite e, ormai prossimo alla dimissione, subì l'iniezione di potassio per errore, perché una Infermiera pediatrica confuse le fiale: allo scopo di "lavare" l’ago cannula a permanenza, posizionato sul braccio del piccolo Enrico, prima dell'infusione dell’antibiotico previsto, l'Infermiera pediatrica iniettò potassio cloruro in bolo, perché lo aveva aspirato per errore, convinta che si trattasse di sodio cloruro.
Dal 2005 in poi ci furono numerosi passaggi giudiziari, che videro coinvolta anche la Coordinatrice del reparto, così richiamata nella sentenza della Corte dei Conti Regione Piemonte, n° 193 del 2015: "lasciava che si custodissero presso la sala di medicheria del reparto, le fiale monodose di soluzione fisiologica alla rinfusa in un cassetto (dopo che era stato smembrato il blister e gettato il relativo involucro), laddove l’art. 5 - comma 6 D. L.vo 24/02/1997 n. 46, in attuazione delle direttive CEE - concernente i dispositivi medici in tema di indicazioni che debbono essere riportate nei documenti, nelle avvertenze o nei fogli di istruzione che accompagnano i dispositivi medici, prescrive che gli stessi debbano essere accessibili senza che si debba distruggere l’imballaggio che assicura la sterilità del dispositivo’’.
Dopo il drammatico episodio scattarono anche, a seguito dei procedimenti giudiziari, i previsti rimborsi e la compagnia assicurativa dell’ASL TO 5 risarciva con la cifra di 470.000 euro i familiari del piccolo.
In seguito, la stessa compagnia poneva a carico della Azienda sanitaria la franchigia di 100.000 euro, una parte della somma risarcita: a questo punto, con atto del 24/7/2014, l’ASL TO5 provvedeva a costituire in mora l’ex dipendente (l’Infermiera pediatrica che aveva iniettato il potassio a Enrico) per il già versato importo di € 100.000.
A quel punto, la Procura contabile (la Procura della Corte dei Conti) contestava all’Infermiera pediatrica un danno alla finanza pubblica – un danno patrimoniale indiretto - per la somma di € 100.000 (oltre ad accessori).
Il successivo procedimento, avviato per stabilire se la ex dipendente avrebbe o meno dovuto produrre tale cifra nei confronti dell’ex datore di lavoro (la ASL 5 piemontese) è ritornato sull’episodio e sulle dinamiche che lo hanno generato, toccando in modo particolare gli aspetti della responsabilità di natura professionale.
Vi è un passaggio che certamente può interessarci come professionisti sanitari, ed è quello ripreso dalla sentenza in questi termini: "la letteratura in materia precisa che la somministrazione farmacologica presuppone un processo composto da più passaggi operativi, di ciascuno dei quali l’infermiere è garante, al fine di renderlo unitario, sequenziale e cronologico: corretta interpretazione della prescrizione; preparazione del farmaco; corretta somministrazione; valutazione della somministrazione; smaltimento del materiale infetto".
La conclusione è appunto amara, quanto inevitabile: oltre alle conseguenze drammatiche del gesto tecnico errato (somministrazione di potassio in bolo al posto di fisiologica, che causa la morte di un piccolo paziente di due anni); oltre alla perdita del posto di lavoro, la (ex) Infermiera pediatrica deve risarcire la ASL 5 piemontese della cifra corrispondente alla franchigia (100.000 euro), che era stata versata alla famiglia come parte del risarcimento stabilito e in gran parte versato dalla compagnia assicurativa dell’ASL.
Ecco l’estratto della sentenza (si omettono i riferimenti anagrafici dei protagonisti, perché non necessari alle finalità di questa trattazione):
Per questi motivi
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Regionale per il Piemonte, definitivamente pronunciando, CONDANNA la signora XYZ al pagamento della somma di euro 100.000,00, (centomila/00) in favore dell’Azienda sanitaria locale TO5.
Detta somma deve essere maggiorata della rivalutazione monetaria come per legge e giusta quanto precisato in parte motiva, fino alla pubblicazione della presente sentenza. Sulla somma così rivalutata sono dovuti gli interessi legali a far data dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo. Condanna altresì la convenuta condannata al pagamento delle spese di giustizia, liquidate in euro 428,27. Così deciso in Torino, nella Camera di Consiglio. Depositata in Segreteria il 10 Novembre 2015.